Home___primopianoViva Martino santo della condivisione: come sanno bene i becchi di Santarcangelo

Pare che abbia anche risuscitato tre morti ma non se lo ricorda nessuno, tutti hanno in mente solo la storia del mantello tagliato


Viva Martino santo della condivisione: come sanno bene i becchi di Santarcangelo


12 Novembre 2023 / Lia Celi

Martino, il santo che si festeggia in questo weekend, è sempre stato uno dei santi più simpatici del calendario. Non che fosse un pacioccone alla san Filippo Neri, “state buoni se potete”, eccetera, anzi: ha fatto il soldato fino ai quarant’anni, poi è stato missionario, monaco e vescovo, e ai suoi tempi – più o meno quelli del nostro san Gaudenzo, il IV secolo d. C., quando il cristianesimo doveva ancora prevalere sul paganesimo e per di più era diviso al suo interno da molteplici e litigiose eresie, peggio dell’attuale opposizione – non si faceva pregare per distruggere templi di Apollo o statue di Iside.

Però l’episodio più famoso della sua vita, quello che ci raccontavano da bambini ed è stato raffigurato da tanti artisti, è suggestivo come una fiaba. Lo riassumo per i pochissimi che non lo conoscono. Martino, soldato originario della Pannonia (oggi Ungheria) è stato inviato nella Gallia del Nord, nella regione di Amiens, dove svolge compiti di polizia e di controllo del territorio, compito non facile, in un’epoca di acuta crisi economica e di rivolte quasi quotidiane. È attratto dal cristianesimo, questa religione che non è più nemmeno tanto nuova e chiede scelte di vita piuttosto drastiche, ma non è stato ancora battezzato: del resto il mestiere che fa richiede la fedeltà all’imperatore e non sempre è compatibile con l’amore del prossimo e il porgere l’altra guancia.

Forse lo trattiene anche la brutta fine di san Firmino, l’evangelizzatore locale, decapitato trent’anni prima proprio ad Amiens. Martino è un simpatizzante, diciamo, e rimanda la conversione a dopo il congedo, quando sarà più libero di vivere a modo suo. Siamo nell’inverno del 335, una di quelle stagionacce a base di gelo e di intemperie così frequenti quando ancora la nostra impronta ecologica era leggera come quella di un’étoile della Scala, e Martino, ben intabarrato nel bianco mantello di lana della guardia imperiale, sta effettuando una ronda notturna a cavallo.

A un certo punto, sul ciglio della strada vede un poveretto mezzo nudo – un clochard, ma poteva essere anche uno cui l’esoso fisco romano aveva preso anche le mutande, o la vittima di un assalto dei briganti. Il nostro soldato non tira dritto, e nemmeno gli fa prediche (“amico, a occhio e croce mi sembri occupabile, quindi vai a lavorare”) o gli offre buoni consigli (“guarda, a due chilometri c’è una chiesa, lì ti aiuteranno sicuramente”). Estrae la spada, probabilmente spaventando a morte il derelitto, che già si vedeva fatto a fette, poi prende il suo bel mantello, ne taglia una falda e gliela dà per coprirsi.

Dal punto di vista strettamente cristiano Martino non ha fatto il suo dovere: per essere conforme all’insegnamento di Gesù (“se uno ti chiede la tunica, tu dàgli anche il mantello”, Mt 5, 40), non solo avrebbe dovuto regalare al povero tutto l’indumento, ma anche la biancheria intima. Più giudiziosamente, ha pensato che il suo mantello era così ampio che bastava per due persone e l’ha condiviso con lo sconosciuto in difficoltà. Non aveva senso che rischiasse lui il congelamento per risparmiarlo a un altro: ci si poteva scaldare entrambi. Martino se ne torna in caserma deciso a giustificare il mini-mantello come una nuova moda, ma quella notte, dice la leggenda, sogna Gesù avvolto nel lembo di stoffa regalato al viandante, e al suo risveglio il mantello è di nuovo miracolosamente integro.

Oppure no? Perché quando, in seguito, il mantello di Martino diventa una reliquia, gelosamente custodita dai re merovingi, prende il nome di «cappella», cioè «piccola cappa, mantello corto» (per inciso: siccome era conservata nell’oratorio reale, questo verrà chiamato «cappella», che poi diventa termine comune nell’edilizia sacra).

Forse non c’era stato nessun miracolo, e i posteri si sono inventati la storiella del mantello ricresciuto per convincere i cristiani che la carità si può fare a cuor leggero, è una specie partita di giro che ti ricompensa in questo mondo. Martino invece si era tenuto il mantello mutilato, senza aspettarsi un risarcimento celeste.

Nel prosieguo della sua carriera pare anche che abbia risuscitato tre morti, ma non se lo ricorda nessuno, tutti hanno in mente solo la storia del mantello tagliato, che fa di san Martino il santo della condivisione. E non solo dei mantelli, se a Santarcangelo nella sua festa si celebrano i «becchi», cioè quelli che condividono la partner. Dalle corna all’aureola è un attimo.

Lia Celi