Home___primopianoQuei gran bugiardi di Rimini

Anna Pavlovna sedotta da Martinini, il calcio di punizione che mutilò Toneatto, l'atterraggio di Moratelli nella piscina del Rex


Quei gran bugiardi di Rimini


5 Novembre 2023 / Enzo Pirroni

Come e perché nascono i miti? Il mito è l’esistenzializzazione di una metafora. Travalica l’immagine, si spinge oltre l’evento. In questa maniera si adultera l’essenza della parola, che è di condensare una conoscenza e non di esibire la cosa in concreto. In cosa differisce la bugia (quella epica, strabiliante, memorabile, fantastica) dal mito? La bugia, allorché è fine a se stessa, possiede una proprietà anagogica, ossia la capacità di elevare situazioni normali (meglio se mai accadute) alla sfera altissima della fantasia e dell’irreale. Rimini, che per secoli si è arrovellata tra gli spasimi, tra le contorsioni dialettiche per contrastare la miseria che ha sempre dimorato sulla foce del Marecchia, ha prodotto una marea di sottigliezze, di vertigini, tanto da generare una demenza analitica, tanto più cavillosa quanto più menzognera. Di bugiardi a Rimini ne sono passati a migliaia, con la loro tensione narrativa continuamente alimentata da una logopatia, a volte simpatica, altre volte talmente assurda che per misurarla sarebbero necessitate specole da capogiro. Vado a ritroso nel tempo.

Cosa ci facesse Mario Martinini nella tipografia di mio padre non l’ho mai saputo. Il suo lavoro era stato quello di macchinista in teatro. Aveva attraversato l’Atlantico un’infinità di volte. Aveva allestito sontuose rappresentazioni a bordo dei più famosi transatlantici, componendo e rivoltando l’intera struttura di un’opera come si trattasse di un congegno meccanico.

Discettava, con dovizia di particolari, dell’ordito scenico di un balletto di Sergei Daighilev, quasi che il successo dello spettacolo fosse dipeso, unicamente dalla precisa costruzione degli oggetti, dalla elaborazione tecnica dei materiali di scena, dai suoi sublimi esercizi di artigianale giocoleria. Ma era parlando delle attrici e delle ballerine (non importava se celebrate étoilles od oscure comprimarie) che Mario Martinini offriva il meglio del suo sconfinato repertorio di memorie. Di Tamara Karsavina, Olga Spesivzeva, l’incomparabile Aurora del balletto La bella addormentata, era capace di fornire dettagliatissimi particolari anatomici; di Valentina Chodasevic, scenografa del Primo Circo di Mosca, con la quale aveva allacciato una burrascosa relazione, amava ricordare l’irrequietezza sessuale, ma era soprattutto quando il discorso cadeva su Anna Pavlova che Mario ostentava tutto il suo immenso talento di raccontiere.

Anna Pavlovna Pavlova

Rovesciando sugli ascoltatori un’infinità di acutezze, di aneddoti, in massima parte arguti, ricostruiva, mossa dopo mossa, posizione su posizione, i fottimenti con la danseuse russa, la quale, ammesso che fosse tutta verità quello che Martinini andava raccontando, doveva, per necessità anagrafica, essere, al momento in cui succedeva il tutto, già avanti con l’età in quanto era nata nel 1881 a San Pietroburgo, ed era morta di polmonite a La Haye nel 1931, nel corso di una tournée nei Paesi Bassi. Fatto sta che Mario, che tipografo non era, era un personaggio organico alla tipografia, come lo era dei tanti caffè della nostra città, dove il suo nasaccio bitorzoluto, dalle dimensioni monumentali, era considerato alla stregua di un accessorio arcimboldesco, necessariamente indispensabile. Poi un giorno mi prese in disparte e mi disse: “Tal se te, parché i’erbur de viel Principe Amedeo, i’è tott pighed vers la zità?

No – dissi – non ho idea. Forse a causa del vento che spira dal mare”.

Pori pataca – disse Mario, guardandomi con compassione –. A so ste me! Tott al volti ch’ha cumpagneva a chesa al cantenti, agli artesti cli s’esibiva in te teatre Novelli, al cargheva puzedi ma i’ippocastani. Te capì, quaioun, parchè ades i’è tott pighed?”.

Giampiero Mangiarotti, talentuoso calciatore, nato a Stradella nel 1935, giocò nel Rimini allenato da Romolo Bizzotto dal 1962 al 1965. Disputò con la maglia biancorossa 52 partite, realizzando 11 gol. Mangiarotti, giocava nel ruolo di mezz’ala. Era ambidestro e come caratteristica peculiare, possedeva un tiro potentissimo. Sono stato diretto spettatore dei suoi squassanti calci di punizione.

Giampiero Mangiarotti

A Ravenna lo vidi segnare da oltre quaranta metri, fulminando l’esterefatto portiere avversario che non s’avvide neppure del pallone che, sibilando, si infilò in rete. A Rimini era giunto il Siena, dove Lauro Toneatto, il forte, già calvo difensore, giocava. Toneatto, costituiva con Pastorino una coppia arcigna.

Entrambi giocavano al limite del regolamento. Il Rimini faticava e non poco. Ad un certo punto Pennati, che era il nostro numero 11, dopo un’entrata assassina di Toneatto, fu costretto ad abbandonare il campo di gioco. Il pubblico iniziò ad inveire contro lo scrinito difensore in maglia bianconera. Quando, sul finire della gara, l’arbitro, il signor Barolo di Noale, assegnò un calcio di punizione, dal limite dell’area, a favore del Rimini. Naturalmente il Siena dispose la barriera. Sul pallone, more solito, andò Giampiero Mangiarotti. Ma lascio qui che a parlare sia Toni, un tifoso molto acceso, impenitente sportman e capace di raccontare storie incredibili. Naturalmente il racconto è in dialetto.

Mangiarotti, l’aveva ciapé una ricorsa ad trenta metre. Che boja ad Toneatto l’era l’ultme dla bariera sla destra. Me, aveva vest che Mangiarotti, ul mireva. Quand l’è partì e tir, u s’è sintì un rogg! Ad che meintre u m’è arivat sla faldeda (a sera in tribuna) un zinzagle insanguined. Ai ho guardè: un era l’ureccia ad Toneatto? Brota canaja – a i’ho dett: Te vest du cla è finida la tu ureccia?”.

Savoia-Marchetti SM 81 “Pipistrello”

A Rimini, i contorni di tutte le cose, la stessa natura, persino la storia nella sua documentaristica realtà, svaporano in un’aria torbida (complice il garbino) e le parvenze, le rimembranze si fanno mutevoli e i piccoli accadimenti d’incanto s’ingigantiscono, ed anche le storie più banali diventano epiche. Ma il più grande bugiardo fu Moratelli. Tutta la sua vita al pari di quella di Corto Maltese, si era svolta attraverso il prodigioso disegno della fantasia e della creazione. Raccontava Moratelli che, essendo lui un pilota di aerosiluranti, mentre effettuava un collaudo di un Savoia-Marchetti S.M. 81, un motore andò in avaria. I comandi non rispondevano. Volava ad oltre 1500 metri di altezza in pieno Oceano Atlantico. Non aveva il paracadute. Conscio della fine sicura, Moratelli, si gettò nel vuoto… tutto bene, alla fine. Ad accoglierlo fu la piscina del transatlantico REX!    

Enzo Pirroni

(nell’immagine in apertura Anna Pavlovna in costume tradizionale russo)