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Il libro di Eraldo Baldini, Giancarlo Cerasoli, Oreste Delucca, Davide Gnola:  "Pirati e corsari nel mare di Romagna (secoli XV-XIX)"


Gli ultimi pirati a Rimini quando già era nato il turismo balneare


14 Agosto 2023 / Paolo Zaghini

Eraldo Baldini, Giancarlo Cerasoli, Oreste Delucca, Davide Gnola:  “Pirati e corsari nel mare di Romagna (secoli XV-XIX)”
Il Ponte Vecchio

“Le ultime scorrerie corsare sulla costa adriatica avvengono nel decennio tra il 1820 e il 1830, mentre il primo stabilimento balneare sorge a Rimini nel 1849: la spiaggia vede dunque avvicendarsi, in meno di due decenni, gli ultimi sbarchi dei corsari e i primi ‘bagnanti’” (Gnola).

Nel XVIII Secolo “le spiagge romagnole erano interessate nella bella stagione dalle scorrerie dei pirati schiavoni e albanesi che, provenienti dall’altra parte dell’Adriatico, vi approdavano velocemente per saccheggiare cose, bestie e persone che si trovassero sull’arenile” (Giorgio Gattei in “Atlante per i bagni di Romagna”, numero monografico di “Romagna arte e storia”, n. 28, 1990).

Il volume miscellaneo che l’editore Casalini ha “costruito” con diversi autori ben riesce a dare un quadro complessivo di questo fenomeno che per dalla notte dei tempi ha imperversato anche sulle nostre coste: “A partire dall’VIII secolo, la novità che caratterizzerà tutta l’età medievale è l’entrata in scena dell’Islam, che dilaga su tutte le coste meridionali e gran parte di quelle orientali e occidentali, iniziando a creare una polarità tra due sistemi contrapposti pronti a darsi battaglia in campo terrestre, ma che non possono tuttavia fare a meno di convivere sullo spazio marittimo. La presenza dei Saraceni inizia così a manifestarsi e a riempire cronache e folclore, e a caratterizzare anche fisicamente le coste che si muniscono di castelli e torri d’avvistamento, e diventano sempre più il luogo della frontiera e dello scontro” (Gnola).

Dopo la vittoriosa battaglia di Lepanto il 7 ottobre 1571, quando la flotta della Lega Santa sconfigge quella dell’Impero Ottomano, la guerra “ufficiale “ si sospende per lasciar posto, come sosterrà il grande storico francese Fernand Braudel, “nella storia del mare la pirateria, questa guerra inferiore (…). Dopo il 1574-80 si accentò più che mai; da allora dominò una storia mediterranea a sua misura (…). Una storia confusa dà il cambio alla grande storia”.

Il corsaro è il capitano di un bastimento privato che con una patente reale scorre il mare a suo rischio; il pirata è invece un “rapinatore di mare” che agisce per il proprio vantaggio al di fuori di un contesto di guerra e senza avere alcuna legittimazione. I “corsari barbareschi” erano quelli che provenivano da Algeri, Tunisi, Tripoli, territori dell’Impero Ottomano. A loro si oppsero le navi degli ordini combattenti, come i Cavalieri Ospitalieri di Malta o quelli di Santo Stefano a Livorno, a loro volta con la guerra di corsa.

Le incursioni in Adriatico sono invece “condotte soprattutto da barche decisamente più piccole e da equipaggi provenienti dai porti e villaggi della costa orientale e meridionale dell’Adriatico, oggi situati in Montenegro e in Albania (…). Le razzie e i rapimenti che avvengono sulle nostre spiagge, più che atti di guerra, appaiono dunque sostanzialmente un’attività di rapina”.

In questo quadro conflittuale c’è anche un attore “fuori dello schema che conferma il ruolo originale interpretato dall’Adriatico: gli Uscocchi, pirati cristiani adriatici che attaccano indifferentemente navi cristiane e mussulmane. Le loro azioni piratesche ebbero termine quando nel 1617, con il trattato di pace tra Vienna e Venezia, vengono sconfitti, le loro navi bruciate e loro deportati sulle montagne più alte della Croazia, affinchè lontani dal mare non possano più nuocere” (Gnola).

“Le merci più redditizie della guerra di corsa non sono però le ‘robbe’, ma le persone. Quella della riduzione in schiavitù delle persone catturate a bordo delle navi o lungo le coste è una storia che affianca in modo indissolubile quella della guerra di corsa, e va a costituire una gigantesca e articolata industria dove accanto ai corsari che rapiscono ci sono i mercanti che vendono, le congregazioni religiose che raccolgono i fondi per il riscatto, quelle che vanno a cercare gli schiavi, le navi che li riportano in patria, intermediari, funzionari, interpreti, senza escludere tassazioni varie”.

La conquista francese di Algeri nel 1830 chiude la stagione delle reggenze barbaresche e inaugura per il nord Africa la nuova fase coloniale, dopo che nei primi decenni del secolo le flotte degli stati europei e degli Stati Uniti avevano dato vita a numerose, ed efficaci, campagne contro la pirateria.

Baldini, attraverso una pignola ricognizione delle carte d’archivio dei comuni romagnoli ricostruisce una cronologia dei maggiori episodi di pirateria sulle coste romagnole fra il 1400 e l’inizio del 1800, e procede poi ad un inventario delle torri costiere del litorale ravennate e cervese.

La stessa cosa fa Delucca per le torri costiere della Romagna centro-meridionale, da Cesenatico a Cattolica. Nel Seicento “dato che gli attacchi corsari non assumevano il carattere di invasione e occupazione territoriale, ma piuttosto di rapina ai danni delle barche da trasporto e da pesca, oltre che di assalto a chi praticava le strade costiere, gli interventi hanno puntato a realizzare una sequenza coordinata di torri, opportunamente intervallate, a scopo di avvistamento, allarme ed agile difesa. Nel tratto fra Cesenatico e il promontorio di Focara ne furono costruite sei, su identico progetto: due a nord di Rimini (Bellaria e Pedriera, oggi Torre Pedrera), quattro a sud della città (Trinità, Fontanelle, Conca e Tavollo). I luoghi prescelti corrispondevano alle foci fluviali o ai siti che, per la presenza di fonti d’acqua, costituivano un richiamo per i corsari, spesso alla ricerca di approdi per le cosiddette ‘acquate’”. Per ognuna di queste torri Delucca ne ricostruisce la storia e le vicende nel corso dei secoli, grazie all’utilizzo di preziosi materiali d’archivio.

Cerasoli invece “legge” numerosi ex-voto donati alle chiese per riconoscenza dallo scampato pericolo dei pirati. Importante la ricca bibliografia finale che può consentire agli studiosi una base per nuove ricerche su questi temi.

P.S. Voglio esprimere a Marzio e Luca Casalini, editori della Casa Editrice “Il Ponte Vecchio” di Cesena, tutto il mio affetto e solidarietà per la distruzione del magazzino della Casa Editrice nel corso dell’alluvione che ha colpito la Romagna nella prima metà del mese di maggio. Aiutiamoli a far sì che la loro attività editoriale non cessi.

Paolo Zaghini