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2 giugno 1771 – Una balena sulla spiaggia di Rivabella


2 Giugno 2024 / ALMANACCO QUOTIDIANO

Scrive Iano Planco (Giovanni Bianchi) su “Novelle letterarie” di Firenze del 22 giugno 1771: “La venuta delle Balene nel mare Adriatico è cosa molto rara, con tutto ciò anche in esso capitano talora con altri pesci cetacei di gran mole”. E il dotto riminese prosegue: “Ora qui vi voglio riferire una Balena viva, che capitò in questa spiaggia il dì 3 di questo mese di giugno, dopo una gran burrasca di vento e d’acqua, che fu la notte antecedente a questo giorno, il quale la mattina essendosi fatto sereno, fu da un contadino lavoratore di questo Spedale, che era a caccia per le quaglie vicino al mare, veduto guizzare nel mare poco distante da terra un grandissimo pesce in poca acqua, e in un luogo vicino chiamato la Pantera, per la caccia, che ivi una volta si faceva alle anitre selvatiche, il qual luogo è anche chiamato la Sagramora da una fonte d’acqua perenne”.

La fonte Pantera a Rivabella

Il luogo tutt’ora conserva quel nome, così come la fonte che si vede presso il passaggio a livello ferroviario di Rivabella. Nome che non a che fare con il grande felino, ma con “pantano”. Deriva dal tardo latino in uso nell’Esarcato “bizantino” di Ravenna “pantheria”, intendendo un isolotto melmoso fra acque basse palustri, riservato appunto alla caccia soprattutto di anatre; caccia che si faceva con apposita rete pure chiamata “pantera” o “pantiera”. I terreni circostanti appartengono tutt’ora al patrimonio dell’Ospedale Infermi. Quanto all’origine del nome Sagramora o Sacramora, la fonte che sarebbe miracolosamente sgorgata all’approdo dell’arca contenente le reliquie di San Giuliano, è quanto meno dubbia l’interpretazione di “sacra dimora”, intendendo appunto quella del Santo martire. Mentre è singolare che Sagremor sia il nome di uno dei cavalieri della Tavola Rotonda di re Artù. Nelle lingue celtiche significa semplicemente “mare sacro”, il che si adatterebbe a una strabiliante sorgente di acqua purissima in riva al mare.

Ma andiamo avanti con la relazione del Planco: “Vicino dunque ad essa fu veduto dal contadino armato d’archibuso questo grandissimo pesce, onde il contadino fattosi animo gli sparò contro un’archibugiata con palla, dalla quale colpito il pesce mandò fuori un grandissimo urlo, come d’un toro che muggisse, ma per esso non morì di presente, onde il contadino gli tirò un altro colpo, per quale restò abbattuto e semivivo; per la qual cosa il contadino tornò a casa, che era ivi poco distante, e chiamò compagni con un biroccio, ed aiutato da loro il tirò fuori dall’acqua ancora palpitante, e il posero sopra del biroccio con grande fatica, non tanto per la mole e il peso, quanto perchè ancora colla coda si divincolava, onde il legarono forte, e dalla Sagramora fu tirato in Città, la quale è a un miglio e mezzo distante da tal luogo, dove in una casa il facevano vedere, e da alcuni fu fatto il disegno delle parti esterne. E specialmente dal sig. Pietro Santi disegnatore e incisore in rame, il quale il disegnò con tutte le misure, e si trovò che era lungo intorno a diciannove palmi romani, i quali sono poco altrettanti in piedi parigini”.

Dunque l’esemplare era all’incirca 5,5/6 metri, il che fa pensare a un giovane balenottero. “La sua coda è come quella de’ Delfini; sul dorso dopo due terzi del principio della testa, verso la coda ha una pinna in mezzo alla schiena, e verso il collo, o spalle, a due altre pinne, o ali pendenti verso il petto, onde non malamente questa Balena è detta dal Klein nel suo Missus II de Piscibus, «Balena Tripinnis». Jacob Theodor Klein aveva pubblicato il suo trattato a Danzica nel 1741.

“La nomotomia interna di questa Balena non si potè fare, perchè i pesciaioli che lo comperarono ebbero fretta di farla condurre a Bologna per venderne la carne che la vendettero tosto, e a furia, giacchè fu esperimentata tenera, e di buon sapore, essendo bestia giovane, siccome in parte fu esperimentata qui da alcuni, che ne presero. Sventrata che fu in Bologna, si trovò che pesava mille e ottocento libbre, ma con gli interiori doveva pesare più di due mila libbre”. Siamo cioè sui 700 chilogrammi.

La stessa storia è narrata da un altro erudito locale del tempo, l’abate Giovanni Antonio Battarra. I dettagli più precisi che fornisce ci fanno propendere a fidarci di lui, quando colloca l’episodio il giorno prima, il 2 giugno, e ci informa del nome del contadino: “Matteo Mainardi, colono d’una possessione della causa Pia dell’Ospitale, detta la Pantiera”. Secondo l’abate, l’archibugio del colono non sparava a palla singola, ma “pallini da oca del numero dieci” che il povero balenottero ricevette “nel ventre”. Non si era di mattina, ma “alle 19”. Il cetaceo “superava ben due volte” la lunghezza del biroccio e giunse in città “alle 21 ore”, per essere poi “venduto da pesciaiuoli per 6 zecchini”. Difficile valutare oggi quel prezzo, ma molto approssimativamente si potrebbe essere sui 650-700 euro.

Lo squartamento di una balena in una xilografia tedesca del XVI secolo

In Adriatico non sono mancati catture e rinvenimenti di esemplari di cetacei arenati di grandi dimensioni. Un capodoglio venne trovato spiaggiato nel 1601 vicino a Cesenatico. Nel 1614 Serafino Pasolini, storico e cronista ravennate, aveva notato nelle spiagge del nostro Mare Adriatico una grossa balena arenata a riva. Alcune ossa di questo grosso mammifero acquatico furono appese alla porta dell’andito della Chiesa dello Spirito Santo e altre alla porta minore della Chiesa di San Vitale.

Ancora. Una balena tripinne che nel giugno del 1771 stava per arenarsi, fu abbattuta da un cacciatore con un’archibugiata non lontano dalla costa di Rimini. Sempre sul litorale riminese durante la Seconda Guerra Mondiale a San Giuliano a Mare venne ucciso a raffiche di mitraglia un grande capodoglio, che i militari costieri avevano scambiato per un sommergibile nemico; era l’aprile del 1943. L’avvenimento, rimasto impresso a tutti i contemopranei, è ricordato in una scultura di Elio Morri inaugurata il 29 giugno del 1969. In tempi recenti, esattamente il 29 gennaio del 2005, un capodoglio di 9 metri si spiaggiò sulle coste romagnole a Viserbella.

Il capodoglio sulla spiaggia della Barafonda nel 1943

Tra i giganti di mare destava meraviglia anche l’avvistamento dei pesci luna, che possono avere una lunghezza di oltre 4 metri e un peso intorno ai duemila chili. Un esemplare di questa specie venne rinvenuto morto nel 1956, a un centinaio di metri dalla riva riminese; aveva un peso di circa dieci quintali.

Nel 2002 se ne spiaggiò un esemplare di circa 800 chili, sulle spiagge di Riccione.

Il capodoglio della Barafonda raffigurato sul lungofiume degli Artisti a San Giuliano Mare