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Ma per i media l’alluvione in Romagna è già acqua passata


27 Maggio 2023 / Lia Celi

L’acqua ristagna ancora nelle vie di Conselice e di altri borghi del Ravennate, inzuppa cumuli di masserizie ai lati delle vie, continua a sciogliere fette di colline e tratti di strade, si precipita nel nostro mare per insozzarlo con rifiuti e relitti.

Ma per i media l’alluvione che ha annegato la Romagna sta già diventando acqua passata e lo spazio dedicato alle notizie su vittime, danni ed eroici soccorritori si rimpicciolisce a ogni edizione e scivola sempre più in basso nei sommari e nella paginazione.

Da noi anche l’informazione ha un carattere torrentizio, si gonfia all’improvviso e tracima da video, carta e smartphone occupando con prepotenza la nostra attenzione con fiotti di breaking news, foto scioccanti, video sconvolgenti, testimonianze strazianti, numeri allucinanti. Si ferma per qualche ora, massimo qualche giorno, ma non tanto da impaludarsi, perché deve presto ritirarsi per lasciare il posto a una nuova ondata – magari nemmeno tanto nuova, ma diversa dalla precedente.

E così oggi nelle prime pagine nazionali l’alluvione romagnola è sparita, lasciando solo accenni che galleggiano come detriti nello specchio d’acqua delle prime pagine, egemonizzato dalla paralisi del Pnrr e dalle polemiche a proposito delle nomine Rai. L’abnegazione e la generosità delle popolazioni colpite, il loro commovente spirito di comunità e la forza d’animo che ha ridotto quasi a zero la comprensibile quota di lamentele e di recriminazioni che solitamente segue a questo tipo di eventi non fanno più notizia, il loro segmento è già terminato, bravi ma basta.

Sono molto più ghiotti i retroscena sulla nomina del commissario alla ricostruzione, un incarico di peso che comporterebbe la gestione di miliardi di euro e un importante ritorno in termini di consenso, tutta roba che, a quanto pare, Fratelli d’Italia preferirebbe mettere in mano a un suo uomo piuttosto che a un governatore del Pd, per quanto stimato e competente.

Politicanti al potere che vogliono sfruttare a loro vantaggio gli stanziamenti multimiliardari di una ricostruzione: è davvero una novità, in Italia? Noi anzianotti che ricordiamo il terremoto dell’Irpinia (vennero erogati fondi per oltre 50mila miliardi di lire, pari a 25 miliardi di euro, e ancora ci sono case lesionate e ricoveri di fortuna) ci facciamo una risata.

Invece la vera notizia, quello che ha fatto davvero scalpore, tanto da stupire perfino Ursula von der Leyen, sono stati proprio i miracoli illuminati dal disastro, cioè la tempra dei romagnoli, la loro resilienza, la generosità delle migliaia di ragazzi e ragazze accorsi con pala e stivali. Tutte lezioni che un Paese di piagnoni, egocentrici e giovanòfobi dovrebbe imparare e meditare.

Ma forse sono troppo impegnative, perché farebbero vacillare il comodo vittimismo dell’italiano medio, i pilastri con cui giustifica il suo perenne mugugno sfiduciato: siamo fatti in un certo modo, ognuno pensa per sé, i giovani non hanno voglia di lavorare, eccetera.

E invece no, non è obbligatorio essere così, i nostri giovani sono diversi da quel che crediamo. Tanti discorsi che facciamo e/o ascoltiamo ogni giorno, e che ingrigiscono il nostro morale come una specie di smog appiccicoso, sono solo un’auto-denigrazione che alla fine diventa un comodo alibi all’inerzia, troppo comodo per rinunciarci. Quindi molto meglio spostare l’attenzione sulle solite trite miserie o sull’ultimo fattaccio di cronaca.

«L’è isè», commenta filosoficamente il romagnolo, alzando le spalle. Poi si rimette a spalare nel pantano, per farlo tornare un giardino nel minor tempo possibile.

Lia Celi