21 dicembre 1197 – Corda al collo, i Malatesta sottomettono Verucchio a Rimini
21 Dicembre 2024 / ALMANACCO QUOTIDIANO
Nel 1856 Luigi Tonini pubblica un altro tomo della sua monumentale storia di Rimini, la città di cui è bibliotecario. Si intitola “Rimini dal principio dell’Era volgare all’anno MCC”. Con giustificato orgoglio, a pagina 380 scrive: “Il documento che rechiamo in Appendice, N. LXXXXII, per quanto a nostra conoscenza fino ad ora inedito, ci fa sapere che la Città di Rimini in questi tempi ebbe a patire ingiurie dei Verucchiesi, e da Giovanni Malatesta, che di quel Castello era signore”.
Si tratta in effetti del primo documento che ci informa di una signoria di un Malatesta. E che questa signoria si esercitava sul Castrum Verucchii o Veruculi o Verucli, insomma Verucchio (nell’immagine in apertura). Una posizione formidabile, che fin dalla preistoria controllava l’imbocco della Valmarecchia e quindi l’antichissimo iter Arretinum che risalendo il fiume giungeva allo spartiacque dell’Appennino per poi a raggiungere la valle del Tevere e quindi la via per Roma. Altura quindi potentemente fortificata, forse già allora con due rocche, come si vede nello stemma del Comune di Verucchio: la rocca del Sasso, non molto mutata dal XIII secolo in poi, e la rocca Campo di Monte o del Passarello (dalla famiglia Passarelli che la possedette), trasformata nel ‘600 in convento delle suore Clarisse. Entrambe si erano sviluppate intorno a torri bizantine o, secondo alcuni, addirittura romane. Una terza grossa torre sull’estremità meridionale del Monte Ugone, oggi scomparsa, completava il sistema difensivo.
Il signore di Verucchio doveva averla fatta davvero grossa, se la controversia con Rimini ebbe questo esito: “Forse non conoscendosi atto a resistere alla forze dellla nuova Repubblica riminese (cioè di Rimini costituitasi in libero Comune), diresse ai Consoli di essa, sì a nome proprio che delle sue genti, in tutorio nomine di un suo nipote figlio di Malatesta minore, che sembra a parte di quella Signoria, lettera umilissima, con la quale confessando offesa fatta alla Città che appella sua madre, e se stesso sottomettendole co’ suoi uomini e tutta la Terra, chiede pace e misericordia”.
In cosa consistesse questa “offesa”, il documento non lo dice. Che dovesse essere molto grave e tale da scatenare un conflitto evidentemente finito male per i ribelli Malatesti, lo si desume non solo dall’“umilissima” richiesta di “misericordia”, ma soprattutto da come prosegue il documento scoperto dal Tonini: “I Consoli del riminese Municipio (ne erano le autorità supreme) ebbero sospetto di mala fede; e dubitando sulla autenticità di quella lettera, deputarono Giacomo Notajo del Comune e Giovanni Galerano, perchè si assicurassero delle intenzioni del Malatesta”. I due emissari riminesi si recano dunque nella “Curia del Castello di Trebbio” presso Poggio Berni, che pure apparteneva ai Malatesti. Vi trovano Giovanni e “varj dei seguaci suoi, i quali con giuramento ratificarono le cose scritte, promettendo se essere parati a venire ai comandamenti dei Consoli riminesi”.
Non solo: “Nella domenica prossima (fu a’ 21 dicembre) Giovanni Malatesta venne a Rimini, e sulla piazza pubblica egli e i Maggiorenti di Verucchio si presentarono con corda al collo tenenti in mano le spade nude per la punta; e in tal umile portamento fattisi ai Consoli giurarono di prestar loro perfetta ubbidienza. Con esso Malatesta giurarono 39 Verucchiesi, i nomi dei quali puoi vedere nel Documento”. Fra quei 39 si trovano uomini di Roncofrigido (Roncofreddo) e Converseto presso Borghi, evidentemente già nell’orbita malatestiana.
“Il di’ appresso poi lo stesso Giovanni confermò il giuramento innanzi al Consiglio del Comune raddunato nella chiesa di S. Colomba (ancora il palazzo dell’Arengo dove essere costruito e le assemblee comunali si tenevano nella cattedrale) alla presenza del Vescovo e delle maggiori Dignità ecclesiastiche, promettendo che anche il nipote giunto che fosse all’età di 14 anni farebbe il giuramento medesimo”. Infatti, all’epoca era ai 14 anni che si acquisiva la capacità legale, compresa quella di sposarsi.
Infine: “A soddisfazione dell’offesa che confessa aver fatta al Comune di Rimini sottomette ai nostri Consoli il castello di Verucchio, con facoltà di custodirlo (cioè di mantenervi una guarnigione) ed anche distruggerlo come loro paresse migliore”.
Ed è tutto quello che sappiano dal prezioso documento. Il resto è avvolto nelle nebulose origini dei Malatesti. Che non facilitarono certo il lavoro degli storici replicando, come d’uso, quasi sempre gli stessi nomi di battesimo. Di un Giovanni Malatesta si rinvengono infatti tracce anche in parecchi altri documenti; ma era la stessa persona? E di Malatesta quale nome proprio c’è addirittura un’inflazione. Come quel bambino non ancora quattordicenne per il quale giura lo zio Giovanni. Era il Malatesta “della Penna”. Cioè il futuro padre del Malatesta “da Verucchio” che durante i 100 anni della sua vita riuscì a impadronirsi di Rimini, a essere genitore di Giovanni “lo zoppo” – Gianciotto – e di Paolo “il bello” , di Malatestino o Tino “dall’occhio”, il Mastin nuovo, e di Pandolfo. E a meritarsi l’odio di Dante Alighieri in quanto capo dei Guelfi romagnoli: il Mastin vecchio.
Perchè della “Penna”? Non sappiamo se fosse nato nella rocca che fronteggiava quella dei Billi, poi unitesi in Pennabilli con la posa della pietra della pace nel 1350, oppure fosse suo castellano. Castra in origine entrambi dei Conti di Carpegna, di cui i Malatesta qualcuno considera un ramo collaterale, così come i Montefeltro e i Della Faggiola; o forse solo loro vassalli, o “gastaldi”, che da un certo momento in poi seppero farsi strada autonomamente. Quando, non è noto. Ma molto lascia pensare che proprio dalla “Penna” fossero iniziate le fortune della schiatta. E’ il quarto Malatesta che appare negli archivi. Nato attorno al 1183, era figlio di Malatesta “minore” fratello di Giovanni e di una certa Alaburga. La tutela legale dello zio indica che rimase orfano in tenera età. Nel 1209 il rettore dell’ospedale di S. Spirito di Rimini gli concede, sempre in coppia con lo zio Giovanni, un gualdum nel territorio di Santarcangelo. Nel 1210 risulta sposato con Adalasia in un atto notarile in cui cede in enfiteusi ai coniugi Mazaferro e Verdiana un terreno da costruzione ubicato a Rimini presso porta S. Andrea.
Zio e nipote il 18 marzo 1216 giurano il cittadinatico di Rimini. Non più un atto di sottomissione, ma un patto fra pari, probabilmente ripristinando quello più antico che era stato infranto dalla ribellione, dove si assumono obblighi reciproci. Tant’è che i due Malatesti giurano sì di abitare entro la cerchia delle mura cittadine e di difendere Rimini con tutte le loro forze; per farlo il Comune però concede loro non solo l’esenzione da ogni tassa, ma anche un credito di ben di 200 lire ravennati. E’ la metà di quanto occorre per restaurare una torre e le case circostanti, che forse la famiglia possedeva già da tempo a Rimini: il “Gattolo dei Malatesta”, presso la piccola porta urbana dallo stesso nome che ancora si può vedere inglobata in Castel Sismondo. Fedelissimo agli Svevi, il Pennese sarebbe stato perfino elevato cavaliere dall’imperatore Federico II in persona. Nel 1228 è podestà di Pistoia, città che vantava il titolo di “Imperio fidelissima” concessole nel 1165 dal Barbarossa. Ma alla testa delle milizie cittadine subisce una pesante sconfitta da Firenze a Vaiano e viene fatto prigioniero.
Figura più volte fra i maggiorenti ghibellini che controllano la città assieme ai Parcitade e ai Perleoni, opposti ai guelfi Gambacerri. Nel 1239 è podestà di Rimini. Fino ad allora tale carica era attribuita a un forestiero per garantire una terzietà rispetto alle fazioni cittadine, l’averla assunta è un evidente involuzione del Comune oligarchico verso la signoria di una famiglia sopra le altre . Nel novembre 1248 risulta morto. Chissà se, imperiale tutta la vita, nel febbraio di quell’anno partecipò o fece in tempo a vedere il clamoroso voltafaccia della sua famiglia, che dopo la sconfitta di Federico II sotto le mura di Parma passò alla Parte Guelfa divenendone da subito la guida in Romagna.
E lo zio Giovanni? Sempre seguendo il Tonini (ma i pareri degli storici sono molto discordi) è il secondo della famiglia con questo nome. Doveva essere figlio, tanto per cambiare, di un Malatesta de’ Malatesti (II) e nipote di un altro Giovanni, figlio insieme a Ugo del primo “Malatesta” vissuto agli albori del XII secolo. Di lui compaiono tracce scritte fra il 1150 e il 1190 come personaggio già di tutto rilievo. Era cittadino di Rimini – il figlio Giovanni nella sua lettera ai Consoli scrive de sanguine vestro esse me recolo: “mi richiamo essere del vostro sangue” – ma non significa che vi abitasse in permanenza; piuttosto è più probabile che, pur possedendvi case, fosse ascritto alla cittadinanza quale nobile alleato del Comune. Aveva sposato Berta, figlia niente meno che di Pietro II Traversari, capo dell’antichissima e potentissima casata di Ravenna (si ritenevano discendenti di un Teodoro vissuto alla corte di Odoacre re degli Eruli, nel V secolo prima ancora di Teodorico) di cui fu primo podestà della sua famiglia. Ultra ghibellino, fu “comes” di Rimini nel 1181, 1185 e 1186.
Il figlio primogenito e omonimo Giovanni oltre a Verucchio possiede parecchie terre e anche qualche piccolo castello, come appunto Trebbio e Ciola Corniale (o Ciola Araldi), che allora era significativamente detta Ceula Malateste a indicare un dominio consolidato da tempo. Ed è forse lui a comprare non solo molti appezzamenti nella curia del castello di Scorticata (Torriana), ma soprattutto nel 1186 i castra di Sogliano, Montebello e Saiano.
A vendere tali i castelli nel 1186 è tale Ugo di Maltalone, o Ugolinuccio, cittadino riminese, che da un Malatesta non specificato nell’atto incassa la cospicua somma di 120 lire di Lucca. E’ il primo nucleo della signoria strategicamente piazzata a sbarrare le valli del Marecchia, dell’Uso e del Rubicone e incombente su Rimini e Cesena. La transazione viene rogata a Verucchio, dove il dominio era iniziato forse verso il 1150, ottenuto non si sa se con le buone o con le cattive dal Vescovo di Rimini che possedeva il castrum in precedenza. Giovanni muore nel 1221. Dal figlio Ramberto nascerà l’ennesimo Giovanni; sarà il capostipite dei Conti di Sogliano, ramo dei Malatesta che abbarbicato nel piccolo feudo sopravviverà alla rovina dei parenti riminesi fino al 1640.