Un codice identificativo nazionale (Cin) assegnato dal ministero del Turismo a ogni immobile ad uso abitativo oggetto di locazione per finalità turistiche, l’obbligo di segnalare l’inizio dell’attività per chiunque eserciti in forma imprenditoriale, con multe fino a 10mila euro, e nei centri storici delle città metropolitane durata minima del contratto di locazione per finalità turistiche che non può essere inferiore a due notti, “fatta eccezione per l’ipotesi in cui la parte conduttrice sia costituita da un nucleo familiare numeroso composto da almeno un genitore e tre figli”.
Sono alcune delle novità del ddl sugli affitti brevi su cui è al lavoro il Governo, come si legge da una bozza che circola in queste ore.
“Il disegno di legge presentato dal Ministero del Turismo per la regolamentazione degli affitti brevi rappresenta un timido passo avanti per il riordino del settore, soprattutto nell’ottica di perseguire l’obiettivo non semplice di raggiungere un’equilibrata dinamica di mercato delle locazioni. Voglio però partire dagli elementi positivi: ben venga finalmente una disciplina uniforme che regoli gli affitti brevi, in particolare attraverso le grandi piattaforme. Così come valuto positivamente l’introduzione, prevista dalla bozza di testo, di un codice identificativo nazionale per ogni immobile affittato per finalità turistiche, un elemento che crediamo possa essere utile anche per il recupero dell’evasione dell’imposta di soggiorno.
Se però il fine alto che si propone questa legge è quello di contribuire a riequilibrare il mercato degli affitti a favore di famiglie, lavoratori stagionali, studenti fuori sede, allora c’è ancora tanto da fare. La proposta di legge, per quello che appare dalle prime informazioni, non è affatto disincentivante rispetto agli obiettivi e cioè evitare lo spopolamento delle città a causa delle locazioni inaccessibili e il conseguente ‘sovraffollamento solo turistico’ delle città d’arte.
Non è certo introducendo il ‘minimum stay’, cioè il limite minimo di due notti per chi affitta su portali come Airbnb o Booking che si contrasta l’alterazione del mercato (per altro sono gli stessi operatori a dire che solo il 5% di chi affitta attraverso piattaforme soggiorna solo una notte, quindi una percentuale irrisoria). Ciò che manca realmente sono invece politiche fiscali radicali per stimolare i privati a destinare i propri immobili a locazione residenziale: mettere ad esempio a disposizione fondi nazionali per favorire i canoni concordati, dando anche maggiori certezze ai titolari delle abitazioni, limitando al contempo le agevolazioni oggi presenti per le locazioni brevi, il cui reddito è soggetto a cedolare secca.
Tra le proposte che avevamo presentato come Comune, in linea anche con altre amministrazioni, c’era quella ad esempio di restringere l’applicazione della cedolare secca ad una sola abitazione, riallineando quindi il beneficio fiscale all’effettiva capacità contributiva. Per risolvere davvero la questione abitativa serve sì equilibrio, ma anche qualche scelta coraggiosa”.