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16 settembre 296 – Santa Innocenza, la Patrona dimenticata di Rimini


16 Settembre 2024 / ALMANACCO QUOTIDIANO

Nel sito della parrocchia di Monte Tauro si legge che “esiste fin dal 1766 un documento, consegnatoci da Mons. Francesco Castellini, vescovo di Rimini, in cui si racconta la vicenda di santa Innocenza. È un documento ufficiale della Chiesa riminese che ha conservato, dopo tanti secoli, lo straordinario racconto del martirio di questa giovane nativa di Montetauro. Alla fine del documento è precisato il giorno, il mese e l’anno in cui avvenne il fatto”.

“Innocenza, giovane nobile della città di Rimini, di anni 17, essendo stata accusata a Diocleziano, che era qui di passaggio mentre si recava in Ungheria, fu mandata a prendere a Montetauro, di cui era signora. Trovata in preghiera davanti ad un crocifisso, con una serva, nella casa fabbricata dai suoi antenati (ancor oggi se ne vedono i resti), fu condotta davanti al tiranno. Innocenza confessò di essere cristiana, serva del Figlio di Dio e di Maria, e disprezzò il sacrificio degli idoli. Per questo fu condannata a morte e, condotta al luogo del supplizio, dal carnefice le furono trafitti i fianchi, lasciandovi in essi la spada. Non per questo la santa vergine diede segno di timore. Anzi, continuando per lo spazio di un’ora la preghiera, fattasi da capo a piedi il segno della croce, rese lo spirito a Dio. Il corpo fu dagli altri cristiani onorevolmente raccolto e sepolto in un sepolcro di marmo, facendo memoria dell’avvenimento. In seguito, in onore della santa furono fabbricate e dedicate due chiese, una a Rimini e una a Montetauro. Il giorno del suo martirio fu il 16 settembre del 296”.

Santa Innocenza in un quadro anonimo attribuito ai secoli XVII-XVIII proveniente dalla Chiesa di Santa Maria dell’Angelo di Faenza

Lo storico riminese Luigi Tonini, sebbene fervente cattolico quanto innamorato della sua città, nel compilare sua “Storia civile e sacra riminese – Dal principio dell’Era Volgare all’anno MCC” (1856), non può fare a meno di consultare il bollandista “Stickero” (Urbain De Sticker). Il quale aggrotta le sopracciglia e sottolinea due punti con la matita blu. Primo: “Diocleziano dal febbrajo del 303, principio della persecuzione, fino al maggio del 305, nel quale si spogliò della porpora, non ebbe spedizione alcuna contro i Pannonici”; secondo: “Il titolo di Signora o Contessa di Monte Tauro mal corrisponde alla condizione civile di que’ dì”. Ma il Tonini non demorde e ribatte: “Osservazioni giustissime. Se non che alla prima può esser risposto che Diocleziano passò per Rimini senza dubbio sul finire del 303 quando si portò a Roma, o quando venne di là a Ravenna; tempo in cui la persecuzione fu nel suo primo calore. Alla seconda poi, che per Signora o Contessa della Rocca di Monte Tauro, onde fu qualificata giusta il linguaggio di tempi posteriori, nulla più la si voglia che proprietaria di quella anche allora semplice villa”.

Fatto sta che da tempo immemorabile a Rimini esisteva una chiesa dedicata a Santa Innocenza. E presso Monte Tauro sulla via per Montescudo alla Santa vergine e martire era dedicata una pieve.

Le reliquie di Santa Innocenza nella chiesa di Monte Tauro

La chiesa di Rimini, secondo la tradizione, sarebbe stata eretta dal vescovo Gaudenzo in persona sul luogo dove sorgeva la domus di Innocenza, affacciata sul foro di Ariminum. Dunque sarebbe da considerarsi uno dei primissimi luoghi di culto cristiani della città.

La prima menzione della chiesa è in un diploma dell’imperatore Ottone III datato 996. Si trovò poi tagliata fuori dalla piazza ormai detta “delle Erbe” o di “S. Antonio”, così come S, Michelino “in foro”, quando nel corso del ‘400 parte di essa fu occupata da due nuovi isolati. Fino al 1547, quando fu eretta la Torre dell’Orologio, quello a sinistra della chiesa  comprendeva le principali beccherie della città; quello alla sua destra, dove nel 1617 sarebbe sorta la chiesa dei Frati minimi di S. Francesco da Paola – i Paolotti – finì per ostruire la visuale della facciata, cui da allora si dovette accedere per un vicoletto. La chiesa a tre navate, dopo il terremoto del 1786 era stata trasformata in un’unica navata con abside, dalle modeste dimensioni (17 x 14 metri). Era parrocchia e tale restò fino al 29 agosto 1797; nel 1808 la circoscrizione fu soppressa definitivamente e la chiesa convertita in oratorio del vicino Seminario.

La traccia dell’abside e della navata di S. Innocenza nella pavimentazione di via IV Novembre

Abbattuta nel 1919 per ampliare la via che collegava la piazza alla stazione (da allora Via IV Novembre, che fra i nomi antichi ebbe proprio quello di Contrada S. Innocenza), negli anni ’90 del Novecento si è voluta recuperarne la memoria disegnando nella moderna pavimentazione l’andamento dell’abside e l’accenno della navata. La demolizione aveva riportato in luce frammenti di marmi scolpiti e un sarcofago in pietra con le reliquie della Santa. Queste sono oggi custodite nel tesoro della Cattedrale di Rimini in un apposito reliquiario (nell’immagine in apertura).

I resti della pavimentazione del Cardo romano accanto a quanto resta della chiesa di Santa Innocenza in via IV Novembre

 

 

Per quanto riguarda l’elevazione a Patrona di Rimini, non è chiaro quando sia avvenuta. Il Tonini non può dire altro che con questo titolo è “onorata da molti Secoli”. La traccia più antica che trova è negli Statuti comunali del 1334, nei quali “è una Rubrica (L. II. n. 84 ) che prescrive l’offerta di un Pallio da farsi ogni anno alla sua Chiesa nel di a Lei sacro”. Inoltre lo storico e bibliotecario ottocentesco riporta Cesare Clementini, il quale ai primi del ‘600 riferiva come “in tempi più remoti i nostri Vescovi improntassero della sua Effigie i loro Sigilli”. Certamente “la sua Festa a’ 16 di Settembre fu vista dai Bollandisti in un Calendario riminese del 1644 segnato con rito doppio”.

Sulla Pieve di Monte Tauro, Currado Curradi (“Pievi del territorio riminese prima del Mille” – 1984) ha trovato tre documenti antecedenti appunto all’anno Mille. La prima citazione è in una pergamena del 903, le altre due nel Codice Bavaro, che come si sa presenta però problemi di esatta datazione nell’ampio arco fra gli anni 688 e 998. Nel primo testo “gli sposi Benedetto e Maria, il 26 luglio 903, chiedono in enfiteusi i fondi Valiano e Liargo al diacono Pietro, figlio dei fu conti Martino e Ingelrada. Situati nella pieve di S. Innocenza, i fondi erano stati venduti da Romano di Trarivi alla madre del diacono ravennate”, il quale li concede alla coppia richiedente per “la pensione annua di quattro denari d’argento”. E Curradi rimarca: “Il documento è scritto da Domenico, tabellione (notaio ndr) della curia cittadina di Rimini, ed è la pergamena più antica che nomini una pieve nel territorio riminese”. Non solo: “E’ anche l’unica testimonianza diretta del diacono Pietro come concedente di beni lasciategli in eredità dalla madre, la quale nell’896 gli aveva fatto una famosa e ricchissima donazione di terre e case in vari territori romagnoli. La chiesa di Ravenna aveva rivendicato quei beni, come erede del diacono, e ne era nato un lungo e sanguinoso conflitto con i conti Guidi”.

Stemmi dei conti Guidi

La pieve che sarebbe sorta sul luogo della villa rustica appartenente alla patrizia riminese Innocenza non era sul colle dove vediamo l’odierna chiesa parrocchiale, ma, si ritiene, alcune centinaia di metri più in basso nella località tutt’ora denominata Pian della Pieve. “Secondo la tradizione locale – scrive sempre il Curradi – il trasferimento sarebbe avvenuto nel secolo XIV, ma la mancanza di riferimenti nelle fonti da cui è tratta rende poco attendibile la notizia”. Lo studioso afferma anche che non ci è possibile stabilire quando la pieve cambiò di luogo. Tuttavia se restano sconosciute sia l’esatta ubicazione originaria che il motivo del trasloco, invece una data per la consacrazione della nuova chiesa esiste ed è il 1107.

Lo ricorda don Gioacchino Maria Vaccarini nel suo libro “Montetauro. La Pieve ritrovata. Chiesa di S. Innocenza, vergine e martire”: si tratta della scoperta che “don Giovanni Giommi, parroco di Monte Tauro dal 1869 al 1906, aveva fatto quando “nel ricostruire con zelo il nuovo campanile, trovò un pilastrino in arenaria della vecchie chiesa con iscrizione e data: 1107”. Il parroco “pensò di compiere il suo dovere donando il reperto recuperato al Museo di Rimini, senza fare altre considerazioni di ordine storico riguardo la propria chiesa. Una nota positiva da segnalare è che il pilastrino, passato nelle mani di Luigi Tonini, venne disegnato e pubblicato nella sua ‘Storia di Rimini’” (nel vol. VI, parte seconda, pp. XIX-XX). Il testo dice: “Nel 1107 al tempo del Vescovo Opizone e di Andrea Levita ed Arciprete fu edificato …”. L’iscrizione dovrebbe riferirsi alla chiesa e alla sua consacrazione avvenuta al tempo del Vescovo Opizone I, che governò la Diocesi di Rimini dal 1069 fino al primo decennio del sec. XII”.

Questa data, 1107, coincide con l’età delle strutture romaniche ritrovate nel corso degli scavi effettuati. “Nell’occasione del rifacimento del pavimento, abbiamo potuto rintracciare le fondazioni della chiesa e constatare che sono state conservate quelle della chiesa originaria su tutti i lati. Ci è stato quindi possibile ricostruirne la pianta”.

La chiesa di S. Innocenza a Monte Tauro

Ma nemmeno la nuova chiesa sul colle è quella che vediamo oggi. Proprio come il luogo di culto a Rimini, anche questa fu radicalmente ricostruita dopo il disastroso terremoto del Natale 1786. Nei dintorni esistono ancora la Fonte di Santa Innocenza presso via Fiume, “che è stata la fonte perenne più importante del circondario, dando acqua abbondante anche nei tempi di grave siccità”, mentre i terreni parrocchiali sono nominati anche nelle carte più antiche come “le terre di santa Innocenza”.

L’unico rudere superstite del castello di Monte Tauro

 

E il castello di Monte Tauro di cui la patrizia Innocenza sarebba stata anacronisticamente la “contessa”? Le labili tracce documentali dicono che nel 1200 castrum Montis Tauri era soggetto al Comune di Rimini. Divenne poi dei Malatesti e nel 1391 viene citata una fossa granaria nella sua piazza. Nel 1430 risulta appartenere a Sigismondo, che lo perdette nel 1463; fu recuperato dal figlio Roberto nel 1469. Nel 1503 venne venduto alla Repubblica di Venezia da Pandolfaccio Malatesta insieme a quanto restava della sua signoria. Nel 1509 la Serenissima lo dovette cedere alla Santa Sede e qui finiscono le notizie. Pier Giorgio Pasini in “Rocche e castelli di Romagna – III” nel 1972 va a constatare che “il castello sorgeva dove si trova il casale di Monte Tauro, detto anche CASTELLO, sul poggio che sovrasta il corso del Marano; alcui fabbricati sono stati eretti sui ruderi, la maggior parte dei quali è scomparsa in seguito a lavori di sistemazione e ristrutturazione del luogo”.

Dunque il castello non si trovava sulla medesima altura della chiesa, ma più a monte e sull’altro lato della strada per Montescudo, poco prima di Cavallino. Sul pianoro, al cui centro c’è un casale agricolo abbandonato, si può riconoscere approssimativamente il perimetro della fortificazione. Di cui resta, almeno in superficie, un’unica traccia: un rudere informe semisommerso dai rovi, con murature “a sacco” dove i mattoni contengono un conglomerato di sassi di fiume; qua e là occhieggiano alcune aperture.

L’unico rudere superstite del castello di Monte Tauro

 

 

Il 16 settembre si festeggia una S. Innocenza anche a Bologna e soprattutto Vicenza, dove si mostrano sue reliquie. Si tratterebbe però della figlia di San Severo, undicesimo vescovo di Ravenna e primo documentato storicamente; è attestato al Concilio di Serdica (342-43) – oggi Sofia, in Bulgaria. La sua agografia narra che faceva il mestiere di lanaiolo ed era sposato con Vincenza quando, assistendo alle esequie del vescovo Marcellino “una colomba gli si posa più volte sulla testa, così che tutto il popolo riconosce che è lui l’eletto di Dio” (Santi beati e Testimoni).

San Severo in un mosaico di S.Apollinare in Classe

Le reliquie di Severo, Vincenza e Innocenza furono trafugate nell’842 un monaco franco di nome Felice, prima a Magonza poi ad Erfurt, dove sono tutt’ora conservate nella maestosa Severikirche. Tuttavia a Vicenza si sostiene che il corpo di Innocenza riposa assieme a quelli dei Santi Leonzio e Carpoforo, e di Sant’Eufemia, nella cappella dei Fiocardi della chiesa della Santa Corona. E per proseguire con le coincidenze, nella città veneta si ritrovano altri culti che suonano familiari anche a Rimini e dintorni: oltre a Innocenza ed Eufemia, ci sono Vito, Fortunato, Apollonia, nonchè una Gaudenzia.