Gli ultimi canti di Vinicio Vergoni per la sua Sirenetta
5 Settembre 2018 / Paolo Zaghini
E’ trascorso un anno dalla scomparsa di Vinicio Vergoni (1926-2017). Un amico. Gli amici dell’Associazione “Hostaria del Terzo” di Miramare, assieme al figlio, lo hanno voluto ricordare editando questo volume di brevi racconti biografici inediti che Vinicio aveva scritto nel corso degli anni e lasciati nel cassetto.
Vergoni è stato uno straordinario punto di riferimento per il PCI sul territorio, prima a Viserba (sino al 1967) e poi a Miramare. Ma è anche stato un grande organizzatore culturale: vogliamo qui ricordare solo le nove edizioni del “Premio Nuova Poesia Miramare – Città di Rimini” svoltesi fra il 1998 e il 2012, nonché le numerose attività promosse con l’”Hostaria del Terzo”.
Giovedì pomeriggio, 6 settembre, alle ore 21.00, presso la Sala del Liceo Lettimi verrà presentato dagli amici Vittorio D’Augusta, Oreste Delucca, Guido Zangheri e dal figlio Valerio Vergoni il volume “Origine e morte di una sirena. Racconti e poesie” (Raffaelli e Hostaria del Terzo).
Sul libro tornerò prossimamente per recensirlo, ma qui voglio estrapolare dal racconto che dà il nome al libro la storia della nascita della Casa del Popolo di Viserba e del dancing Sirenetta. Colgo l’occasione per mostrare alcune foto del dancing Sirenetta fra gli anni ’50 e ’60 che fanno parte di un fondo di circa cento foto che sono state donate all’Archivio Fotografico dell’Istituto Storico della Resistenza di Rimini alcuni anni fa.
ORIGINE E MORTE DI UNA SIRENA
Non era facile costruire una casa del popolo. Era necessario trovare i soldi e mettere in piedi una cooperativa. Per mesi vagammo il sabato sera tra Viserba e Viserbella. Iniziammo un’ampia sottoscrizione di azioni fra gli oltre trecento iscritti e anche fra i non iscritti che ci vedevano per il verso giusto. Raggiungemmo una cifra notevole con l’impegno di decine di compagni di offrire ore di lavoro il sabato pomeriggio e la domenica mattina. Un grande risultato. Tuttavia si poneva un altro problema. Trovare il lotto.
Ci accorgemmo che, appena il proprietario aveva sentore che si voleva costruire un circolo “bolscevico”, o ricusava oppure alzava il prezzo fuori misura.
Trovammo il lotto in Via Puccini. Era ampio e in una buona posizione. Toccò a me trattare perché conoscevo il proprietario. Mi chiese cinque milioni. Combinai per quattro e sei. Firmai il compromesso per me o per persona o Ente da nominare.
Nella cucina grande di un compagno di Viserba monte ci radunammo per costituire la cooperativa. Eravamo in undici: Chilein, Mangiantin, Ottaviani, i due fratelli Vici, Barnes e gli altri.
Una sfilza di compagni con le mani callose e i segni della fatica impressi nelle rughe sbiancate e profonde della fronte e nelle sciabolate che solcavano i loro visi abbronzati. L’unico “signorino” ero io.
Compatangelo, il notaio, ci aveva edotti sulle funzioni della cooperazione. Aveva portato con sé una segretaria che sembrava trovarsi a disagio a svolgere il suo lavoro in quel luogo; di fianco alla “rola” e di fronte ai “rami”. In un angolo discreto la moglie del compagno lavorava con i ferri a una sciarpa piena di colori.
La segretaria, bella, elegante, giovane, piena di bracciali e di anelli d’oro, attirava gli sguardi.
“Un altro” chiamava, e scriveva con una grossa stilografica nera il nome, il cognome, la data di nascita, la residenza, il lavoro. Una sequela di mezzadri, coloni, manovali. Non alzava mai la testa, non ci guardava in viso, non ci vedeva. Toccò a me. Alla richiesta della professione, risposi: “Benestante”. I nostri occhi si incrociarono. Aveva gli occhi luminosi, ambrati. Ma alcuni compagni risero. E io dovetti spiegare: ero giovane, guadagnavo bene, avevo la Topolino, in casa non avevano bisogno; era un bel stare.
E sull’atto notarile rimase: benestante.
Tenevo la contabilità. Una domenica mattina mi presentai vestito di tutto punto. Volli dimostrare che avevo abbastanza forza per lavorare come gli altri. Barnes mi riempì una carriola di mattoni. Colma. Lo fece apposta. Mi avvicinai alle stanghe, mi sputai sul palmo delle mani e provai a spingere. Ma il braccio sinistro non tenne e dopo un paio di metri il carico si rovesciò. Tutti risero con soddisfazione.
Da quel giorno arrivavo con un quaderno sgualcito per segnare solo le ore.
“La Sirenetta” divenne un locale famoso. Faceva “proletariamente” concorrenza alla “Villa dei Pini” e al “Garden”.
Paolo Zaghini