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E con Eron il Sigismondo d’oro diventa l’Oscar dei riminesi


23 Dicembre 2018 / Lia Celi

Ora sì che possiamo chiamare il Sigismondo d’Oro il premio Oscar dei riminesi. Non per il red carpet (ormai il tappeto rosso ce l’hanno anche le prime comunioni), e nemmeno per i pettegolezzi sui ritocchini dei divi – anche perché nel caso del Sigismondo è più divo colui che il premio lo consegna, cioè il sindaco Gnassi, che chi lo riceve.

A equiparare il più ambito riconoscimento cittadino alla statuetta più famosa dell’universo è stato il gesto di Eron, l’ultimo riminese insignito del Sigismondo d’Oro l’altra sera, insieme a Elio Tosi patron dell’Embassy.

Il celebre writer non è salito di persona sul palco a ritirare il premio, ma ha inviato al posto suo un amico di fiducia, il venditore ambulante Mamadouk. Un po’ come fece Marlon Brando nel 1973: premiato con l’Oscar come miglior attore per Il Padrino, lo rifiutò per protesta e inviò in sua vece alla cerimonia Sacheen Littlefeather, una giovane attrice di etnia Apache, presidente di un comitato per la difesa dei nativi americani.

Davanti a 85 milioni di telespettatori, la giovane tentò di pronunciare un discorso in cui, anche a nome di Brando, si accusava Hollywood di aver sempre descritto i «pellerossa» come «selvaggi, ostili, simbolo del male. Quando i bambini indiani vedono la loro razza dipinta come nei film, le loro menti vengono ferite in modi che noi non possiamo nemmeno immaginare». Sacheen non riuscì a terminare la sua orazione, che venne tagliata per presunti motivi di tempo, ma il gesto fece scalpore e innescò il cambiamento culturale che ci da allora ci ha dato film come Piccolo grande uomo, Soldato blu e Balla coi lupi.

Ora, Mamadouk non è Sacheen, Eron non è Marlon, anche se nessuno dei due, ognuno nella propria epoca e nel proprio campo artistico, si è lasciato incasellare nel cliché del provocatore, senza peraltro rinunciare a essere sempre una voce fuori dal coro. Eron il Sigismondo non l’ha rifiutato, ma in un momento come questo, scegliere un ambulante di colore come proprio alter ego nella cerimonia che incorona i riminesi che hanno fatto onore alla loro città, è una dichiarazione importante quanto il discorso di Sacheen, perfino in una città aperta e inclusiva come Rimini.

Tanto più efficace perché senza parole, come un lampo di vernice spray sul muro grigio di una metropoli. Anche oggi c’è qualcuno che viene additato come «selvaggio, ostile, simbolo del male», se non addirittura come origine di tutti i mali: lo straniero, il migrante, chi non ha la tua stessa quota di melanina nella pelle o la tua stessa religione.

Quali ferite subiscono le menti dei bimbi – qualunque sia la loro origine – esposti alle espressioni di odio e xenofobia che trasudano non solo dai media ma spesso dalle normali conversazioni in famiglia o per strada? Non possiamo neanche immaginarle. Possiamo solo cercare di difendere tutti gli spazi di umanità ancora esistenti, o crearne di inaspettati. Come ha fatto Eron con la premiazione del Sigismondo d’Oro.

Lia Celi www.liaceli.it