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Quel messaggio di speranza che ci arriva da Pompei


26 Dicembre 2020 / Lia Celi

L’hanno chiamato “il regalo di Natale arrivato da Pompei”. La contraddizione fra la ricorrenza cristiana e il mittente pagano è solo apparente: se l’evento commemorato il 25 dicembre è la nascita di Gesù, la data in cui la tradizione l’ha collocato è quella in cui fino al III secolo si celebrava la nascita del dio Sole, a ridosso delle feste dei Saturnalia, in cui i Romani si scambiavano doni chiamati “strenae”.

Niente di strano se proprio in questi giorni Pompei, città diventata sinonimo di catastrofe, invii un regalo a un Occidente che sta affrontando una catastrofe, seppure di altro genere. Regalo indovinato e significativo: un “thermopolium”, cioè, tecnicamente, una tavola calda, situato nella Regio V della città sepolta.

Emerso nel 2019, è stato scavato e studiato anche durante i mesi del lockdown, per poterci offrire nell’ultimo scorcio di questo tremendo 2020 una visione dei suoi affreschi dai colori smaglianti e della sua struttura così pratica e moderna, simile ai self-service degli autogrill.

Mentre tutta l’Italia è in zona rossa, con bar e ristoranti chiusi, l’unico locale aperto è una tavola calda vecchia di venti secoli, nel cui bancone, provvisto di scomparti per le varie pietanze, ci sono ancora avanzi di cibo. Nel locale sono stati rivenuti anche i resti umani degli sventurati che nell’agosto (o più probabilmente ottobre) del 79 vi avevano cercato rifugio dalla pioggia incessante di cenere e lapilli eruttata dal Vesuvio, e forse avevano approfittato dei recipienti ancora pieni, per un ultimo spuntino.

Poche categorie, in questo periodo durissimo, hanno bisogno di incoraggiamento e di speranza più di baristi, ristoratori, gelatai e pasticceri, fiaccati dal lungo confinamento, dalle limitazioni anti-Covid e dalle aperture e chiusure a singhiozzo eruttate dal governo Conte, vulcanico in fatto di decreti.

Tira avanti solo chi si sta sulle piattaforme e serve i clienti a domicilio. In questi giorni di zona rossa le città, compresa la nostra, sembrano delle Pompei moderne, intatte ma silenziose e deserte, sepolte dalla invisibile lava eruttata dalla pandemia.

Ma dalla Pompei antica, dalla tavola calda della Regio V, davanti alla Locanda dei Gladiatori, arriva un messaggio di ottimismo: niente, né il tempo né le sciagure, riuscirà a cancellare dalla nostra civiltà l’arte plurimillenaria dell’ospitalità e della buona cucina.

Il proprietario di quel locale, un ricco liberto dal nome greco, probabilmente aveva investito parecchio nel suo locale. Aveva arruolato i migliori pittori e gli architetti alla moda per realizzare un ambiente elegante e accogliente, e cuochi professionisti per cucinare ogni giorno zuppe e intingoli in grado di reggere la concorrenza con gli altri thermopolia (almeno quindici) attivi a Pompei.

L’eruzione ha seppellito lui, il suo ristorante e tutta la sua clientela. Ma duemila anni dopo possiamo ancora ammirare il suo buon gusto e, grazie alle indagini degli studiosi, sapere perfino cosa proponeva il menu del giorno dell’eruzione.

A Pasqua 2021, assicura la direzione del parco archeologico di Pompei, l’antenato dei nostri fast food sarà riaperto al pubblico, per la prima volta dal quel fatale 79. E insieme a lui, auspicabilmente, risorgerà tutto il mondo della nostra ristorazione, nella sicurezza che ci avranno procurato i vaccini, appena arrivati in Italia.

Lia Celi


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