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Ma siamo a Rimini o nell’America di Trump?


5 Marzo 2017 / Lia Celi

«Ma sul serio organizzate delle matinée per le scuole per questa… perversione?» L’attempata signora ci mette un po’ a trovare la parola giusta per definire il film cui ha appena assistito al cinema Settebello (che Dio lo rimeriti a nome di tutti i cinefili riminesi).

Del resto la pellicola in questione, Moonlight, ha appena vinto meritatamente tre Oscar, non si può insultarla a casaccio, un po’ di enfasi bigotta ci sta. Fra l’altro ai film porta bene: termini come «perversione» o simili sono stati usati all’epoca per capolavori come La dolce vita, Arancia meccanica o Salò.

Ma da un lato si può capire l’indignazione della pensionata: di solito i film che trionfano nella notte degli Oscar sono opere «rispettabili», e l’eventuale durezza dell’argomento viene sublimata da magistrali performance di attori famosi o dal genio di un regista di vaglia. Insomma, pensava la signora, se Moonlight era piaciuto ai soloni dell’Academy doveva essere sicuramente un film «perbene».

E invece non solo è l’opera di un debuttante, con un cast semisconosciuto, ma parla di neri, di droga, consumata e spacciata, e di omosessualità; manca solo il comunismo per completare l‘album degli spettri dei benpensanti. (A dire il vero un po’ di puzza di comunismo c’è, perché il film è ambientato a Miami e la Cuba di Castro è a due passi.)

Pazienza se Chiron, il protagonista nero spacciatore gay, rinunciasse ad almeno due delle tre caratteristiche delle quali non sembra vergognarsi, o se al limite alla fine morisse, per far trionfare la morale, la legge e l’ordine, a beneficio del pubblico giovanile. E invece no: prima dei titoli di coda è sempre nero, spacciatore e gay, vivo e vegeto, e forse perfino felice.

Figurarsi l’angoscia della signora, che già immaginava stuoli di studenti uscire irrimediabilmente corrotti al termine della proiezione, e magari pure più scuri di pelle. Non contenta di aver esternato le sue rimostranze alla cassa del Settebello, si è fatta dare nome e cognome dei responsabili del cinema, presumibilmente non per scrivergli una lettera di congratulazioni.

Gli astanti la guardavano basiti: siamo a Rimini o nell’America di Trump? Forse non c’è tutta quella distanza, nella testa di certi nostri concittadini. «Al chiaro di luna tutti i neri sembrano blu», dice una vecchietta cubana in Moonlight. Moonlight invece fa sbiancare le vecchiette riminesi. Come Tintarella di luna, ma più perversa, e con tre Oscar.