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14 ottobre 360 – Gaudenzo vescovo di Rimini diventa martire e santo


14 Ottobre 2024 / ALMANACCO QUOTIDIANO

«Il Console Marciano e gli adiratissimi soldati della guardia, innanzi il levar del sole, segretamente pigliarono, e condussero il santo fuori della Porta orientale del Borgo, destinato a supplicij, ove i Riminesi undici anni prima l’avevano con sì grande applauso, e festa incontrato, e lo percossero tanto con pietre, e bastoni, finché rese lo spirto a Dio, raccomandandogli ne gli ultimi accenti, il Popolo suo Riminese». Così Cesare Clementini rievoca il martirio di San Gaudenzo.

E lo storico secentesco prosegue: «I medesimi soldati fatta una buca in terra cupa, finché trovarono l’acqua, lo vi gettarono, coprendo con li stessi bastoni, e sassi,  co’ quali morto l’havevano, e fù iuxta lacum ad marem, hoggi Lagomaggio. E ricevette questo Santo martire la Palma, e la Corona, il dì XIIII d’Ottobre dell’anno…».

Su quell’anno i pareri furono discordanti. Clementini opta per il 381; per altri, 359, 366, 367, 369: Altri ancora, come il Cardinal Baronio, per il 360, che è anche l’opinione oggi più accettata.

La tradizione assegna al Patrono di Rimini diversi miracoli e numerose conversioni, la distruzione del tempio di Marte nel foro e la fondazione di cinque chiese: senza crederci troppo, ma riconoscendone l’antichità, Luigi Tonini le identificava in S. Tomaso (monastero nell’attuale piazza Ferrari), S. Innocenza (se ne vedono le fondamenta in via IV Novembre), S. Maria in Corte (nella viuzza omonima della “corte dei Duchi” ), S. Maria Ripa Maris (in via S. Maria al Mare), SS. Pietro e Paolo (la futura S. Giuliano). Fosse così, è significativo che ben quattro delle cinque chiese citate si trovino nelle immediate vicinanze del porto. Come se il cristianesimo fosse ancora in primo luogo la religione di chi arrivava dal mare; o almeno in tal modo echeggiava nella reminiscenza popolare. Come da oltremare erano giunti i santi più venerati: Marino e Leone, le reliquie di Colomba, lo stesso Gaudenzo e poi il miracoloso approdo delle spoglie di Giuliano.

Ai tempi del vescovo Gaudenzo (o Gaudenzio, toscanizzato in Godenzo) gli unici templi cristiani già esistenti sarebbero stati la cattedrale di S. Colomba (per tradizione fondata dal primo vescovo, Stemnio, nel 313) e il piccolo sacello cimiteriale della Confessione dei Martiri presso il Lacus Maior, Lagomaggio, dove poi lui stesso sarebbe stato sepolto e su cui sarebbe sorta l’abbazia in suo onore.

Il Borgo San Giovanni e a sinistra, con il numero 36, l’abbazia di San Gaudenzo sulla via Flaminia (‘Prospetto di Rimino’ di Onofrio Gramignani (1771 – Roma, Biblioteca Casanatense)

Ma chi era Gaudenzo? Era nato a Efeso intorno al 280 (nell’attuale Turchia vicino alla moderna Selçuk), una delle maggiori città dell’Asia minore per tutta l’antichità, nonchè fra i primissimi centri di diffusione del Cristianesimo. La tradizione narra che rimase orfano prestissimo, poichè i genitori erano stati massacrati dai Manichei, una religione di origine iranica che ebbe enorme diffusione (a oriente fino in Cina) ed era penetrata anche nell’impero romano, nonostante gli adepti dovessero subire persecuzioni durissime quanto e più dei cristiani.

Il giovane crebbe dunque a Roma, dove sarebbe stato portato quando aveva fra i 14 e i 15 anni. Qui dovette assistere alle ultime e più sanguinose persecuzioni contri i cristiani, quelle di Diocleziano (nel 299-302 e soprattutto 303-305). Sempre la tradizione afferma che Gaudenzo fu nominato diacono da papa Eusebio, che regnò pochi mesi del 309. Nel 313 fu ordinato sacerdote da papa Silvestro. Lo stesso anno, com’è noto, l’editto di Costantino pose fine per sempe alle persecuzioni dei cristiani.

Costantino morì nel 337. L’eredità fu divisa fra i figli Costante in Occidente e Costanzo II in Oriente, non senza problemi. Anzi le divergenze fra i due fratelli assunsero anche connotazioni religiose, con Costante, appoggiato in pieno dal vescovo di Roma, del tutto intransigente verso l’Arianesimo. Mentre Costanzo e la Chiesa orientale cercavano posizioni più concilianti, dovendo consderare la grande diffusione di quella “eresia” fra le loro popolazioni, nonchè su molti dei “barbari”, Goti in testa, che premevano alle frontiere o già le avevano superate in quanto mercenari “federati” dell’impero.

Fu papa Giulio I, fiero avversario degli Ariani, che consacrò Gaudenzo quale vescovo di Rimini, nominandolo anche suo speciale Legato per la lotta agli eretici. In precedenza lo stesso pontefice gli aveva chiesto di liberare un indemoniato, compito che Gaudenzo aveva assolto brillantemente.

Anche durante il cammino verso Rimini accadde un fatto straordinario: Gaudenzo cambiò in vino l’acqua del fiume Misa (quello di Senigallia), “per dissetare e rafforzare i suoi compagni di viaggio”.

Una volta nella città, liberò dai demoni anche la giovane nipote di Eusìtica, che lo aveva ospitato al suo arrivo a Roma. Queste ricorrenti imprese di Gaudenzo lo qualificherebbero come esorcista, anche se tale titolo non gli viene mai attribuito dalle fonti antiche. Si trattava di una qualifica ben precisa nell’organizzazione della Chiesa di allora, a Roma attribuita direttamente dal papa;  “esorcista” era colui che prima del battesimo doveva purificare il neofita dai “demoni”. Ma anche assommando i soli uffici di diacono (a Roma erano i più stretti collaboratori del papa e spesso lo diventarono loro stessi), sacerdote (presbýteros in greco, presbyter in latino: prete, la voce del popolo dei fedeli in quanto “anziano” nella fede) e Legato speciale anche in un concilio, Gaudenzo doveva essere considerato un personaggio ecclesiastico di assoluto rilievo.

Durante il suo episcopato ordinò diacono Marino, il santo su cui si vuole fondare la Repubblica del Titano, e sacerdote Leone, che si sarebbe ritirato sul Monte Feltro, scalpellini giunti dall’isola dalmata di Arbe. E molti altri prodigi e peripezie gli si attribuiscono.

Il miracolo decisivo sarebbe però accaduto tempo dopo: era il 430 e la cieca Abortina ebbe una visione che le assicurava che se fosse andata a Rimini a indicare dove giaceva il corpo di Gaudenzo avrebbe rivisto la luce. Così dalla sua Cesarea (località presso Ravenna oggi scomparsa) si incamminò fino ad additare pubblicamente il Lacus Maior, che si aprì davanti agli occhi sbigottiti dei Riminesi per fare affiorare il corpo di Gaudenzo. Da quel momento Abortina riacquistò la vista.

Il frettoloso sondaggio eseguito durante la costruzione del Palaflaminio proprio sopra l’area archeologica, e i reperti emersi durante lavori all’adiacente scuola XX Settembre, raccontano di una necropoli stretta fra la via Flaminia e la grande laguna salmastra di Lagomaggio. Ssepolture durate per un lungo arco di secoli prima e dopo l’avvento del cristianesimo, piuttosto povere rispetto ai sepolcri più vicini alla città sempre lungo la via consolare. Non separate da quelle pagane, a un certo punto compaiono anche quelle dei primi cristiani. Una di queste era onorata con un piccolo sacello, in un luogo di culto cimiteriale dedicato alla Confessione dei Martiri. Forse vi succede una basilica. Già dal VII secolo una fonte scritta di Ravenna denomina Porta Sancti Gaudencii quella meridionale della città, l’Arco d’Augusto. Dunque un importante edificio sacro dedicato al santo vescovo c’era già e contiene anche reliquie di altri santi: Vittore, Valentino, Venerio, Lanfranco, la già ricordata Abortina e altri ancora, riminesi e non. Forse una pieve, che dal X secolo in poi è certamente un’abbazia benedettina. 

La cripta dell’abbazia di San Gaudenzo con le arche delle reliquie ancora visibile fra i ruderi del “casino della Sartona” (Archivio fotografico Biblioteca Gambalunga)

Nella storia di San Gaudenzo, come in quelle di tutti santi antichi, non mancano elementi leggendari e confusi intrecci di tradizioni diverse. Ma contrariamente a tanti patroni, alcuni celeberrimi (Giorgio, Cristoforo, Agnese…) che hanno poco o nessun fondamento storico, l’esistenza di San Gaudenzo è certa mentre il nucleo della vicenda – le lotte intorno al Concilio di Rimini e il linciaggio del vescovo riminese «fustibus et lapidibus» – è confermato da tutte le fonti.

Ma fu davvero un linciaggio? Le stesse fonti affermano che il presule ormai ottantenne sarebbe stato arrestato dal Console Marciano per ordine del prefetto del pretorio Tauro: anche ammesso che sia stato poi strappato ai suoi carcerieri dalla turba ariana (dettaglio che il Clementini non riporta), perchè le autorità che rispondevano direttamente all’Imperatore sarebbero giunte a tanto? Il modo in cui poi il Vescovo sarebbe stato ucciso pare un “fustuarium”, cioè una pena capitale ben precisa, in origine inflitta solo in ambito militare a codardi, disertori e commilitoni omosessuali, ma a quei tempi applicata anche anche ad altri reati, come la falsificazione dei pesi o lo spergiuro. Dunque una condanna a morte con i crismi della “legalità”?

27 maggio 359 – L’imperatore Costanzo II convoca il Concilio di Rimini

 

21 luglio 359 – Si chiude il Concilio di Rimini ma gli Ariani vanno alla riscossa

San Gaudenzo, chi era costui?

(Nell’immagine di apertura, Il martirio di San Gaudenzo di Giuseppe Soleri Brancaleoni dipinto nel 1794 per l’abbazia dedicata al Patrono, ora nella chiesa di S. Giovanni Battista a Rimini)