De Magistris, Ingroia e D’Alema: a chi l’Oscar della simpatia?
14 Marzo 2017 / Nando Piccari
A NAPOLI FINISCE 1-1: GOL DI SALVINI E DE MAGISTRIS.
È finita in pareggio, uno a uno, la partita di “calcio alla democrazia” che sabato scorso ha visto le squadre di razzisti e teppisti affrontarsi a Napoli. Il gol di Salvini è consistito nell’aver capito che non sarebbe mancata la solita congrega di sbraitanti idioti a trasformare in “evento da cronaca nazionale” un mini-raduno di sfigati suoi fans napoletani, altrimenti destinato a passare inosservato. Il suo gol De Magistris l’ha invece segnato con uno sguaiato tocco di mistificazione, fingendo di non sapere che la manifestazione anti-Salvini sarebbe stata soltanto un pretesto per dare libero sfogo alla congenita violenza di alcune centinaia di delinquenti travestiti da militanti politici.
Come c’era da aspettarsi – a dimostrazione…che Dio li fa poi li accompagna – nell’occasione non è mancata al tromboneggiante arruffapopoli napoletano la solidarietà del bofonchiante Michele Emiliano, il quale ha voluto così ulteriormente rimarcare l’auto-dichiarata vicinanza politico-culturale a buona parte di quanto proviene dalla discarica del pensiero grillino.
C’è da rabbrividire “a posteriori” pensando che questi “bei gingini” sono stati a lungo due Magistrati della Repubblica Italiana col delicato ruolo di Sostituti Procuratori. Roba che, al confronto, finiscano per apparire delle esibizioni da gentleman perfino certe “bravate” di Di Pietro o le esternazioni “in stile sfasciacarrozze” di Davigo, l’attuale Presidente dell’Associazione Magistrati.
A SCUZZARIA ‘MMENZU A VIA, U SO IMMU ‘NSU TALIA
Sempre a proposito di magistrati, in genere non sono molte le occasione di divertimento procurate dalle cronache giudiziarie. La cosa mi è invece successa qualche giorno fa, leggendo gli articoli dedicati al dimenticato Antonino Ingroia, il Sostituto Procuratore di Palermo talmente paladino della lotta alla mafia da essere a suo tempo definito «quasi un’icona dell’antimafia» da Massimo Ciancimino, uno che l’ha lungamente preso per il naso fingendosi collaboratore di giustizia.
Come si ricorderà, Ingroia ha passato la metà dei suoi anni di carriera a Palazzo di Giustizia e l’altra metà a farsi intervistare, video-riprendere e fotografare nel mentre propagandava urbi et orbi un mix di stravaganti teoremi inquisitori e stramberie politiche. Da quella lunga rincorsa mediatica è poi sorta nel 2013 “Rivoluzione Civile”, la formazione politica da lui condotta alla disfatta elettorale.
Troncata dunque sul nascere la carriera di nuovo astro della politica, il Nostro si sarebbe rassegnato a tornarsene in Magistratura con la coda fra le gambe, se la legge non gli avesse lasciato una sola possibilità: emigrare alla Procura di Aosta, collocata nel territorio dell’unico collegio elettorale d’Italia in cui non si era (inutilmente) candidato. Così decise di cambiare vita e, accettata l’offerta dell’amico Presidente della Regione Rosario Crocetta, divenne il molto ben remunerato amministratore della società “Sicilia-e Servizi”.
È in tale veste che oggi Ingroia si trova indagato di peculato dai suoi ex colleghi, ma non è questa la cosa divertente. A far sorridere è la vibrata dichiarazione con cui egli esprime «stupore e amarezza (..) nel constatare che qualcuno ha dato in pasto alla stampa la notizia di questa indagine (..) perché è stupefacente che la notizia sia stata data dalle agenzie di stampa solo pochi minuti dopo che io ho lasciato gli uffici della Procura».
Dite voi se non c’è da ridere di fronte al fatto che uno dei più noti “inquirenti a mezzo stampa” di questo Paese, arrivato perfino ad infastidire “per via giornalistica” il Presidente della Repubblica, si ritrovi oggi a piagnucolare rivendicando per sé quel sacrosanto “segreto istruttorio” così spesso calpestato durante le sue passate indagini.
Verrebbe perfino voglia di sbizzarrirsi con i proverbi: «Chi è causa del suo mal pianga se stesso», oppure «Chi la fa l’aspetti». Se si trattasse di un legaiolo o di un grullino “gli starebbe come un vestito nuovo” lo sbeffeggiante “Il bue che dà del cornuto all’asino”. Ma Ingroia non arriva a tanto, per cui voglio essere rispettoso della sua “sicilianità” – il mio inveterato “mal di Sicilia” me lo impone – limitandomi a tradurre il proverbio che funge da titolo: «La tartaruga [che cammina] in mezzo alla strada, non vede la sua gobba. Come a dire che c’è chi guarda i difetti degli altri ma ignora i propri.
CHI VA VIA PERDE IL POSTO ALL’OSTERIA
Una volta tanto voglio anch’io lasciarmi andare a un po’ di gossip. La ghiotta occasione me l’hanno fornita le “soffiate” sulla recente “comparsata alimentare” di D’Alema nella sede del Partito Democratico di Morciano e Valconca, che ormai da anni uno stupendo gruppo di volontari “traveste” da ottima Osteria Romagnola in occasione della tradizionale Fiera di San Gregorio.
Vedendolo arrivare, i “militanti camerieri” del PD morcianese non credevano ai propri occhi: “ma che ci viene a fare?”, era il sommesso mormorio. Qualcuno s’è perfino lasciato andare ad un “viene forse a sputare nel piatto dove mangiava?”.
Ma la sorpresa nella sorpresa era data dal fatto che il drappello dei suoi accompagnatori (gli stessi che l’avevano chiamato all’iniziativa pubblica a Misano) fosse interamente composto – a parte il giornalista Cioria – da noti esponenti periferici del PD non (o non ancora?) fuorusciti dal partito.
Meno sorprendente, a dire il vero, risultava il fatto che avesse l’aria di capeggiarli il “pidiissimo” presidente riminese di Romagna Acque, poiché lui possiede notoriamente il dono dell’ubiquità; al punto che lo scorso gennaio riuscì a farsi contemporaneamente tele-riprendere sia al fianco di Speranza, durante la manifestazione pre-scissionista a Roma; sia al fianco di Renzi, venuto a Rimini all’assemblea degli amministratori PD.
Risulta dunque difficile capire quale sia stata la ragione per cui quei “pidiini tormentati” abbiano scelto di portare a cena D’Alema proprio lì. Se la loro voleva essere una provocazione, non è riuscita, dal momento che è stato accolto con garbata indifferenza. Se voleva essere una “operazione simpatia”, diciamo che allora…non conoscevano D’Alema. Il quale è rimasto per tutto il tempo immusonito con lo sguardo rivolto al piatto; ha accolto con palese fastidio le due o tre richieste di “selfie” di alcuni avventurosi; ha abbandonando ad un certo punto la cena con un perentorio “scusate, devo andare” e senza neppure dare il tempo di farsi stringere la mano.
Le mie informazioni non l’hanno confermato, ma sono pronto a giurare che qualcuno di quegli scanzonati “compagni camerieri” di Morciano alla fine si sia messo a cantare, declinando le famose “Osterie”: “Osteria del PD – c’è D’Alema che mangia qui / Osteria numero otto – non c’è Vissani che fa il risotto / Osteria numero uno – così lui non caga nessuno / Osteria numero tre / paga il conto Bernabè”.
Nando Piccari