QUELL’ORRIBILE NATALE DEL 1786
10 Settembre 2016 / Oreste Delucca
Si stavano completando i risarcimenti cittadini, dopo i danni causati dal terremoto del 1672 e la città non aveva del tutto dimenticato quell’evento luttuoso, che la terra diede ancora segno di insofferenza. Infatti nel 1703 “il giorno della Purificazione di Maria Vergine (il 2 febbraio, popolarmente la “Candelora”), verso il mezzogiorno, tremò sì forte la terra che rese grande spavento a tutta la città. Ma non cagionò alcun danno, mentre tanti ne apportò alla piccola città di Norcia e nella diocesi di Spoleto, ove furono ruinate castella e terre (‘terra’, cioè piccola città) in numero di 37”.
“Quanto fosse lo spavento anche tra noi – prosegue lo storico riminese Carlo Tonini nel suo racconto – possiamo argomentarlo eziandio dal trovarsi negli Atti Pubblici che in quella contingenza fu deliberato di eleggere un altro santo protettore della città: S. Filippo Neri, dimostrando come per l’intercessione sua fossero stati preservati vivi tra le ruine di Norcia e dell’Amatrice quanti aveano custodita presso di sé la immagine di esso”.
Oggi vengono i brividi nel trovare il nome di Amatrice fra le località distrutte in quella circostanza! Ahimè, una tragedia che si ripete!
Quaranta anni di tregua sismica ed ecco, il 20 febbraio 1743, un nuovo avvertimento. “Mentre le allegrie del carnevale si trovavano al colmo, non tanto per le maschere, quanto per il corso di numerose carrozze, verso le 23 ore sonate fu sentita una scossa di terremoto non leggera, che durò per un Miserere; la quale, sebbene non recasse alcun danno alla città, incusse però tanto spavento che in un istante disparvero tutte le maschere e le carrozze e si riempirono le chiese…”.
Altri quaranta anni scarsi di tranquillità, finché – riferiscono le cronache – “spaventevoli furono le prime vicende dell’anno 1781, mentre a’ 4 aprile, sulle ore tre e mezza della notte, si fe’ sentire in questa città una forte scossa di terremoto, che colmò di terrore gli abitanti. E altre diverse se ne sentirono nei susseguenti mesi fino al 17 luglio. Si fecero tridui nella cattedrale e in altre chiese coll’intervento del vescovo, dei magistrati e di numerosissimo popolo. Danni tra noi non si ebbero a deplorare. Si ebbe peraltro notizia che gravissimi ne furono recati a diverse città vicine e specialmente a Cagli, che si disse quasi affatto rovinata con grande mortalità di persone”.
Evidentemente la terra si trovava in una fase di instabilità. E la triste conferma arrivò poco dopo, sul finire del 1786, con un terremoto che segnò tragicamente la storia di Rimini.
“Fin dai primi giorni del nuvoloso decembre aveano potuto, gli oculati fisici, scorgere evidenti segni della materia che si andava componendo allo scuotimento. E varie persone si maravigliavano di mandar fuori nello spogliarsi vividissime scintille, maggiori in grandezza di quelle che soglion gittare alcuni pelosi animali stropicciati colla mano contro pelo. Al tempo stesso altre fisiche novità si osservavano nella fabbrica de’ vetri dei fratelli Santi (la pasta vitrea emanava lunghe fiammelle, mentre i vasi forgiati si spaccavano). E i lampi che replicatamente eransi veduti guizzare dalla parte di greco cessarono affatto il dì 23 dicembre. Nel 24 poi apparve il cielo talmente ricoperto di dense nubi che sembrava di bronzo. E alle ore 13 e 14 e mezzo del giorno medesimo si fecero sentire senza rombo, per quattro o cinque secondi, due non piccole scosse di tremuoto, dapprincipio un po’ vorticoso, poscia di ondeggiamento, colla direzione da greco a garbino”.
I Riminesi questa volta non diedero molta importanza al fatto e la sera, dopo la veglia di Natale, se ne andarono a letto tranquilli. Ma coloro che si trovarono sulla spiaggia o in mare, verso mezzanotte, “videro in gran lontananza levarsi, come dal golfo del Quarnero, una lunghissima colonna di fuoco che da greco a garbino verso Rimini dirigevasi e rendeva a poco a poco le nubi, che le stavano sopra, rosse e fiammeggianti. Talché dopo un’ora il cielo sopra la città apparve tutto di fuoco. Quando ecco, due ore dopo la mezzanotte, si accese sopra la città stessa un estesissimo lampo che vivamente e d’un color rosso tutta la illuminò, talché quanti ritrovaronsi all’aperto furono costretti a chiudere gli occhi, non potendo sostenere l’intensa penetrantissima luce. Quasi immediatamente scoppiò un orribilissimo tuono a cui successe una violentissima concussione della terra che durò 15 o 16 secondi. La scossa da principio fu orizzontale da greco a garbino, poscia di vortice e di sussulto e infine di ondeggiamento con la medesima direzione”.
Il notaio Michelangelo Zanotti, nelle sue memorie ci ha tramandato questa drammatica sequenza: “traballa il suolo, si scuote con veemenza la terra, crollano le fabbriche benché robuste e forti, stridono le travi, si aprono a viva forza le porte, cadono i soffitti e gli arredi precipitando sul pavimento; si sconnettono le mura, si dibattono, si fendono e a terra finalmente rovinano”.
Ne vedremo i dettagli.
Oreste Delucca