Ieri notte ho sognato – guarda caso – Sigismondo Pandolfo Malatesta che ritornava in vita. L’ex Signore di Rimini si guardava intorno piuttosto spaesato. Il suo castello era diventato un luogo di spettacolo e il fossato un paciugo per cani. Sulle strade si rischiava ogni momento d’essere travolti da marchingegni infernali e assordanti, che avevano sostituito i cavalli, emettendo uno strano odore. Ad ogni piè sospinto si trovava di fronte a cose e fatti assolutamente inconcepibili.
Dopo una prima fase di faticoso ambientamento, aveva cercato di immaginare per sé uno spazio ed un ruolo nella realtà in cui si trovava catapultato. Era stato un forte guerriero, ma le armi che un tempo lo avevano reso famoso, oggi apparivano decisamente superate, mentre quelle moderne faticava a concepirle. Meglio lasciare perdere l’arte militare e dedicarsi a qualche attività “civile”. Quale settore gli pareva interessante e tale da non temere crisi in futuro?
D’istinto aveva pensato alla ristorazione: l’uomo continuerà di sicuro a mangiare e bere. Tuttavia, sfogliando le “pagine gialle”, si è reso conto che i locali in città erano numerosi e la concorrenza assai forte. Però, riflettendo, ha pensato che se l’uomo mangia, poi digerisce, consumando una merce al suo tempo inesistente, la cui scoperta lo aveva veramente sorpreso: la carta igienica.
Dunque, una fabbrica di carta igienica gli pareva offrire prospettive interessanti e sicure. Pertanto aveva cominciato a mettere in conto tutte le cose necessarie per impiantare l’azienda e realizzare quel prodotto, compreso il marchio che avrebbe dovuto caratterizzarne in maniera inequivocabile la paternità.
Proprio mentre Sigismondo stava per indicare il “logo” della sua carta, un bisogno impellente mi ha svegliato, facendo interrompere il sogno. Sono andato nel bagno e, al termine delle operazioni, la mia attenzione si è fermata sul motivo impresso nei pezzi di carta igienica strappata dal rotolo. In maniera chiara e insistente era riportato il simbolo della rosa quadripetala malatestiana! Ma allora avevo sognato, oppure no?
Oreste Delucca