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Giuseppe Innocenti: "Il quaderno nero" a cura di Silvana Cerruti, scritto durante la prigionia in Germania fra l’8 settembre 1943 e il 15 aprile 1945


Il diario ritrovato del soldato di San Clemente ridotto a schiavo del Reich


19 Giugno 2023 / Paolo Zaghini

Giuseppe Innocenti: “Il quaderno nero” a cura di Silvana Cerruti – Comune di San Clemente.

Silvana Cerruti, studiosa e ricercatrice riccionese, autrice di diverse pubblicazioni dedicate alla Seconda guerra mondiale in Valconca, ha tenuto in casa per oltre cinquant’anni questo piccolo quaderno nero, scritto fitto fitto da Giuseppe Innocenti nel corso dell’anno e mezzo di prigionia in Germania fra l’8 settembre 1943 e il 15 aprile 1945.

Nato a San Clemente, poco più che ventenne, militare del Genio in servizio da tre anni, fu fatto prigioniero dai tedeschi dopo l’8 settembre 1943 nell’isola greca di Calcide e deportato in Germania. La sua biografia nota è tutta qui. Silvana, nonostante le ricerche effettuate, nulla riesce a dirci della sua famiglia, del suo rientro in Italia dopo la registrazione il 22 maggio 1945 effettuato al campo di recupero di Wietzendorf gestito dagli alleati, ex campo di concentramento. Non sappiamo dove visse poi e quando morì.

Il quaderno nero lo ricevette il marito di Silvana, insegnante di tedesco, negli anni ’70 da un compagno di prigionia di Innocenti. Silvana me ne parlò oltre una decina di anni fa (ero allora Presidente dell’Istituto Storico della Resistenza di Rimini) di questo “diario” di prigionia chiedendomi cosa fare. Non la aiutai molto con le mie riflessioni, sicuramente sbagliando. Fortunatamente ha trovato nella Sindaca di San Clemente Mirna Cecchini orecchie più attente delle mie.

Nella Prefazione la Sindaca ha scritto: “Ci sono storie il cui significato più vero e doloroso rischia d’andare perduto per sempre. Sono racconti di vita vissuta, di sofferenze, separazioni, violenze e annichilimento della dignità umana. La memoria, laddove i protagonisti purtroppo non possono essere testimonianza diretta, consente a tutti noi d’attualizzarne il recupero affinchè il vento della dispersione non abbia la meglio”.

E così, come aveva già fatto con il volume curato da Marco Valeriani dedicato alla storia del soldato di San Clemente (“Il soldato ‘Catullo’. La micro-storia del fante mitragliere Getulio Giuseppe Tamburini” edito dal Comune nel 2018) morto durante la Prima Guerra Mondiale, l’amministrazione comunale clementina ha voluto editare queste memorie del suo concittadino.

La storiografia italiana si è accorta tardi del dramma vissuto da un milione di soldati italiani abbandonati l’8 settembre 1943, in Patria e all’estero, da chi li doveva dirigere e guidare: in primis il Re Vittorio Emanuele III e il generale Pietro Badoglio che fuggirono da Roma verso Brindisi, abbandonando tutto e tutti, senza preoccuparsi di emanare ordini alle proprie forze armate.

Fu così che nel giro di una settimana l’esercito tedesco occupò l’Italia senza colpo ferire, che centinaia di migliaia di soldati in Albania, Grecia, Jugoslavia, Francia e nella stessa Italia furono catturati e disarmati. Con alcuni drammi terribili come l’eccidio di Cefalonia. Alla fine del 1943 quasi 700.000 soldati italiani si ritrovarono prigionieri in Germania per essere utilizzati come manodopera in agricoltura, nelle fabbriche, nello smaltimento delle macerie nelle città. Si erano rifiutati di servire i tedeschi e i fascisti della Repubblica Sociale: solo 70.000 infatti avevano accettato di entrare nell’esercito di Salò. 50.000 saranno quelli che moriranno nei lager tedeschi per malattia, fame, sotto i bombardamenti alleati.

Nel 2014 come Istituto Storico della Resistenza di Rimini pubblicammo il libro “La dignità offesa”  di Umberto Tamburini (1921-2017), Presidente riminese dell’ANEI (Associazione Nazionale Ex-Internati). Il 20 marzo 2021 lo ricordai su Chiamamicitta.it (“Umberto Tamburini, un uomo giusto da ricordare”). In questo diario della sua prigionia Tamburini ricorda quei terribili 18 mesi a Berlino sotto i bombardamenti quotidiani, le violenze dei kapò, le punizioni, il duro lavoro, la fame, i controlli continui, la mancanza di sonno. Le stesse cose che ricorderanno altri prigionieri riminesi, come Tonino Guerra ed Elio Pagliarani.

E sono gli stessi ricordi di Giuseppe Innocenti, messo a lavorare in una fabbrica sottoterra nella costruzione dei razzi V/1, una delle armi segrete di Hitler. Ma proprio per l’importanza di questa arma i prigionieri erano costretti a vivere “là sotto con l’aria viziata dai gas, con la sferza per stimolo e con umiliazioni di ogni sorta. Un chiodo mal ribattuto era sabotaggio. Tutto ciò che non era perfetto, era sabotaggio. Si viveva sotto l’incubo della forca e del plotone d’esecuzione”. L’accusa di sabotaggio prevedeva la morte immediata del colpevole.

“La fame si faceva sentire, ogni giorno che passava la fame aumentava. Il nostro vitto era di due zuppe di rapa e carote in acqua. Le forze diminuivano giorno per giorno, le nostre magrezze aumentavano di giorno in giorno”. “Ogni giorno morivano decine di uomini dalle sferzate o dal lavoro troppo pesante”. “Il crematorio del campo funzionava giorno e notte. Guardavo con raccapriccio quella baracca col suo alto camino. Lingue di fuoco uscivano a volte da esso e un odore di carne bruciata si sentiva per l’aria”.

“Avrei voluto gettarmi sul reticolato ad alta tensione, morir fulminato o con una pallottola nella schiena dalle sentinelle. Avrei voluto farla finita col soffrire. Perché continuare a vivere così? Pensai a casa e a quel pensiero scacciai ogni brutto proposito”. Gli ultimi mesi della guerra nel 1945 furono i più terribili. “Il lavoro era aumentato dato che le cose andavano male sul fronte”. Innocenti riporta la confessione di un SS che racconta la fine che era stata riservata ai detenuti del campo Dora, il suo, dove erano prigionieri 25.000 uomini: “Dovevano essere sterminati. Dovevano morire con il loro segreto delle V/1 e V/2. Dovevano essere uccisi in tunnel con gas o mediante fucilazione”. L’arrivo degli Alleati impedì alle SS l’esecuzione di questo piano di sterminio.

Gli IMI (Italienische Militärinternierte: Internati Militari Italiani) non furono i soli italiani a popolare i campi di concentramento e di lavoro nazisti. Degli 8.564 ebrei italiani deportati, ne morirono il 90%. 23.826 furono i deportati politici: ne morirà la metà. Furono circa 600.000 i militari italiani che rifiutarono di servire la Germania nazista o la RSI di Mussolini: di questi circa 50.000 morirono durante la prigionia.

Tra maggio e settembre 1945 furono rimpatriati 850.000 ex prigionieri italiani (circa l’80%). I rimanenti, soprattutto quelli prigionieri in Russia (oltre 62.000) vennero rimpatriati fra l’ottobre 1945 e i primi mesi del 1946.

Umberto Tamburini, a chiusura del suo diario di guerra ha scritto: “Lasciare testimonianza di quanto è avvenuto è un obbligo, per tutte le generazioni. Basta guerra, basta guerre, non si impugnino più le armi”. Un monito oggi più che mai attuale.

Paolo Zaghini