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A Rimini le strane dimissioni di Filippo Zilli, in Italia la scuola è diventata un lusso per pochi


Meloni fallisce su tutto ma tutti attaccano Elly Schlein


17 Settembre 2023 / Maurizio Melucci

Perché dico no al terzo mandato Da qualche settimana è aperto il dibattito sul terzo mandato per sindaci (tutti, compresi quelli delle città metropolitane) e presidenti di regione. La legge nazionale è chiara: i sindaci con popolazione superiore ai 3mila abitanti possono fare due mandati di 5 anni ciascuno. Anche per i presidenti delle Regioni vi sono norme nazionali che vincolano ai due mandati. Secondo molti  tale limite va abolito perchè è imposto, a parer loro senza ragioni, solo ai sindaci e ai presidenti di regione. Mentre al contrario nessun limite si applica ai membri del governo, ai parlamentari (europei e nazionali) ai consiglieri regionali o comunali.

Io ritengo togliere il limite dei due mandati a sindaci e presidenti di regione sia sbagliato per due buone ragioni.

  • Nell’ordinamento italiano questi sono gli unici due incarichi monocratici al vertice di un organo politico esecutivo cui si accede con elezione diretta sul modello del presidenzialismo americano. Incarichi che peraltro sono titolari di un potere notevole nell’ambito del proprio livello di governo. Non a caso anche il modello americano prevede questo limite per il ruolo di presidente, mentre lo stesso non vale per i suoi ministri o per i parlamentari. 15 anni di sindaco o presidente di Regione sono una eternità. Per capirci quasi il doppio di un presidente degli Stati Uniti. Vi è un’altra motivazione che viene sostenuta da chi vuole togliere il vincolo: “5 anni servono per completare il lavoro”. Dieci anni per esperienza diretta sono ampiamente adeguati. Se invece vi sono delle emergenze da affrontare si fa il passaggio delle consegne.
  • La seconda ragione è politica. Mentre questo dibattito è soprattutto tra sindaci e presidenti di regione del Pd (a parte Zaia) ed è oggetto anche di polemica dentro il Pd, nel centrodestra tutto tace. Non è un mistero che Giorgia Meloni leader di Fratelli d’Italia non sia entusiasta da questa idea del terzo mandato. Fratelli d’Italia ha pochi sindaci e presidenti di regioni, in particolare al Nord e l’idea di vedere continuare sindaci e presidenti di regione leghisti non credo sia tra i suoi desideri. Non penso neanche che Giorgia Meloni voglia dare il via libera a candidature forti a livello locale del Pd.

I presidente delle regioni Campania e Emiali-Romagna entrambi al secondo mandato

Le strane dimissioni di Filippo Zilli consigliere comunale di Fratelli d’Italia a Rimini

E’ di qualche giorno fa la lettera di dimissioni da consigliere comunale di Filippo Zilli di Fratelli d’Italia. Un fulmine a ciel sereno. Era entrato nel 2016 con una lista civica poi riconfermato nel 2021 con Fratelli d’Italia. Figlio d’arte del compianto Oronzo, era sempre stato orgoglioso del suo ruolo. Le motivazioni delle dimissioni non convincono. “Problemi personali”, “lasciare il posto a forze fresche” (lui ha 35 anni), “favorire un ricambio”. Suoi “compagni” di banco hanno sulle spalle molti più anni di consiglio comunale di Zilli. Poi il riferimento alle responsabilità nel partito. Di solito un dirigente di primo piano che non è nelle istituzioni diventa poi marginale. Ecco perché penso che non siano dimissioni “personali” ma con motivazioni politiche non dette. In particolare, per prendere le distanze da un gruppo consigliare di Rimini monopolizzato da Gioenzo Renzi che mostra sempre più la stanchezza degli anni che passano. Tenersi le mani libere e accreditarsi come futuro leader dello schieramento di centrodestra senza essere “compromesso” in un dibattito sterile in consiglio comunale a Rimini. D’altra parte, la sua esperienza nata come civica (di destra) oggi unisce anche un ruolo nel partito di maggioranza del centrodestra. Al congresso potrebbe candidarsi a segretario provinciale del partito della Meloni. Il resto poi potrebbe arrivare di caduta.

Filippo Zilli di Fratelli d’Italia

Elly Schlein sotto attacco

Mentre Giorgia Meloni, travolta da una situazione economica complicata e dal fenomeno fuori controllo degli sbarchi dei migranti, comunica con monologhi a reti unificate senza che nessuno abbia nulla da obiettare, la segretaria del Pd Elly Schlein è sottoposta ad un vero e proprio attacco politico quotidiano.

Non da parte della destra e dei giornali di destra. Si tratta in molti casi di “fuoco amico”. Dall’interno del Pd e da ambienti culturali-politici-giornalistici di centrosinistra. L’ultima in ordine di tempo l’intervista sulla 7 dalla Gruber con presente anche Massimo Giannini. Stefano Folli editorialista di Repubblica ha definito proprio ieri “quella allegra brigata che pare diventato il Pd”. Tutti guardano con apprezzamento (giustamente) gli incarichi europei a Mario Draghi ed Enrico Letta. Ma in realtà siamo alle solite, si vuole un Partito Democratico che faccia il portatore di voti per politiche che poco hanno a che fare con le grandi diseguaglianze del nostro paese. In anni di governo non abbiamo risolto, ma neanche iniziato ad affrontare, il problema dei salari troppo bassi nel mondo del lavoro. Tutto il mondo del lavoro dagli operai agli insegnati passando per medici ed infermieri. Non siamo riusciti ad affrontare il salario minimo. Non mi pare che siamo stati in grado di dare risposte sui migranti. Certo erano governi di coalizione con la presenza anche di partiti del centrodestra. Ma mentre questi partiti più Giorgia Meloni da fuori ogni giorno martellavano il governo con proposte che abbiamo visto essere impraticabili,  noi  siamo stati  responsabili oltre ogni misura.

“Se il Pd avesse fatto tutto bene in questi anni, una come me non avrebbe mai vinto il congresso, significa che c’era una forte spinta dalla base che chiedeva di ritrovare un’identità chiara” (Elly Schlein).

Ora c’è chi pensa che la segretaria copra questo vuoto programmatico in sei mesi, oppure recuperi credibilità in elettori che hanno deciso di stare a casa durante le elezioni. In realtà c’è chi scommette sul fallimento della Meloni per disegnare nuovi scenari. Per questo serve un Pd diverso. Schlein ha bisogno di tempo per riposizionare il Pd nella società italiana. Non ne ha molto, ma può farcela. Gode di popolarità tra gli elettori, è stata votata per cambiare, non certo per continuare le politiche del passato.

La scuola non è per tutti

Che succede se anche la scuola diventa un lusso? Mentre l’Istat racconta che le famiglie italiane s’impoveriscono come mai, lo studio si fa sempre più caro, non per affezione, ma per costo. Tradotto cosa significa? Meglio degli osservatori lo dicono le testimonianze: «Costo libri di testo per figlio iscritto in terza media (è scuola dell’obbligo): 320 euro. Figlio grande al liceo: oltre 500 euro»

Peggio ancora per chi va all’università. Sono tornate le tende di protesta davanti agli atenei per affitti alle stelle e alloggi introvabili. Il conto che l’Unione degli universitari (Udu) aveva fatto prima che l’inflazione picchiasse e crollasse il potere d’acquisto delle famiglie era di 11 mila euro all’anno per un fuorisede: tasse, stanza singola, materiale didattico, trasporto urbano e pasti. «Adesso il conto va aggiornato, per il prossimo anno accademico va aumentato di almeno il 10-15%»

Anche questo insieme a Sanità, lavoro, potere d’acquisto è argomento prioritario del Pd.

Basta con questi bagnini

Anche quest’anno arriva puntuale la polemica dei bagnini sul calendario dell’anno scolastico. Il 15 settembre è troppo presto. Occorre ritornare al primo ottobre. Un dibattito vecchio, inutile e fuori luogo. La scuola ha le sue regole (tanti giorni di didattica ad anno scolastico) che vanno rispettate. L’Emilia-Romagna è fra le ultime ad aprire le aule e fra le prime a chiuderle. I bagnini se ne facciano una ragione definitivamente. Un’ultima cosa. Non esiste il mare d’inverno. O meglio, esiste come l’abbiamo sempre conosciuto. Libero da attrezzature per belle passeggiate.