Home___primopianoI benemeriti Studi Montefeltrani da San Francesco alla tassa sul macinato

Il 35° volume di 400 pagine con 24 saggi edito dalla Società di Studi Storici per il Montefeltro


I benemeriti Studi Montefeltrani da San Francesco alla tassa sul macinato


31 Luglio 2023 / Paolo Zaghini

Studi Montefeltrani 35 – 2015/2022
Società di Studi Storici per il Montefeltro

L’ultimo, prezioso, impegno portato a termine dal Presidente uscente della Società di studi storici per il Montefeltro Roberto Monacchi è stata l’uscita del 35° volume 2015/2022 di “Studi Montefeltrani” ad inizio di quest’anno. Le numerose difficoltà economiche dell’Associazione, derivanti anche da tre anni di covid che l’hanno costretta a rallentare l’attività, di fatto ne avevano impedito l’uscita finora. Difficoltà del resto comuni a tante associazioni che operano su base volontaria, per la salvaguardia dei beni culturali e per la conoscenza e la valorizzazione della storia locale. Il nuovo numero è assai ricco di contributi importanti e originali, grazie anche a diversi interventi dei Presidenti uscenti.

Ricordiamo che la Società di studi storici per il Montefeltro nasce nel luglio 1970 e festeggia dunque quest’anno il suo 53° compleanno. Suoi Presidenti sono stati nel tempo Francesco Vittorio Lombardi (1970-1988), Girolamo Allegretti (1989-2009), Luca Gorgolini (giugno 2009-luglio 2010), Alessandro Marchi (luglio 2010-2014), Roberto Monacchi (2014-2022). Nell’assemblea dei soci di fine anno 2022 è stato eletto il nuovo Direttivo della Società (Alessandro Marchi, Lidia Maggioli, Carlo Colosimo, Luca Giorgini, Lorenzo Valenti) che a sua volta ha eletto a Presidente per il quadriennio l’avv. Valenti.

Il volume contiene 24 saggi per un totale di quasi 400 pagine. Fra gli interventi contenuti nel volume gli articoli degli ex Presidenti, a testimonianza di un ininterrotto rapporto con la Società: Lombardi (“I due passaggi di S. Francesco nel Montefeltro secondo le tradizioni locali”), Allegretti con Delia Carlotti (“I conti Oliva nel Cinquecento. Il ramo di Piandimeleto”), Marchi (“La Pala di Luca di Frosino a San Leo (ovvero l’esercizio dell’attribuzione)”), Monacchi (“Giovanni Francesco Gasperini, el pintor falsario, ergastolano al forte di San Leo”). Anche il nuovo Presidente Valenti ha fornito un proprio contributo (“La tassa sul macinato nel Montefelro”).

Non me ne vogliano i numerosi autori se mi soffermerò solo su due dei 24 saggi presenti nel volume: quello di Lombardi su San Francesco e quello di Valenti sulla tassa sul macinato.

Lombardi, in premessa, ricorda come la biografia di Francesco d’Assisi (Giovanni di Pietro di Bernardone, 1181-1226) sia avvolta da molte incertezze (“la sua vita è stata messa per iscritto solo trenta, cinquanta, cento anni dopo la sua morte”). Ma utilizzando tutte le più antiche fonti, pur in assenza di documenti certi coevi, Lombardi ipotizza due passaggi del Santo nel Montefeltro: il primo nel maggio 1213 (Monte Casale-Mercatello-Martigliano-Carpegna-Villagrande-San Leo); il secondo nell’estate 1222 (Gubbio-S. Angelo in Vado-Lunano-Faggiola-San Marino-Verucchio-Rimini-Bologna).

Nel primo viaggio “è noto come San Francesco salì nella città castellata di San Leo e si mise a predicare sotto l’olmo della piazza. Qui era presente ‘messer’ Orlando di Chiusi che era intervenuto alla cerimonia di investitura a cavaliere di un conte di Montefeltro. Questo nobile signore della vicina Toscana, colpito dalle sue parola, gli promise a voce di donargli il Monte della Verna”. Fatto che ritroviamo citato dall’autore delle “Sacre Stimmate” contenuto nelle “Fonti francescane”.

Nel secondo viaggio San Francesco attraversò il Montefeltro, arrivò a Rimini, e proseguì per Bologna per poi recarsi a Verona dove “Papa Onorio III (suo grande patrocinatore) e l’imperatore Federico II avevano convocato una grande riunione per la pace universale e per la liberazione della Terra Santa”.

Scrive Lombardi: “Ovunque passava, San Francesco predicava e faceva seguaci e proseliti fra i nobili e fra il popolo. In tutti e due i tracciati sopra seguiti, ci sono conventi francescani. Non si vuole affatto sostenere che li ha fondati tutti San Francesco, ma essi risalgono a pochi decenni dalla sua morte (…). Non può essere un caso che un territorio montagnoso e periferico rispetto alle grandi città e alle grandi vie di comunicazione abbia tante antiche istituzioni francescane risalenti a pochi decenni dopo la morte del Santo d’Assisi”. E prosegue concludendo: “Solo così si spiegano tante antiche testimonianze agiografiche, tanti indizi e tante tradizioni sui passaggi di San Francesco, che qui sono state tramandate e conservate, mentre sono del tutto sconosciute nelle altre diocesi vicine del versante Adriatico”.

Altro scenario quello descritto da Valenti. Siamo nell’Italia appena unificata, governata dalla Destra storica: “la situazione finanziaria italiana alla fine del 1866 e nel 1867, era molto grave e raggiungeva un deficit elevatissimo. Era necessario garantire entrate straordinarie alle casse dello Stato”. In campo solo una famosa e collaudata triade fiscale: sale, lotto e tassa sul macinato. Alla fine si puntò sulla tassa sul macinato, un’imposta sulla macinazione del frumento e dei cereali in genere. Fu un’imposta indiretta introdotta durante il governo della destra storica ideata, tra gli altri, da Quintino Sella, al fine di contribuire al risanamento delle finanze pubbliche.

Il 7 luglio 1868 il governo di Luigi Menabrea, Presidente del Consiglio, approvò la legge e la tassa sul macinato entrò in vigore dall’1 gennaio 1869. “L’economia dell’Italia era essenzialmente basata sull’agricoltura e il gettito garantito da questo tipo di imposizione fu rilevante”. All’interno di ogni mulino venne applicato un contatore meccanico che conteggiava i giri effettuati dalla ruota macinatrice. Il mugnaio incassava l’imposta al momento della macinazione. “Il sistema così congegnato, oltre che ‘tassa sulla miseria’, perché colpiva un bene di primissima necessità, penalizzava fortemente le popolazioni rurali”. “Al Nord e soprattutto in Emilia essa trovò forti opposizioni, sostenute in Parlamento dalla sinistra ed in varie sedi dai mazziniani, con vaste agitazioni e scontri sanguinosi”. Tra la fine del 1868 e i primi mesi del 1869 la rivolta fu cruenta in tutta Italia: i morti furono 257, i feriti 1.099 e gli arrestati 3.788.

La tassa fu definitivamente abolita dal governo della Sinistra storica guidato da Agostino Depretis a decorrere dal 1° gennaio 1884, che ne aveva fatto uno dei punti principali del proprio programma.

Nel Montefeltro la presenza dei mulini nei tre fiumi feltreschi del Marecchia, Conca e Foglia era diffusissima. Solo sul Marecchia, dalla sorgente alla foce, i mulini erano 160. L’area non fu coinvolta nelle proteste, ma i mugnai della zona furono attivi evasori della tassa, con manomissione dei contatori. Valenti, spulciando le carte dell’Archivio di Stato di Urbino, ha ritrovato numerosi fascicoli processuali penali, dal 1869 al 1883, dove imputati sono i mugnai per contravvenzioni alla legge sul macinato.

Valenti fra questi fascicoli ha scelto di seguire le vicende processuali del mugnaio Marino Caroni, esercente dell’importante mulino della Pieve in Macerata Feltria: una del 1876 e una del 1880, entrambe per manomissione dei contatori. Nel primo processo venne assolto perché i periti non seppero dimostrare come fosse stato possibile alterare il contatore “senza rompere i sigilli”. Nel secondo era stato sorpreso dai controllori mentre la notte “macinava generi soggetti a tassa (grano) nel palmento n. 2 destinata la macinazione dei cereali inferiori (esenti da tassa)”. Caroni reagisce urlando “Brutti assassini”, “Assassini se fossi Sansone vi ammazzerei tutti”.

“In questo come in altri fascicoli è evidente l’esasperazione dei mugnai per controlli così serrati e per il peso di una tassa che gravava particolarmente sulle loro spalle”. Caroni fu condannato ad alcuni giorni di carcere e ad una multa equivalente a circa 30.000 euro attuali.

“L’iniqua legge ebbe ripercussioni gravissime sulle classi popolari, che furono colpite nei consumi più elementari: il prezzo del pane e dei suoi derivati subì un forte aumento e restò invariato anche dopo l’abolizione della tassa nel 1884”.

Paolo Zaghini