Home___primopianoE a Rimini comparve Ezio Gabotti, il geniaccio della meccanica

L'Italia del dopoguerra ripartiva in scooter e motocicletta grazie alle trovate di piccoli e grandi inventori


E a Rimini comparve Ezio Gabotti, il geniaccio della meccanica


21 Luglio 2023 / Enzo Pirroni

L’Italia era uscita prostrata dalla guerra. La seconda metà degli anni quaranta, fu caratterizzata dal faticoso e confuso processo di ricostruzione: si trattava di ridisegnare il tessuto urbano sfigurato da anni di bombardamenti, riadattare le strade, costruire ponti, ripristinare la rete ferroviaria, riconvertire la produzione agricola ed industriale. Furono anni caotici di sacrifici e di miseria ma, il nostro paese straccione, segnato da cicatrici profonde, dimostrò di possedere risorse impensate. Il popolo italiano si affidò alla sua innata capacità di iniziativa, alla genialità ed al lavoro.

Mentre i comizi di piazza accendevano un vero e proprio “tifo” ed il gesuita, padre Riccardo Lombardi lanciava i suoi anatemi bandendo crociate contro il comunismo, a Stresa; sul lago Maggiore, una bellezza toscana di vent’anni: Rossana Martini, vinceva il primo concorso di “miss Italia”, superando Silvana Pampanini, la quale sarebbe, di lì a poco, diventata un mito del sex-appeal nostrano. Nel frattempo, l’ingegnere Corradino D’Ascanio, progettava per l’industriale Enrico Piaggio, una motoleggera rivoluzionaria: la Vespa. Questo scooter, che costava 97000 lire (pagabili a rate), si avvaleva di un motore a due tempi e, con un litro di carburante, era in grado di percorrere cinquanta chilometri. L’Italia con i fortunati e rivoluzionari scooters, Vespa e Lambretta (prodotta dall’Innocenti), si mise in moto. A Rimini, intanto era approdato, in cerca di pace, (gli ultimi ardori genesici li aveva esauriti nel cercare di sopravvivere) Ezio Gabotti. Questo uomo geniale, versatissimo nelle scienze meccaniche, era nato a Busto Arsizio nel settembre del 1919.

Giovanissimo si era scapicollato alla brava, correndo in motocicletta  ed armeggiando tra motori di tutti i tipi. Quindi la triste parentesi della guerra. Il mutamento di rotta fu difficile. Per alcuni lo fu più che per altri. La generazione, alla quale apparteneva Ezio Gabotti, scontava le conseguenze di un fallimento, pagava, purtroppo, il retaggio di tante illusioni e di tanti miti. Lo sport fu un modo per dimenticare e forse per ricominciare. Il mondo delle motociclette, dopo aver vissuto negli anni 20 – 30, momenti entusiasmanti con le sfide Varzi – Nuvolari ed i successi di Omobono Tenni, sentì la necessità di darsi delle regolamentazioni a livello internazionale. Nacque, in questo modo, nel 1949, il primo campionato del mondo. L’Italia centrò due titoli iridati con Nello Pagani su Mondial, nella classe 125 cc. e con Bruno Ruffo su Guzzi,(il famoso Gambalunghino) nella classe 250 cc.

Rimini 1952. Gabotti, al centro in canottiera, con le maestranze

Il meccanico di Busto Arsizio, che aveva aperto una piccola officina nel palazzo Garattoni, sul Corso d’Augusto, aveva già, alle spalle alcune invenzioni. Aveva progettato e realizzato un bruciatore a gas: il Termovulcan, ma a questa brevetto fece seguito una lunga controversia legale con l’ENI e poi con la Lamborghini. Gabotti fu condannato per plagio e gli venne sospesa la licenza. Nella bottega riminese, attese a tutti i lavori: modificò forcelle tradizionali che trasformava in forcelle a ruota tirata con bracci oscillanti inferiori. Era questa una soluzione che si ispirava alle forcelle, che in quel periodo venivano fabbricate dalla ditta Moroni di Rho. Ebbe un discreto successo anche se, in verità, si trattava di un mastodontico errore dal punto di vista geometrico. Costruì sidecars, riassemblò motori, si adattò addirittura ad attaccar pezze a camere d’aria bucate. Era un sognatore. Un vulcano di idee. Un uomo senza cultura. Ma il greco ed il latino sono sempre stati cibi per pochi e raramente hanno contribuito a plasmare cervelli veramente moderni. Se ciò fosse sufficiente, la nostra impaludata, aristocratica, classicissima scuola avrebbe, da sempre, a getto continuo, sfornato geni. Invece, il meglio della nostra intellettualità è sempre stato espresso da persone completamente estranee alla cultura ufficiale. Il 13 ottobre 1952, brevettò una motocicletta di 125cc, a due tempi.

Fiera del ciclo e motociclo, Milano 1953

Questa moto, restaurata, perfettamente funzionante, è stata riportata nel suo originario splendore da quel vero appassionato ed esperto di fama mondiale che è il prof. Augusto Farneti di Rimini. “Fu un geniaccio, Ezio Gabotti – mi disse il compianto prof. Farneti –. Mettendo a frutto le sue esperienze nel campo dei motori, aveva costruito una motoleggera per certi aspetti innovativa. Ad esempio, la scatola del cambio, era separata dalla camera dei volani, per cui ognuna di queste componenti si poteva smontare senza che l’altra venisse toccata. Era una moto elegante, con doppi tubi di scarico, sella lunga, carter lucidato a specchio. Per comporre questa piccola due ruote, Ezio Gabotti si era servito di componenti meccanici già presenti sul mercato: le sospensioni erano quelle della Guzzi, la biella era quella della Lambretta, il pistone della MV Agusta, i freni erano di Amadori di Bologna. Per arrivare a codesti risultati, veramente eccellenti, Gabotti si avvalse della collaborazione di noti artigiani riminesi o della zona: Italo Benedetti fece le fusioni, Bibi Bernardi, (suo grande amico e uomo geniale) realizzò i disegni, Peppino Bartolucci di Forlì e Mario Moretti attesero alla verniciatura.  Oltre a questa 125, Gabotti costruì anche alcune 150. Di queste moto, ne vennero realizzate, in tutto settantotto esemplari”.

“Il problema più grave che incontrò il costruttore  di casa nostra – continuava il prof. Farneti – fu quello di piazzarle, privo com’era di una valida rete di vendita. Era uno gnomo che lottava contro giganti quali: Guzzi, Gilera, Mondial, Benelli, Bianchi. Ma erano le corse che accendevano la fantasia del nostro uomo. Nel 1953, Gabotti presentò una 250 cc., bialbero, distribuzione con alberello a coppie coniche (scuola Norton). La moto, molto curata nelle elaborazioni, era stata ideata da Adriano Amadori. Non si sa bene per quali vie, Gabotti, giunse a questa motocicletta, ma su quella puntò per contrastare la Benelli ed il suo alfiere: Dario Ambrosini. La moto, in verità assai bella, venne presentata a Milano al “Salone del ciclo e del motociclo”. Riscosse consensi tra gli intenditori. I test vennero effettuati da Massimo Pasolini, da Raffaele Alberti, che era stato pilota ufficiale della Benelli, e dai fratelli Luigi e Jader Ruggeri di Bologna. Ma non se ne fece niente. Questa fu, forse, la più cocente delusione della sua vita“.

Brevetto della 125 Gabotti

Nel 1957, Gabotti si trasferì a Milano dove, in società con un amico di Legnano aprì una fabbrica di motori. Nel capoluogo lombardo vi rimase fino al 1961.Gli andò male. Fece ritorno a Rimini. Qui ci furono ancora motori, altri tentativi, ulteriori progetti. L’officina l’aveva in via Circonvallazione Occidentale e lì brevettò una frizione automatica senza leve e senza pedali (Frizione Vanguar), da montare su motori bicilindrici (500-126 FIAT). Sempre lì ideò e realizzò una macchina per la lavorazione del legno con avanzamento automatico. Insieme ad un tale Marconi di Rimini brevettò pure,  una draga per pulire i fondali dei porti. Avrebbe dovuto trasformare la melma in acqua. Questa, come tante altre, fu un’idea che non si concretizzò. Una relativa tranquillità economica la raggiunse allorché comprò un capannone a Vergiano dove potè costruire quelle sue amate  macchine che andava via via realizzando apportando ad esse continue migliorie. Non si fece ricco. Non sapeva percorrere certe strade. Era rimasto un artigiano ingegnoso, avventuriero e sognatore. Il suo luogo privilegiato era l’officina, l’abito col quale si trovava maggiormente a suo agio era una tuta sporca di grasso. Abituato a pensare in grande, dovette purtroppo misurarsi con le miserie quotidiane, cercando di risolvere problemi di assoluta prosaicità, ma pressanti, concreti e reali. Morì nel dicembre del 1977. Aveva da poco compiuto 58 anni. A Rimini sono in molti a ricordarlo.

Enzo Pirroni

(nell’immagine in apertura: la Gabotti 125 del 1952)