6 dicembre 1800 – Gli Austriaci prendono Rimini cacciando i Francesi
6 Dicembre 2024 / ALMANACCO QUOTIDIANO
Il Settecento si chiude con l’Italia ancora campo di battaglia fra le potenze europee. Francia contro tutti e in grossa difficoltà, con Napoleone che ha dovuto abbandonare un esercito in Egitto e si giocherà il tutto per tutto a Parigi.
Dopo la catastrofe di Abukir, la baia egiziana dove una flotta inglese capitanata da Horatio Nelson aveva annientato quella francese, e la campagna di Siria terminata con la sconfitta sotto le mura di Acri, Bonaparte aveva infatti lasciato al suo destino quanto restava di un’armata partita con 38 mila uomini e 100 cannoni.
Nel giugno 1799 gli Austro-Russi avevano invaso l’Italia. Il 27 aprile a Cassano d’Adda il generale russo Aleksandr Vasil’evič Suvorov aveva sconfitto i Francesi, che erano stati costretti a sgomberare gran parte dell’Italia settentrionale. Nello stesso mese i Sanfedisti del Cardinale Ruffo, con l’appoggio della flotta inglese, avevano abbattuto la filo-francese Repubblica Napoletana; seguirà una feroce repressione contro i “giacobini”.
A dare l’esempio fu lo stesso Nelson, il 30 giugno 1799, facendo impiccare l’ammiraglio della flotta repubblicana, Francesco Caracciolo principe di Sarno, nonostante i patti di resa gli garantissero salva la vita. Ciò valse al futuro eroe di Trafalgar la gratitudine della sua amante Lady Hamilton, moglie dell’anziano ambasciatore inglese a Napoli, nonché il titolo di Duca di Bronte concessogli dal re delle Due Sicilie Ferdinando di Borbone.
In settembre svanisce anche la Repubblica Romana, che era nata dopo la cacciata del Pontefice da parte dei Francesi. Resta loro solo Genova, dove il generale Massena resiste caparbiamente all’assedio da terra e dal mare. E qui si segnalano le prime imprese di Giuseppe Bavastro, il corsaro di Sampierdarena che forza più volte il blocco beffando i vascelli inglesi, una volta addirittura a bordo di un’antiquata galea.
Ma il 9 ottobre Napoleone riesce a rientrare in Francia. Il 18 Brumaio (9-10 novembre) si consuma il colpo di stato: il Direttorio viene esautorato, con la forza delle armi vengono imposti tre Consoli “provvisori”: lo stesso Bonaparte, Emmanuel Joseph Sieyés e Pierre-Roger Ducos. Ma provvisori sono solo gli ultimi due, dato che il 12 dicembre quelli definitivi sono: Primo Console, Napoleone Bonaparte; Secondo Console, Jean-Jaques Cambacéres; Terzo Console, Charles-François Lebrun.
Il 14 dicembre, nuova costituzione: amministrazione centralizzata e governata da prefetti nominati dal governo; soppresse tutte le autonomie locali, le cariche elettive e le assemblee popolari; ai minimi termini la libertà di stampa. E’ la fine della Repubblica nata dalla Rivoluzione.
Fra tutti questi questi grandi rivolgimenti, il 31 maggio 1799 i Francesi erano stati scacciati anche da Rimini, dopo la rivolta degli “Insorgenti” guidati da Giuseppe Federici detto “il Glorioso”. Fra eccessi suoi e degli Insorgenti, che devono essere repressi dagli stessi Austriaci, si ripristina la berretta gialla per gli Ebrei dopo averne debitamente saccheggiato i fondaci. Tutte, o quasi, le antiche leggi e tornano in vigore. Torna dunque l’Ancien Regime? Niente affatto. Napolene valica il Gran San Bernado e il 14 giugno 1800 coglie la clamorosa vittoria di Marengo. L’Italia sarà sua per altri 15 anni.
E il 18 giugno i Francesi sono già a Rimini e restaurano la Repubblica Cisalpina. Distribuzioni di pane, inni patriottici, plebe plaudente, Alberi della Libertà di nuovo in piedi. La situazione militare però non è affatto chiara, gli Austriaci sono ancora in Italia e i repubblicani, per stare sul sicuro, confidano nell’esercito francese di Macdonald che sta cercando di valicare le Alpi, anche ormai si è giunti al pieno inverno.
Intanto però gli Austriaci sono alle porte. Ecco il racconto di Carlo Tonini:
«La notte del 6 dicembre, mentre la città nostra stavasi al tutto sicura per la voce corsa che gli insorti (la bande degli “Insorgenti” contro i Francesi) erano stati ovunque battuti, ecco sopraggiungere alla porta Romana (sorgeva di fronte all’Arco d’Augusto) aperta poco prima ad una ingannevole staffetta recante un falso dispaccio pel comandante di piazza, ed entrare per essa improvvisamente alcuni dragoni tedeschi, e dietro a loro una numerosa squadra di cavalleria. Invano dalle guardie fu opposta resistenza con iscariche di fucileria: che ben tosto furono costrette a darsi alla fuga malconcie e ferite. A tale sorpresa la città fu tutta in turbamento e scompiglio. I tedeschi la percorsero veloci da un capo all’altro, e investito il corpo di guardia, se ne impadronirono e fecero prigionieri i soldati».
«Il comandante Agolanti (il marchese Giovan Battista Agolanti, comandante della Guardia Civica repubblicana), corso a salvamento nella propria casa, vien sull’istante sopraffatto dai nemici, malconcio nella persona, spogliato di danaro e di effetti preziosi, e tutta l’abitazione sua manomessa. Nè molto mancò che la città tutta eziandio non fosse messa a sacco e devastata dal tedesco furore vie più ancora per avventura acceso per essere rimasto ferito nella scaramuccia alla porta anzidetta, (secondo il Giangi), un aiutante generale austriaco. Il comandante (francese) di piazza, Madier, disperando di poter resistere, si sottrasse rapidamente al pericolo co’ suoi partigiani per porta Bologna (nel Borgo San Giuliano), e non fu potuto raggiungere. Già spuntava l’alba, e numerose schiere austriache entravano a tamburo battente la città capitanate dal generale Sommariva».
Un blitz perfettamente riuscito. Anche se al comando del “tedesco furore” c’è un italiano: Annibale Sommariva, nato a Lodi nel 1755, che fece tutta la sua carriera nell’esercito imperiale austriaco, partecipando a tutte le campagne contro Napoleone fino a raggiungere il grado di Feldmaresciallo (1813), per essere nominato l’anno dopo governatore di Milano. Morirà a Vienna nel 1829.
Per accogliere il generale Sommariva a Rimini, «Si radunarono sollecitamente i Municipali, e si condussero a fare omaggio al generale che alloggiò nel Palazzo Buonadrata, e subito ordinò l’atterramento degli Alberi della Libertà, plaudente e schiamazzante l’accorsa plebe. Nella sera la città tutta quanta fu illuminata: il generale passò in teatro a godervi dello spettacolo in musica e vi ebbe copioso rinfresco e applausi ed evviva dal pubblico. Il dì seguente furono poste in libertà le guardie civiche o nazionali, che dovettero pagare il beneficio col gridare viva l’Imperatore. Il 9 partì il Sommariva colle sue genti per Cesena; ma tosto ne sopravvennero altre da Pesaro con artiglierie e carriaggi condotte dal generale Garupp, che prese alloggio nel palazzo Cima, e fe’ pubblicare siccome in Rimini e in tutta Romagna fosse rimesso il governo austriaco colle leggi, cogli ordini e colle disposizioni tutte antecedenti».
Queste prevedevano: «Fossero incontanente consegnate tutte le armi da fuoco: la notte la città fosse tutta illuminata, e niuno potesse andare attorno senza lume o lanterna: le porte della città dovessero essere chiuse alle ore 8 pomeridiane e le chiavi se ne consegnassero ai comandanti. Furono quindi rielette le stesse autorità municipali, che erano innanzi all’ultima partenza degli austriaci, e comandante di piazza fu messo il marchese Belcredi (Giuseppe Gaspare Belcredi, anziano aristocratico di Pavia) Tenente Colonnello del Reggimento secondo Benalle, il quale alloggiò nel palazzo Lettimi».
Manco a dirlo, dura poco. Il 24 gennaio 1801 gli Austriaci, salutati con le consuete contumelie riservate a chi scappa, devono cedere di nuovo Rimini ai Francesi, accolti con i consueti evviva per chi arriva da padrone. Questa volta però vi resteranno 13 anni.
(Nell’immagine di apertura, Annibale Sommariva in uniforme di Feldmaresciallo)