Non che ci sia bisogno di ulteriori prove che il Pd sta vivendo una fase di confusione mentale, e non solo a livello di vertici, ma se qualche irriducibile scettico ancora ne dubita, la polemica sollevata delle donne dem di Riccione contro il boom di matrimoni a villa Mussolini gliene darà la completa certezza.
Anziché puntare il dito contro la scelta di contaminare il proprio matrimonio con il reato di apologia del fascismo, o contro il totale cattivo gusto, chiamiamolo così, di sposarsi in un luogo appartenuto a un dittatore aggressivo e razzista che ha trascinato l’Italia in una guerra spaventosa al fianco di Hitler, le donne del Pd la buttano sullo scaramantico: «In quella casa è vissuta una famiglia che ha conosciuto l’infelicità, un capofamiglia che non ha rispettato la civiltà delle regole del matrimonio, la dignità della sua sposa nella fedeltà coniugale».
Traduzione: Benito metteva le corna a donna Rachele. Quindi, implicitamente, sposarsi a casa sua non è di buon auspicio per una giovane coppia, il cui matrimonio, influenzato dalle pernicioso karma dell’edificio, durerà al massimo vent’anni e finirà malissimo.
Che razza di discorso. Allora, a ben guardare, non è tanto benaugurante nemmeno sposarsi nella casa di un signore che non si è mai sposato, ha messo incinta la fidanzata minorenne di un ignaro falegname e ha permesso che il povero ragazzo finisse in croce senza aver fatto nulla; eppure un sacco di gente continua tranquillamente a sposarsi in chiesa, dove, fra l’altro, si celebrano pure i funerali, e gli sposi percorrono la stessa navata dove magari solo il giorno prima è passata una cassa da morto.
Care piddine riccionesi, se ci si dovesse sposare solo dove ci hanno preceduto coppie fedeli e famiglie felici, si potrebbero celebrare matrimoni solo negli spot pubblicitari di Sky.
D’altro canto, qualcosa di sballato nella testa dei fidanzati che si giurano eterno amore nella casa di vacanze del duce deve esserci, forse quel qualcosa descritto da Carlo Emilio Gadda nel furibondo pamphlet satirico Eros e Priapo, in cui analizzava psicanaliticamente la fascinazione degli italiani per Mussolini indicandola come frutto di una «degenerazione dell’eros»: il duce come idolo fallocratico adorato dai maschi complessati e dalle donne invasate dal mito della virilità.
Il «sì» nella cornice di villa Mussolini riecheggia il «sì» richiesto alle farsesche elezioni-plebiscito del 1934, con cui l’Italia si legò mani e piedi all’uomo che l’aveva già tradita e presto l’avrebbe rovinata.
A questo punto, idea balorda per idea balorda, perché queste coppie fascio-fanatiche non vanno a sposarsi davanti a un’altra villa, quella di Giulino di Mezzegra, dove il duce venne fucilato accanto a Claretta Petacci, la donna così follemente innamorata che pur non essendo sua moglie volle morire con lui? Come romanticismo non c’è paragone.
E mentre lo scrivo, mi sorge il sospetto che qualcuno ci abbia già pensato. Se non come location del proprio matrimonio, come meta per il prossimo San Valentino.
Lia Celi www.liaceli.it