5 settembre 409 – I Goti di Alarico prendono Rimini
5 Settembre 2024 / ALMANACCO QUOTIDIANO
Secondo Cesare Clementini, fu all’inizio di settembre dell’anno 407 che Alarico, re di Goti, si presentò alle porte di Rimini con il suo esercito. Il nobile erudito riminese scrive a 1.200 anni da quei fatti e non gli sono del tutto chiari l’esatta successione degli avvenimenti, le date e i nomi. Secondo lo storico bizantino Zosimo, vissuto invece solo un secolo dopo le vicende, l’anno era il 409. E il giorno? Potrebbe anche essere stato il 5 settembre, quando l’orda apparve agli occhi dei Riminesi.
Tanto tempo dopo, ancora nella città si tramandavano spaventosi racconti di quegli anni. Alarico si stava infatti dirigendo a Roma per assediarla. Era il suo terzo tentativo di prenderla e questa volta ci sarebbe riuscito: nell’agosto del 410, come non era più accaduto dai tempi dei Galli di Brenno, cioè 800 anni prima, Roma sarebbe stata conquistata e saccheggiata. Agli occhi dei nostri antenati, un fatto di tale portata non poteva non avere avuto qualche conseguenza anche a Rimini, che di Roma si era sempre sentita figlia prediletta e con orgoglio esibiva i suoi monumenti imperiali, «il nobilissimo Ponte, e l’Arco superbo».
Ai tempi di Clementini, a cavallo fra XVI e XVII secolo, si osservava che quei due mirabili capolavori «come si vede, son tocchi dal fuoco». E perché? Per le fiamme appiccate proprio dai Goti. Il motivo sarebbe stato «l’auaritia di quei Barbari il credere che l’iscrittione di tale Arco fosse di puro Oro, che trouatala poi di Rame, gettarono a terra non solo le lettere, e parte del Frontespicio, ma in dispregio del nome Latino, gli diedero sicome al detto Ponte il fuoco».
Sempre leggendo Zosimo, non si capisce se Alarico abbia conquistato Rimini con la forza oppure no e nemmeno fa cenno a saccheggi, ma è certo che la città passò sotto il controllo del re dei Goti. Non però un controllo diretto; Rimini fu assoggettata a Prisco Attalo, un potente senatore greco originario dell’Asia minore, Prefetto dell’Urbe, che Alarico aveva messo sul trono di Occidente al posto dell’imperatore legittimo, Onorio, rinserrato a Ravenna.
Attalo era qualcosa di più che un fantoccio nella mani del “barbaro”. Ricchissimo e influente rappresentante dell’aristocrazia tradizionalista, pagano convinto, godeva di buona fama sia come oratore che come poeta aulico. Un concorrente al potere molto serio per un Onorio che invece aveva già dato ampie prove della sua inettitudine a condurre la metà dell’impero assegnatagli dal padre Teodosio, quale primo imperatore d’Occidente.
Abbiamo detto “orda”, ma i Goti non invasero l’Italia come una selvaggia marea incontrollata. Fu una vicenda lunga dieci anni, con trattative, cambi di alleanze, lunghi periodi di tregua alternati a scontri e saccheggi. La tribù germanica, da tempo organizzata militarmente sul modello romano dopo tanti anni al servizio dell’impero, non voleva (solo) bottino, come i Celti di Brenno, ma cercava disperatamente un posto in cui fermarsi, dopo essere stata scacciata dalle sue primitive sedi nelle isole del Baltico e aver vagato per mezza Europa.
L’epopea di questo popolo umiliato e più volte tradito, capace di mettere in ginocchio la Città Eterna eppure alla fine sconfitto e disperso, ha comprensibilmente affascinato da sempre la cultura tedesca. Altrettanto evidente è il perché abbia invece lasciato del tutto indifferente quella italiana, che da sempre ha dipinto i Goti come i barbari per eccellenza, rozzi, brutali e ciechi distruttori.
In realtà ai tempi del sacco di Roma i Goti, come altri popoli “barbarici”, erano federati dell’impero romano, già vivevano all’interno del suo sacro confine, il limes, a difesa del quale combattevano come mercenari. Venendo però spesso e volentieri spediti al macello in campagne dissennate, comprese le continue guerre civili combattute fra i diversi pretendenti al trono imperiale.
Lo stesso re dei Goti era stato ribattezzato da Romani Flavio Alarico, aveva i gradi di generale dell’impero, magister militum, comandava l’armata romana dell’Illyricum. E per il suo popolo sperava (oltre a farsi liquidare le cospicue paghe arretrate) non di distruggere l’Impero ma di esservi ammesso, con gli stessi diritti dei cittadini romani e con della terra di cui poter vivere.
Alla fine Alarico si decise devastare Roma dopo un episodio accaduto proprio a Rimini. Qui, infatti, dopo le ennesime laboriose trattative, nel 410 depose Prisco Attalo e lo incarcerò assieme al figlio Ampelio: «Gli tolse il diadema – scrive Zosimo – lo spogliò della porpora e spedì tutto all’imperatore Onorio». Il generale Flavio Alarico non si sogna di proclamarsi imperatore, anzi si sottomette a quello di Costantinopoli presentandosi come colui che lo libera dall’incapace Onorio come dall’usurpatore pagano Attalo.
Alarico si trovava a Rimini perché stava assediando Ravenna. Attalo si era rifiutato lasciare a un Goto il comnado di una spedizione in Africa contro Eracliano, comes rimasto fedele a Onorio che aveva tagliato gli indispensabili rifornimenti di grano a Roma, poiché puntava invece a un nuovo accordo con Onorio. La sua deposizione a Rimini fu il guanto di sfida che Alarico gettò in faccia ad Onorio, prima di compiere l’atto fatale: il sacco di Roma.