E in piazza Malatesta riappare il “praticabile” della Fontana. O è qualcos’altro?
25 Maggio 2021 / Stefano Cicchetti
E’ o non è il “praticabile”? Quello che è emerso durante i lavori in corso in piazza Malatesta è il percorso sotterraneo che accompagna per 130 metri la conduttura d’acqua della Fontana della Pigna?
Così ha pensato subito Paolo Semprini, appassionato di storia e archeologia di Rimini. Ne è meno convinta l’archeolologa Cristina Ravara Montebelli, che commenta su Facebook: “Non credo sia quello, è a quota troppo alta è spostato rispetto al praticabile ed è troppo piccolo, ma di certo è una struttura interessante”. Interessante come tutti i reperti fin qui riemersi durante i lavori, di cui ancora nulla di ufficiale dice la Soprintendenza, nonostante siano passati ormai molti mesi dall’apertura del cantiere. Ma la ritrosia di Ravenna a far sapere qualcosa ai comuni mortali non rappresenta certo una novità. Nel frattempo, qualasiasi cosa fosse è già stata ricoperta col cemento.
Comunque Ravara Montebelli aggiunge: “Il praticabile passava accanto alla Rocca, aveva una struttura di copertura e ci stava dentro una persona per le ispezioni. Potrebbe essere anche una condotta fognaria, speriamo che sia documentata dai colleghi…”. L’archeologa pubblica anche un’immagine: “Sezione della camera del praticabile, a destra la scarpa del fossato”.
Al che Semprini risponde: “Mi auguro di non dire scemenze, ma se rischio è solo per la mia passione per le antichità. La sezione pubblicata dell’archeologa Cristina Ravara Montebelli dovrebbe essere vista da monte verso mare, e riguardare il muro che perimetrava il fossato di Castelsismondo, sottostante o non molto distante rispetto alla fontana tuttora esistente nei pressi dell’ex bar Tricheco”.
Ma cos’è il “praticabile”? E’ una galleria completata nel 1840, dopo i restauri apportati a quello che fin dall’epoca romana (e fino al 1912) era l’unico acquedotto della città, o almeno il solo che sia sempre rimasto in funzione. Quello che da una risorgiva di falda della conoide del Marecchia porta ancora l’acqua alla Fontana, solo dal 1807 sormontata da una pigna. Lo stesso condotto alimentava anche il “fontanone dei cavalli”, un abbeveratoio posto allo sbocco dell’attuale via Sigismondo sulla piazza. Il “praticabile” si deve all’ingegnere Pacifico Barilari e doveva servire alla manutenzione del condotto, fino all’edicola realizzata nel 1870 su progetto dell’ingegnere Gaetano Urbani sul luogo della sorgente: la vediamo tutt’ora in via Dario Campana. Vi si poteva accedere da diversi tombini in cui i ragazzi più avventurosi si calavano in cerca di brividi. Sempre a commento di Semprini, scrive Andrea Paolo Morelli: “Con amici sono entrato nel praticabile dalla botola collocata vicino alla fontana posta accanto all’ex bar. Ci siamo inoltrati per circa 50 metri ma poi abbiamo dovuto desistere perché il praticabile era bloccato da una frana. Era fine anni 50…”.
La galleria era stata restaurata nell’estate del 2002, con rifacimento dell’impianto idraulico interno e la pulizia dei materiali in pietra. In quell’occasione era stata anche effettuata una ricognizione di un tratto dove il “praticabile” era ancora tale, cioè fino a dove era interrotto dalle frane. Lo scrittore Piero Meldini, uno dei partecipanti all’ispezione, nel suo vivace resoconto aveva ricordato che la presenza di questo sotterraneo, noto a tutti ma effettivamente visto da pochissimi, poteva aver contribuito ad alimentare le tante leggende sulle “grotte dei Frati Bianchi”.
Ovvero i passaggi segreti utilizzati dai monaci Olivetani di S. Maria di Scolca per le malefatte che il popolo attribuiva loro, forse invidioso delle loro ricchezze, ingenti quanto esibite. Le cronache del Settecento riferiscono l’ostilità suscitata da quell’abate di Scolca che scendeva dal colle sfrecciando a bordo di un “tiro a sei”, cioè una sfarzosa carrozza mossa da ben sei cavalli, lusso solo per pochissimi. Quei cunicoli sarebbero discesi da Covignano fino a penetrare fin nel centro della città, con uscita terminale che qualcuno credeva occultata nel tempietto di Sant’Antonio, altri proprio nella Fontana. Pertugi dai quali, sempre per dare ascolto alle leggende, i monaci malvissuti sbucavano per rapinare viandanti e rapire fanciulle, per poi scomparire nuovamente nelle viscere della terra fino a rientrare nell’abbazia.
E sempre in quegli ipogei sarebbe stato nascosto il favoloso tesoro segreto dei Frati Bianchi, frutto di tanti misfatti, insieme ai poveri resti delle loro vittime. Tesoro maledetto, custodito da anime in pena che impedivano a chiunque di appropriarsene. Come accadde a quel fabbro, protagonista di una “fola” raccontata per generazioni ad ogni “veggia” intorno ai focolari. Essendogli stato svelato in sogno il punto dove scavare il tesoro, scelta una notte senza luna per non farsi scorgere da nessuno, prese a picconare il terreno a colpo sicuro. Ma per ogni picconata, nell’officina del fabbro il martello si sollevava da sè per poi colpire l’incudine. Finchè la terrorizzata moglie dovette andare a riprenderselo in lacrime scongiurandolo di tornare a casa.
Se il “praticabile” esiste solo dal 1840, il condotto romano della fontana era lì da duemila anni. Era stato utilizzato anche come passaggio segreto per sortite dalla città? Lo stesso Castel Sismondo a sua volta era fornito di altri cunicoli utili agli stessi scopi? Niente di più probabile, dal momento che tali gallerie erano la norma nelle città e nelle fortificazioni antiche. Tutti questi percorsi sotterranei, dunque di per se “misteriosi”, assieme a quelli, innumerevoli, che erano stati scavati per secoli nel “sabbione” dei colli di Covignano, sono andati a far parte integrante della mitologia riminese.
Stefano Cicchetti
(in apertura, foto di Paolo Semprini)