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9 agosto 1742 – Rimini campo di battaglia per Spagnoli e Piemontesi


9 Agosto 2023 / ALMANACCO QUOTIDIANO

Nella folle assurdità di tutte le guerre di tutte le epoche, i conflitti del XVIII secolo in Europa si distinguono per la loro inarrivabile incomprensibilità. La guerra non è questione di popoli e nazioni, di idee o di fedi, ma un fatto personale fra sovrani, tutti imparentati fra loro.

Questi legami famigliari dànno origine a dispute inestricabili sui diritti ereditari. Inoltre, gli eserciti non sono nazionali, ma formati da mercenari di ogni provenienza, a iniziare dai comandanti.

E infine, questi eserciti si affrontano ovunque, anche su terreni che non appartengono a nessuno dei contendenti, ma a stati troppo deboli per non diventare campi di battaglia per le guerre altrui. E lo Stato delle Chiesa, di cui Rimini fa parte, è uno di questi. Il risultato è che le popolazioni possono in qualsiasi momento trovarsi in balia di avvenimenti del tutto oscuri, impossibili da capire e tanto meno da controllare, quasi metafisici.

Il passaggio di un esercito, infatti, rappresentava per un territorio una sciagura in tutti i casi. Se nemico, aveva diritto legale di far bottino; ma anche se l’esercito era “amico”, o perfino se era il “proprio” esercito, tutti quegli uomini e animali andavano alloggiati e nutriti dietro risarcimenti che troppe volte erano solo teorici e mai equi. Non bastasse, violenze, requisizioni e prepotenze erano sempre nell’aria. Magari gi avversari cercavano di non farsi troppo male l’un l’altro, ma nei teatri degli scontri le “superiori esigenze militari” potevano lasciare segni dolorosi: ponti e strade fatte e disfatte, campi calpestati, acque deviate e così via.

Tutti questi rischi terrorizzano i Riminesi nel 1742, quando è in corso la Guerra di Successione Austriaca. Per il solito complicato gioco di alleanze, consorterie e territori controllati a macchia di leopardo dalle varie dinastie, quell’anno succede che gli Spagnoli stanno risalendo l’Italia provenendo dal loro Regno di Napoli per andare ad affrontare i Savoia, in quel momento amici dei loro nemici Austriaci. Il comandante degli ispano-napoletani è il Duca di Montemar, che aveva conquistato il Regno delle Due Sicilie per il re di Spagna ed era un discendente di quel cardinale Albornoz che metà del XIV secolo aveva riportato Romagna e Marche all’obbedienza papale.

José Carrillo de Albornoz, primo duca di Montemar

José Carrillo de Albornoz, primo duca di Montemar

Scrive Carlo Tonini: «Preso terra ai porti della Toscana spettanti all’Infante don Carlo (perchè la Spagna fin dal XVI secolo controllava con lo “Stato dei Presìdi” i porti strategici del Granducato fra Elba e Argentario), si diressero insieme con le genti raccolte nel reame di Napoli alla volta dello stato ecclesiastico, e tra la fine di gennaio e il principio di febbraio del 1742 s’incamminarono pel mezzo di esso, dietro licenza avutane dal sommo pontefice. Da Foligno giù giù stendendosi con molta lentezza, pervennero finalmente a Pesaro: e solo a’ 25 febbraio cominciarono a giungere in quel di Rimini. Il nostro Consiglio avea già fin dal 23 gennaio pensato ai provvedimenti per alloggiarli. Ma poi dovette regolarsi a norma degli ordini mandati dal governo. A’ 21 marzo si mosse alla volta di Rimini, dopo 35 giorni di stanza in Pesaro, lo stesso Duca di Montemar. L’ingresso del Duca fu salutato dalla fortezza con un colpo di cannone e con dodici di mortali».

Ufficiale e soldato del “Reggimento di Bari” del Regno di Napoli nel 1743

Per ora va tutto liscio, o quasi: «Non si ebbero allora molestie né dal generale né da’ suoi. Ma non fu così per la vicina Repubblica di S. Marino. Un imperioso ordine del Montemar la costrinse a fornire all’esercito cinquanta letti compiti di tutto, né valse a scusa lo addurre, che essa fece per mezzo dell’ambasciatore Giuseppe Onofri, le difficoltà che si opponevano alla pronta esecuzione di quell’allestimento».

Ma il nemico si avvicina: «Intanto il Re di Sardegna, determinatosi in favore di casa d’Austria, perveniva sotto Modena, e se ne impadroniva: di che nasceva gran comozione nell’esercito spagnuolo, e le marcie delle milizie si affrettavano tanto che era un continuo passare di genti, alle quali dovevansi prestare gli alloggi, e la città nostra ne era rigurgitante. Accaddero perciò non pochi inconvenienti, massime pel contegno tenuto dai capi degli Ordini religiosi, i quali avendo già ricettato un buon numero di soldati, non vollero più riceverne, e fecero chiudere le porte dei Conventi. Se non che dalll’inconsiderato proposito dovettero desistere e rassegnarsi a portare il peso comune. Nel mese di luglio poi segui un grande andirivieni: ordini e contr’ordini si davano di partenze, di marcie e contromarcie, né si sapeva il perché».

Il “3° Reggimento di Fanteria Nationale della Mirandola” del Duca di Modena nel 1740, nell’illustrazione ottocentesca di Quinto Cenni. I soldati del Duca, alleato degli Spagnoli, disertarono in massa all’arrivo degli Austro-Sardi

Quando quel perché diviene chiaro, se non è il panico poco ci manca: «Ma poi s’intese avvenir questo dalla non buona fortuna delle armi Napoletane e Spagnuole, le quali avean dovuto cedere alle Austro-Sarde anche la fortezza della Mirandola: onde il Montemar fatta battere la generale ritirata e lasciato il campo e le fortificazioni del Bondeno, fe’ ritirare l’esercito dalle Romagne con animo di concentrarsi e far massa in Rimini. Grande turbamento apportò questa cosa negli animi de’ nostri Magistrati, perché la città si’ trovava del tutto sprovvista di legne, di foraggi, di frumento, e, quel che peggio era, di denaro a provvederli, per cagione delle ingenti spese fin qui fatte. Giunsero inoltre per mare molte barche cariche di più migliaia di soldati infermi, ai quali pure pretendevasi che il nostro Comune desse alloggio e sostentamento. In questa ecco giungere novelle che il Re Sardo era entrato colle sue genti in Imola, ove fra poco doveva aggiungerlo il generale Traun coll’esercito austriaco. Più affrettato e sollecito fu per conseguenza il ritirarsi delle truppe Spagnuole, tal che il di primo d’agosto la città nostra ne fu cosi ripiena e in tanta confusione, che male si può esprimere a parole. E a compassione veramente movevano cosi gli ufficiali come i soldati al mostrarsi che facevano tutti rifiniti e languenti per la fame, per la sete e pel caldo».

Il feldmaresciallo austriaco Otto Ferdinand Graf von Abensberg und Traun

Il feldmaresciallo austriaco Otto Ferdinand Graf von Abensberg und Traun

Buon per noi che agli Spagnoli va di male in peggio: «Dopo una breve sosta tra il ponte di Bellaria e Bordonchio, tutto l’esercito Spagnuolo a’ due del detto mese marciò verso Rimini e andò ad accamparsi tra il ponte di Lisano e la porta di S. Andrea. Il Duca di Montemar, salutato dalla ròcca col cannone e coi mortari, prese stanza come prima nel palazzo Buonadrata, e il Duca di Castropignano passò in quello de’ Tingoli nella piazza del fòro. I marescialli, i tenenti, i tesorieri, i medici e gli altri ufficiali alloggiarono nelle case dei privati finché ne furono tutte piene. Ben tosto si scarseggiò di pane e di ogni altra cosa bisognevole: e fu buona ventura, che appresso ad una lieve zuffa, seguita a Capo di Colle tra Cesena e Forlimpopoli, il Montemar diede ordine ad una parte de’ suoi di marciare verso Pesaro, nella quale occasione furono fatti partire pur anco gli infermi più volte ricordati. Il che fu di grande sollievo alla città».

Sollievo di breve durata. Il duca cambia idea e progetta di aspettare l’urto con i Piemontesi proprio a Rimini. Si dà quindi il via a lavori di fortificazione lungo una linea che doveva andare «dalle mura della città sotto la ròcca ad una punta del colle di Covignano chiamata il Monte della Cava, né omettendo di fortificare eziandio l’altra punta dalla parte di S. Lorenzo a Monte. Fra le operazioni strategiche fatte allora dagli Spagnuoli, sia per agevolare le comunicazioni dell’esercito sia pel caso di una ritirata, fu pur quella di aprire quattro larghi stradoni, che dal fiume Marecchia traversando la via di Verucchio andavano a terminare all’altro fiume dell’Ausa, con ponti sulla fossa del molino pubblico e sul Mavone: onde senza verun riguardo furono tagliate frasche, siepi, viti e quant’altro impedìva il lavoro. E molte fortificazioni pur si fecero alla città, e massime al borgo di S. Giuliano».

Carlo Emanuele III, re di Sardegna

Carlo Emanuele III di Savoia, re di Sardegna

Lo stato d’animo dei cittadini è facilmente immaginabile: «Uno spavento generale occupò gli animi dei riminesi, considerandosi da essi le funeste conseguenze che potevansi apportare ad una città da una battaglia combattuta alle sue porte fra due potenti eserciti. Per la qual cosa presero tutti a provvedere ai propri casi, chi nascondendo o nei sotterranei, o nelle muraglie delle case, o ne’ conventi, e suppellettili e gioie e denari, chi procacciandosi lo scampo colla fuga: e più di tutti, gli abitatori del borgo di S. Giuliano: molti de’ quali, caricate le robe e le famiglie loro sopra le barche, fecero vela per diversi lidi e a più sicura stanza».

L’esercito del Regno di Sardegna all’epoca della Guerra di Successione Austriaca in una rievocazione in Piemonte

Ma la fortuna questa volta aiuta Rimini: «Non altro quindi pareva doversi aspettare che il segnale dell’attacco. Quando ecco a’ 9 di agosto si vede giungere in Rimini un trombetta dell’esercito Austro Sardo con plico diretto al generale Duca di Montemar. Che cosa contenesse quel plico non si seppe. Ma il fatto fu che poco appresso venne ordine dallo stesso Duca a tutti gli equipaggi e bagagli e carri di partire alla volta di Pesaro: e nella notte prese la marcia verso colà tutto l’esercito, non rimanendo in Rimini che un distaccamento di tremila uomini, i quali partirono poi alla loro volta essi pure, servendo di retroguardia, perché le schiere Austro-Sarde s’avanzavano a grandi giornate. A’ dieci del mese in fatti giunsero qui le prime di esse, e trovato nel porto fra le reliquie dell’esercito nemico un piccolo legno napoletano, permisero al popolaccio ivi accorso di saccheggiarlo. Il popolaccio non pose tempo in mezzo, e fece allegramente l’ufficio suo gridando — Viva la Regina! (Regina d’Ungheria — ossia la grande Maria Teresa d’Austria): il che molto dispiacque ai Magistrati della città».

Ma il Re Sardo, che è Carlo Emanuele II di Savoia, fa sapere che non oltrepasserà Cesena per riguardo, dice, nei confronti di papa Benedetto XIV. E forse proprio questo era scritto nel plico consegnato al duca; il quale da parte sua doveva ben sapere che un altro esercito spagnolo stava per invadere il Piemonte e che il Savoia sarebbe stato costretto comunque a girare i tacchi.

«Cosi fu dato ai nostri di respirare un poco da tanti travagli e di pensare a ristorarsene in ogni miglior modo».