HomeLia CeliChi viola la legge non merita né un Salvini accusatore né un Sofri difensore


Chi viola la legge non merita né un Salvini accusatore né un Sofri difensore


30 Giugno 2019 / Lia Celi

E siamo arrivati al punto in cui un fine intellettuale come Adriano Sofri inizia la sua rubrica sul Foglio con “senti, brutto stronzo”. E’ un gioco retorico a sfondo paradossale, sia ben chiaro: con questa apostrofe volgare a Salvini, l’ex leader di Lotta continua ha risposto agli insulti partiti dal ministro dell’Interno contro Carola Rackete, la capitana della SeaWatch3.

«Ti piace insultare una giovane donna in gamba a nome del governo italiano, eh?» continua Sofri, prima di scagliare a Felpa Kid una raffica di epiteti a metà strada tra il film western e il cappa-e-spada: maramaldo, pallone gonfiato, ceffo vigliacco. Il senso delle contumelie viene chiarito dalla frase successiva: «si può fare di meglio, cioè di peggio. Tu [Salvini] puoi». Come dire: se la gara è a chi la spara più grossa e sboccata, eccomi qui, non è uno sport tanto difficile, anche se il miglior marcatore resti sempre tu, caro Salvini.

Si stringe un po’ il cuore nel vedere una personalità complessa e discussa come Sofri (che peraltro ha pagato davanti alla legge i propri errori con lunghi anni di detenzione, a differenza di altri) accettare a un’età venerabile un incontro di catch nel fango mediatico con un avversario più giovane, spregiudicato, esperto e soprattutto più popolare di lui.

Viene in mente l’iconica scena del Sogni d’oro di Nanni Moretti (film del 1981, riferimento oggi forse criptico, ma c’è sempre YouTube a rinfrescare la memoria), in cui il giovane Michele Apicella, in un duello televisivo con un regista rivale, prima tenta di argomentare politicamente, poi, con riluttanza, sputa una raffica di parolacce coronate da un “ma vaffa…”. Il pubblico lo acclama all’unanimità, e l’arbitro, che ha il volto e il tono blasée di Giampiero Mughini, commenta “ancora una volta la volgarità ha trionfato”.

La volgarità, e la dinamica da litigio fra ragazzini, quando gli adulti non sentono, e si possono sparare parolacce a più non posso, inframmezzate dagli immortali aforismi dell’asilo, “mille volte più di me, la figura la fai te” e “specchio riflesso, buttati nel cesso”. Il fatto che qui non siamo nel Diario di una schiappa, e i due contendenti non sono monelli da strada, ma un ministro dell’interno stella polare dei sovranisti europei e un autorevole maitre a penser più vicino agli ottant’anni che ai settanta.

E l’impressione è che a esacerbare i toni sia il fatto che al centro della contesa c’è una giovane donna, l’esca ideale per stimolare in entrambi la produzione di aggressività testosteronica.

Salvini diventa più sprezzante e offensivo, Sofri diventa un anziano sboccato e, con tutto il rispetto, un po’ patetico. Carola la capitana è una pirata della stessa ciurma cui appartiene il cardinal Krajewski, quello che ha riallacciato la corrente agli inquilini del palazzo occupato a Roma: chiamiamolo Team Antigone, dal nome dell’eroina greca che contravveniva alle leggi della città in nome delle leggi non scritte, riassumibili nel «restiamo umani», o nell’evangelico «il sabato è per l’uomo, non l’uomo per il sabato».

Un team di gente che non insulta né straparla, ma agisce e, quel che più raro e importante, sa prendersi le proprie responsabilità di fronte alla legge. E meriterebbe accusatori e difensori un po’ più decorosi.

Lia Celi