HomeCronacaL’unica certezza è che finirà e per ricominciare ci servirà il sorriso


L’unica certezza è che finirà e per ricominciare ci servirà il sorriso


21 Marzo 2020 / Lia Celi

«Maschere nude» erano quelle del teatro di Pirandello. «Mascherine nude» sono quelle che coprendo i nostri visi svelano cosa ciò che proviamo: paura del contagio, sì, ma anche rispetto per noi stessi e per il prossimo, solidarietà con l’angoscia di una città, di un Paese.

Ormai se ne vedono di ogni genere, dagli scafandri inespugnabili da cantiere edile, ai gusci di cartone che usavano le casalinghe allergiche alla polvere, da quelle con la valvola e doppio filtro ai rettangolini pieghettati azzurri che ormai costano come una borsetta di Prada.

E poi ci sono le mascherine autoprodotte, come quelle che porto io, che dall’inizio dell’emergenza non ho trovato una farmacia senza il cartello «mascherine esaurite». Per ora uso la carta forno o il pannetto antipolvere, ma ho visto un tutorial di un medico francese che insegna a realizzarle anche con i normali tovaglioli di carta e assicura che fanno il loro mestiere – cioè impedire di spandere goccioline pericolose. Due elastici, due graffette e voilà, ecco pronta una mascherina in parte riciclabile (si butta la carta e si tengono gli elastici) e personalizzabile a piacere. Ho visto chi ci disegna una bocca sexy, o un sorriso, completato dal fumetto “andrà tutto bene”. L’ottimismo vacilla ogni giorno di più ma dobbiamo continuare a sperare a dispetto delle brutte notizie.

La vita è strana e imprevedibile. Ce l’ha appena dimostrato. Per anni abbiamo inveito contro i talebani che obbligavano le donne a circolare con il burqa, abbiamo imposto il viso e il capo scoperto negli uffici pubblici e nelle scuole per disincentivare gli integralisti islamici, e ora ci ritroviamo a girare tutti col viso coperto, uomini e donne, credenti assortiti e atei. Anzi, è più inappropriato entrare in un negozio scoperti dal mento in su che scoperti dalla vita in giù.

Nell’Italia a. C. (avanti Coronavirus) la tendenza a isolarsi era vista solo come allarmante sintomo di una patologia, e gli hikikomori (i ragazzi che vivono tappati nella loro camera e rifiutano anche il contatto con i familiari) erano un cruccio per i genitori. Nel giro di una settimana isolarci è diventata l’unica forma di profilassi di una patologia seria e gli hikikomori sono l’esempio da seguire.

Nella primavera 2020 il vero cruccio per i genitori sono i figli socievoli e popolari che non vogliono rinunciare all’aperitivo e alle serate con gli amici. Dal giorno alla notte gli indefessi frequentatori di palestre e i patiti della corsetta quotidiana sono passati da persone attente alla propria salute a pericolo per la salute altrui. I vituperati social, il bersaglio preferito di soloni e opinionisti, ora sono l’unico modo (non solo per noi, ma anche per il presidente del Consiglio) per interagire in tempo reale con il mondo esterno senza rischiare di prenderci o trasmettere un morbo contro cui ancora non esistono vaccini né cure infallibili. Da tre settimane il problema non è più staccare i nostri figli dalla rete, ma attaccarceli in tempo per seguire le lezioni online dei loro professori. Anche noi grandi possiamo lavorare solo dal pc, e sempre sul web troviamo di che alleggerire la clausura – film e serie, ma anche podcast e video grazie ai quali possiamo imparare qualcosa di nuovo.

Il nostro mondo si è ribaltato in meno di un mese, con un tipo di emergenza antica e modernissima, alla quale nessuno era preparato. Ma le epidemie, come le guerre, finiscono. La fine di questo dramma, non devono trovarci prostrati e depressi. Come sempre quando si perdono i propri cari – e questa volta purtroppo siamo in tanti a condividere il medesimo lutto, con l’aggiunta dello strazio di dover essere assenti – dobbiamo proteggere e coltivare la nostra forza d’animo quanto la salute. Perché un domani, si spera non troppo lontano, saranno entrambe necessarie per ricostruire le nostre vite. E il coraggio di tirar fuori un sorriso vale molto di più della mascherina con cui in questi giorni siamo costretti a coprirlo.

Lia Celi

(nell’immagine in apertura, le mascherine con il sorriso della Farmacia Manzolli Sambruson di Dolo in provincia di Venezia)