Home___aperturaDipendente molestata, Corte d’Appello conferma condanna Comune Valconca a risarcimento

I fatti risalgono al 2020, il dipendente era stato assolto ma l'ente pubblico dovrà pagare 15 mila euro e reintegrare la donna ritenuta discriminata


Dipendente molestata, Corte d’Appello conferma condanna Comune Valconca a risarcimento


17 Ottobre 2023 / Redazione

Una dipendente del Comune della Valconca era stata molestata da un collega che si sarebbe spogliato in sua presenza offendendola. Aveva denunciato tutto con una lettera, i fatti erano accaduti nell’ottobre del 2020. La vicenda aveva provocato la reazione di Adriana Ventura, consigliera di parità della Provincia di Rimini, che aveva fatto ricorso al giudice del lavoro contro il Comune. Il giudice ha condannato il Comune al risarcimento della somma di 15 mila euro alla lavoratrice vittima di molestie sessuali e imposto anche il reintegro della dipendente, che nel frattempo aveva chiesto la mobilità verso un altro Comune. A maggio si occupò della vicenda dal punto di vista penale il Tribunale di Rimini. Il dipendente comunale incriminato, difeso dall’avvocato Luca Greco di Rimini fu assolto perché il fatto non costituisce reato.

Il 12 ottobre a seguito dell’impugnazione della Sentenza ad opera dell’Ente Pubblico, soccombente in primo grado, la Corte D’Appello di Bologna  in data 12 Ottobre 2023 ha confermato la sussistenza delle molestie e la condanna per discriminazione del datore di lavoro.

“Sto uscendo da un incubo durato 3 anni, ringrazio le avvocate che mi hanno sostenuto ed assistito durante tutto l’iter processuale e, spero che questa “vittoria” possa essere  di aiuto e stimolo per quelle donne che, come me, possano trovare il coraggio di affrontare un tema così intimo e delicato in sede giudiziaria, senza temere le tante implicazioni e ansie che possono vivere insieme alla propria famiglia.”

Queste le prime parole pronunciate da M.M.  alla notizia della sentenza della Corte d’Appello di Bologna.

Grande soddisfazione per  la sentenza esprime anche la consigliera di parità della Provincia di Rimini, Adriana Ventura, e le avvocate che hanno patrocinato entrambe le cause  in primo e secondo grado.

“Questa sentenza – commentano – rappresenta un tassello importante per contrastare le forme di discriminazione che sono sempre più diffuse,  ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l’effetto di violazione la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante e offensione.

“Sono, altresì, considerate come discriminazioni le molestie sessuali, ovvero quei comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo”.

“Questa definizione equipara le molestie (sessuali e non) alla discriminazione, identificando gli elementi principali della fattispecie ,il comportamento indesiderato, la violazione della dignità come scopo o effetto e il clima derivante dal comportamento. Questo principio è stato riportato in sentenza in maniera significativa, sottolineando come “Il riferimento al sesso utilizzando un termine percepito come idoneo a marcare la differenza di genere che ridonda a svantaggio di quello femminile” configuri la fattispecie di molestia sessuale così come delineata dalla norma. Nel contempo la sentenza riconosce e conferma la responsabilità dell’Ente Pubblico per la discriminazione subita da  M.M. anche per aver il datore di lavoro avviato un procedimento disciplinare nei confronti della lavoratrice contestandole che parte dei fatti denunciati non erano stati provati nel corso dell’istruttoria interna all’Ente”.

Per la fattispecie in questione, la consigliera di parità ha proceduto con le ulteriori azioni previste dal Codice delle Pari Opportunità nei confronti di soggetti pubblici e/o  privati per i quali è stata accertata la responsabilità in ordine alle discriminazioni accertate.