Rimini, massacrato di botte in un hotel. Chiesto l’ergastolo per gli autori
30 Giugno 2023 / Redazione
Pestato a morte per un debito e ora i suoi assassini rischiano l’ergastolo. Il pubblico ministero di Rimini Paolo Gengarelli ha fatto le richieste daavanti alla corte d’assise del tribunale di Rimini pper gli imputati dell’uccisione di Antonino Di Dato, 45enne di Napoli affiliato al clan camorrisico dei Romaniello, morto il 12 novembre 2021 dopo nove giorni di coma all’ospedale Bufalini di Cesena. Ergastolo con isolamento diurno per 8 mesi per il latitante Asim Samardzic, 47enne bosniaco, additato da alcuni testimoni come il picchiatore più accanto, difeso dall’avvocato Stefano Caroli, e per Ivan Dumbovic, croato di 44 anni, difeso dall’avvocato Antonio Pelusi; 12 anni di reclusione invece per il 37enne siciliano Costantino Lomonaco, assistito dagli avvocati Francesco Pisciotti e Roberto Brancaleoni, e 10 anni per il 54enne pugliese Bruno Francesco Cacchiullo, assistito dagli avvocati Anna Salvatore e Luca Donelli.
Di Dato era stato selvaggiamente picchiato in un hotel di Bellariva, secondo l’accusa, da Bruno Francesco Cacchiullo, pugliese, Costantino Lomonaco, siciliano, dal croato Ivan Dumbovic e da un 45enne bosniaco detto “Ivan”, ancora latitante e indicato da testimoni come il più feroce. Sono tutti imputati di omicidio volontario pluriaggravato in concorso.
Secondo quanto ricostruito dalla Squadra Mobile di Rimini, motivo del pestaggio fu un debito di circa 7.500 euro che Di Dato non aveva mai onorato. In un hotel di Bellariva, fra ospiti terrorizzati, il commando di picchiatori aveva trascinato il napoletano nella hall per poi colpirlo con calci e pugni alla testa e al torace. Il “trattamento” sarebbe andato avanti per una ventina di minuti, con gli slavi a picchiare, pare anche con una spranga di ferro, e gli italiani che tenevao a bada i presenti perchè non dessero l’allarme o si allontanassero. Alla fine il quartetto si era preso il portafogli del 45enne ormai incoscente a terra, promettendogli che sarebbero tornati a prendersi “il resto dei soldi”.
A incastrare gli aggressori le testimonianze raccolte fra i presenti e le immagini delle telecamere di videosorveglianza.
L’anno prima, Di Dato era stato condannato in primo grado a nove anni, sei mesi e 20 giorni per associazione a delinquere di stampo mafioso dal Gup di Bologna e sottoposto a sorveglianza speciale dopo la cosiddetta “Operazione Hammer“ della DDA che aveva sgominato due clan in lotta fra loro.
La Corte d’Assise di Rimini, presieduta dalla giudice Fiorella Casadei, emetterà il proprio verdetto il prossimo 10 luglio.