Scrive Nevio Matteini: «Alle ore 11 di un giovedì, con la pioggia e il vento sferzante, la prima pattuglia dell’esercito alleato, quella greca del 2° battaglione della III brigata di montagna, entra a Rimini e avanza verso le Celle, mentre i tedeschi approfittando della pioggia si ritirano oltre il Marecchia in piena. A guidarli è il segretario del Cn riminese Gomberto Bordoni. Alle 19,15 sventolano sul Comune le bandiere greche e canadese. Attraverso un’altra parte della città infatti erano entrati i neozelandesi, e più tardi i canadesi. A mezzogiorno la fanteria canadese era già al di là dl Marecchia».
E il capo partigiano Decio Mercanti: «La città appariva completamente abbandonata dai propri abitanti. Dalla parte di Santarcangelo arrivavano ancora su Rimini frequenti le cannonate dei tedeschi. Nella città circolavano soltanto gli inglesi e i greci».
Così invece gli stessi fatti sono riportati dai tedeschi nel bollettino interno della Wehrmacht (dai documenti raccolti da Amedeo Montemaggi): «In seguito al ripiegamento dell’ala sinistra del LXXVI Corpo Carristi dietro il Marecchia, la 10° Armata ha interrotto la battaglia intorno a Rimini, prima che venissero distrutte anche le ultime forze. Le truppe hanno avuto qualche ora di riposo perché il nemico, a causa della pioggia, non ha potuto impiegare né le luci notturne, né gli aerei, né l’artiglieria. Dopo che, nelle ore pomeridiane il nemico è penetrato a Rimini, ha proseguito solo più tardi nella sua azione coi propri esploratori lungo il fronte della nuova linea. Sull’ala destra dell’Armata il tempo favorisce il nemico in montagna che tende a guadagnare spazio a nord mentre rende più difficoltose le nostre marce. L’Armata resisterà fino a quando la divisione sarà concentrata a Cesena per intervenire a seconda delle necessità».
E questa è la testimonianza di Bruno Ghigi, uno dei tanti Riminesi travolti dalla tragedia della guerra, morto di covid ai primi di gennaio del 2021. Contadino, poi operaio nelle fabbriche di aerei “Caproni” di Predappio, in quel momento si trova alla macchia e con una condanna a morte sulla testa, avendo rifiutato la chiamata alle leva dei fascisti di Salò. Come molti altri si è rifugiato a San Marino e lo stesso 21 settembre, visti arrivare gli Alleati, si mette in cammino per tornare nella sua casa di Rimini.
Sono una ventina di chilometri a piedi, sotto la pioggia. Passa per Covignano, dove una popolazione sconvolta sta uscendo proprio allora dalle grotte dove è rimasta rinchiusa anche per dodici giorni consecutivi. Per prima cosa stanno cercando di rimuovere i cadaveri dei soldati, che sono ovunque; lui stesso in Via Castellaccio aiuta una donna sua conoscente a spostare tre tedeschi morti. Dalla cima del colle, Ghigi vede casa sua, laggiù in basso. E riprende il cammino.
«Percorsa poca strada sono stato bloccato da un soldato canadese il quale in perfetto italiano mi chiese “Tu dove andare?”. Pronto gli ho risposto: “A casa mia” e poiché si vedeva, con la mano gliela indicai pure. Lui mi rispose: “No, tu venire con me” guardandomi nei piedi per vedere se portavo scarponi militari, perché di civili in giro ancora non c’era anima viva».
Ghigi viene condotto in una casa dove ci sono altri sfollati, i suoi documenti controllati meticolosamente e poi riconsegnati con un ordine perentorio: «Tu adesso andare a Riccione». Ma lui si ferma lì vicino in casa dell’amico Valerio e poi nel pomeriggio inizia a tagliare per i campi.
«Sono arrivato alla mia casa, che ho trovato in piedi, ma colpita da più granate e distrutta anche una parte del tetto, feriti i muri ed una di loro riposava inesplosa sul tetto. Nella stalla 5 cavalli di cui due già morti semibruciati, gli altri feriti, li ho sciolti e arrivati sull’aia succhiavano l’acqua che cadeva dal cielo, durante la notte sono morti. Di fuori dall’aia attorno casa un’altra mucca da latte morta che i tedeschi sicuramente si portavano dietro per avere latte fresco. E un mare di armi, munizioni, carrette, biroccini, biciclette, coperte, un piano forte, vestiti, che il folto gruppo di soldati tedeschi poi fatto prigioniero si portava dietro dopo averla razziata durante la ritirata. In fretta ho raccolto delle coperte, dei vestiti, cappotti e gettati in un tino e così salvati dall’essere portati via dalla Compagnia Recuperi alleata, che poi mi sono serviti per darli a chi era rimasto privo di tutto».
Ghigi dall’alba non ha ancora mangiato niente e quando da palazzo Bianchi sente arrivare un «buon profumo di cibi cotti», crede di sognare. E’ una cucina da campo alleata, dove chiede qualcosa da mangiare al cuoco.
«Mi ha riempito un vassoio pieno di ogni ben di Dio, che con la fame arretrata che avevo ho divorato tutto alla svelta, il mio stomaco da tempo riceveva poco o niente mi ha fatto correre il rischio di svenire».
Bruno riceve in regalo dal cuoco «che aveva capito che il mio corpo da tempo non lavavo», anche «un bel pezzo di sapone» e riempita una tinozza nella sua aia può finalmente concedersi il lusso di un bagno dopo settimane passate a dormire per terra.
Si fa sera e Ghigi non si azzarda a dormire da solo fra le rovine di casa sua. Torna allora a casa di Valerio, dove in diversi stanno stendendo la paglia nella stalla per trascorrervi la notte.
«Quando stavamo per stenderci sopra arrivarono tre soldati in borghese, penso greci, che volevano far violenza alle donne. Noi eravamo 6 uomini, più le donne, alla fine dovettero rinunciare ai loro insani propositi, andarono via dopo aver sfilato dalle dita di Pippo Foschi un anello d’oro. Passammo la notte distesi su quella paglia, ogni tanto svegliati dall’arrivo delle granate tedesche. E trovandomi disteso accanto ad Ester la toccai e non reagendo capii che avrei potuto riprendere la nostra storia d’amore».
L’ingresso dei soldati greci a Rimini il 21 settembre 1944 nel filmato girato dall’Ottava Armata britannica: