HomeAlmanacco quotidiano14 aprile 754 – Rimini ceduta al papa con la donazione di Pipino, nasce lo Stato della Chiesa


14 aprile 754 – Rimini ceduta al papa con la donazione di Pipino, nasce lo Stato della Chiesa


14 Aprile 2024 / ALMANACCO QUOTIDIANO

Il 14 aprile 754 il re dei Franchi Pipino il Breve (Pépin III le Bref)  firma la cosidetta Promissio Carisiaca, (nota anche come Donatio Carisiaca, o donazione di Pipino, o patto di Quierzy o donazione di Quierzy). Con questo atto promette di conferire alla Sede Apostolica una serie di territori già appartenuti all’impero romano “bizantino” e ad esso sottratti dai Longobardi. L’aggettivo “carisiaca” deriva dal nome latino di Quierzy (Carisium). I territori sono: Ravenna, Comacchio, Cesena, Forli, Forlimpopoli, “Bobbio” cioè Sarsina, Rimini, Montefeltro, Pesaro, Fano, Senigallia, Urbino, Jesi, Cagli, Gubbio, Luceoli, Narni ed altri luoghi minori; fra i quali sono espressamente citati i castelli di Conca, Acerragio, Monte Lucari e Serra  di S. Marino. “Conca” era il fortilizio di Monte Vici presso la futura Cattolica; “Accerragio” sarebbe stato Cerasolo; mentre per il non identificato “Monte Lucari” le ipotesi si dividono fra Monte Luro presso Gradara e un Monte Lucati o Leucadi da qualche parte nel cesenate.

Carlo Martello divide il regno dei Franchi tra i figli maggiori, Carlomanno e Pipino III

Secondo quel patto, ai Longobardi sarebbero rimaste Ferrara e il suo ducato, Bologna, Imola, Faenza, Osimo e Ancona: ma i pontefici continueranno ostinatamente a rivendicarle per secoli e infine avranno anche quelle.

Questo, e non la falsa Donazione di Costantino, è il vero atto di nascita dello Stato della Chiesa. Nè lo è la donazione di Sutri da parte di Liutprando nel 728. Infatti, allora il papa Gregorio II ricevette dal re longobardo quei castelli a difesa di Roma in nome dell’imperatore romano di Costantinopoli, Leone III Isaurico. E’ vero che l’impero non faceva più nulla per difendere i suoi residui possessi al centro e nel settentrione della penisola, ovvero Roma e l’Esarcato di Ravenna: aveva ben altro a cui pensare, a iniziare dalla salvezza della capitale stessa. Nel 717 Costantinopoli era stata assediata dai musulmani giunti con 120.000 uomini e 1.800 navi e si era salvata per il rotto della cuffia. Durante quella crisi anche la Sicilia si era ribellata e aveva tentato di rendersi autonoma. Inoltre Leone sosteneva l’iconoclastia mentre Roma e Ravenna erano strenuamente a difesa del culto delle immagini. Ma ancora lo scisma fra Oriente e Occidente non è neppure concepibile; si consumerà solo secoli dopo, nel 1054 secondo i più, addirittura nel 1204 o perfino nel 1484 secondo altri.

Nel 754 si abbandona però ogni parvenza formale. Il papa non chiede la restituzione di quelle terra nel nome dell’imperatore, che ora è Costantino V figlio di Leone (detto dai detrattori “Copronimo” perchè all’età di 2 anni nell’atto del battesimo avrebbe defecato sulla fonte). Niente affatto, il pontefice chiede al re franco quei territori per se medesimo. In teoria la cristianità è ancora una sola, ma agli occhi di Roma è tempo che Costantinopoli sloggi dall’Italia.

Era andata così. Già nel 751 i Longobardi avevano preso Ravenna e tutto l’Esarcato d’Italia, di cui faceva parte anche il Ducato di Roma. Il re longobardo Astolfo, prudentemente, non andò a prendersi l’Urbe, ma continuò a soggiornare nella sua capitale Pavia. Attendeva che il frutto maturo cadesse da se, come già era accaduto con Ravenna e la Pentapoli.

I domini longobardi dopo le conquiste di Liutprando

Il suo predecessore, il grande re Liutprando, aveva invaso l’Esarcato e assediato Ravenna già nel 728. Come elenca Paolo Diacono, prese Classe e la distrusse, e il Frignano sopra Modena, e Monte Veglio nel bolognese, Busseto, Persiceto e Bologna stessa, tutta la Pentapoli (Rimini, Pesaro, Fano, Senigallia, Ancona) e Osimo. Costretto a restituire quasi tutte queste città, tornò a minacciarle nel 743. E fu allora che papa Zaccaria andò di persona a incontrare il re longobardo a Terni, e poi l’esarca Eutichio a San Cristoforo ad Aquilam (Colombarone presso Gradara, dove si vede l’interessantissima area archeologica). E poi ancora Liutprando nella sua Pavia: e lo supplica “perchè cessasse dalle ostilità, e rendesse quelle terre all’Impero”. Liutprando si fa pregare e alla fine acconsente, “a riserva della terza parte del territorio di Cesena, che tenne in pegno finchè gli ambasciatori suoi tornati fossero da Costantinopoli”.

L’area archeologica di Colombarone

L’anno dopo Liutprando muore e di tutte queste conquiste pur restituite si vanta nell’epigrafe funebre che il Muratori vide e trascrisse a Pavia:

FLAVIUS HOC TUMULO LYMPRANDOS CONDITUR OLIM
LANGOBARDORUM REX INCLYTUS ACER İN ARMIS
ET BELLO VICTOR SUTRIUMQUE BONONIA FIRMANT
HOC ET ARIMINUM NEC NON INVICTA SPOLETI
MOENIA NAMQUE SIBI HÆC SUBJECIT FORTIOR ARMIS
ROMA SUAS VIRES JAMPRIDEM HOC MILITE MULTO
OBSESSA EXPAVIT…

Come si vede, fra le sue tante imprese il re desidera esplicitamente citare a futura memoria quelle di Sutri, Bologna, Rimini e Spoleto.

Tremisse di Liutprando, coll’Arcangelo Michele in sostituzione della Vittoria

A Liutprado succede Rachis, che pur continuando a stringere Roma e l’Esarcato nella morsa, non sferra l’attacco decisivo. Come detto, lo fa Astolfo nel 751 incontrando resistenza praticamente nulla. L’esarca Eutichio scappa a Costantinopoli senza combattere.

Due anni dopo l’imperatore Costantino V decide di chiedere ad Astolfo la restituzione dei territori sottratti. Siccome Eutichio nel frattempo è caduto in battaglia, l’unica personalità in grado di eseguire la missione resta il pontefice romano. Sedeva sul trono di Pietro papa Stefano II (752-757). Il pontefice viene raggiunto nell’Urbe da un alto dignitario (silentiarius) della corte imperiale, Giovanni. Nell’ottobre 753 i due vanno da Roma a Pavia alla corte di Astolfo. Il papa ha in mano il mandato ufficiale per trattare con il re longobardo la restituzione delle città occupate. Giovanni, a conferma, consegna ad Astolfo una o più lettere di Costantino V. Astolfo rifiuta e la questione sembra finita lì, con il silentiarius Giovanni che se ne torna a Roma.

Invece il papa, di sua iniziativa, prende la direzione esattamente opposta. Stefano II si reca in Francia, alla corte del re Pipino il Breve. Il 6 gennaio 754 è a Ponthion (90 km a sud di Reims), dove Pipino aveva una delle sue residenze. Il papa spiega al re franco che, con la scomparsa della presenza bizantina in Italia, la città di Roma si sarebbe trovata in grave pericolo. Era dunque a beneficio di San Pietro apostolo che il re dei Franchi sarebbe dovuto intervenire. Non si trattava quindi di difendere una città, ma la Sancta Dei ecclesia reipublicæ Romanorum, cioè il “bene comune” costituito dalla santa Chiesa di Dio. Con questa nuova formula il pontefice aggira la mancanza di un mandato diretto dell’imperatore a trattare con il re dei Franchi.  L’accordo consiste infatti nel consegnare le terre recuperate non all’imperatore, bensì a Petrus apostolos. Pipino avrebbe donato i territori a San Pietro apostolo e, per lui, al pontefice regnante e ai suoi successori in perpetuo.

Ci si mette però di mezzo Sergio, arcivescovo di Ravenna. Opinando che se esiste un erede dell’Esarcato, ebbene è proprio lui. Ravenna da tempo rivendica “l’autocefalia”, ovvero la completa indipendenza da Roma e per un breve periodo gli era anche stata riconosciuta. L’arcivescovado possiede un patrimonio immobiliare immenso, quasi pari a quello di San Pietro, con beni in Romagna, Emilia, Istria, Veneto, Marche, Umbria e perfino in Calabria e Sicilia. Nel 671 si era arrivati a un vero e proprio scisma da Roma.

Astolfo non aveva avuto l’accortezza del suo predecessore Liutprando, che prima di accerchiare Roma si era alleato con i Franchi di Carlo Martello fornendo loro anche decisivi aiuti militari. Così, quando papa Gregorio II aveva invocato l’aiuto transalpino, Carlo Martello aveva fatto orecchie da mercante. Pipino invece ad Astolfo non deve nulla. E quando il re longobardo gli si fa incontro in armi, gliele suona di santa ragione alle chiuse di Susa. Il re longobardo deve allora promettere la restituzione di Ravenna cum diversis civitatibus (Prima pace di Pavia, giugno 755).

L’arcivescovo Sergio cerca però un’intesa con Astolfo e non si presenta all’incontro con il pontefice per discutere dell’amministrazione dell’ex territorio esarcale. E il re longobardo gli consegna le città occupate; Sergio ne prende possesso in funzione di esarca (ut exarchus).

Wiligelmo e seguaci, Re Astolfo fa una donazione all’abate Anselmo per fondare l’abbazia di Nonantola (portale dell’abbazia di Nonantola, XII secolo)

Dal momento che Astolfo non mantiene i patti, nella primavera del 756 Pipino scende di nuovo in Italia ma, contrariamente ai suoi piani, non riesce ad annientare il regno longobardo. Si giunge alla “seconda pace di Pavia”, giugno 756. Astolfo deve accettare dure condizioni: la consegna di un terzo del tesoro della corona longobarda, il versamento di un tributo annuale a Pipino e la cessione della città di Ravenna e delle altre città precedentemente conquistate, Rimini compresa. Il regno longobardo conserva però l’indipendenza per altri vent’anni con altri tre monarchi.

Quanto a Sergio, viene chiamato a Roma, dove un sinodo riunito per giudicarlo lo condanna a una pena detentiva.
Tuttavia il pontefice non riesce a rientrare in possesso di tutte le città dell’Esarcato e della Pentapoli. Il suo successore papa Paolo I ritiene che Sergio gli venga utile nella trattativa coi Longobardi. L’arcivescovo è dunque liberato ed inviato nella sua Ravenna per conferire con re Desiderio. Paolo I ottiene da Sergio l’assicurazione che egli non avrebbe chiesto aiuto a Costantinopoli; in cambio, concede alla sede di Sant’Apollinare una vasta signoria ecclesiastica sul territorio ravennate.

La vittoria franca, quindi, non consentì a Pipino la piena attuazione della promissio. Pipino non tornò più in Italia e morì nel 768 senza aver mai messo piede a Roma.

Ulteriori dettagli
Basilica di Saint-Denis, tomba di Pipino e Bertrade de Laon

Lo farà suo figlio e successore Carlo detto il Grande: Karolus Magnus. La storia d’Italia era ormai segnata: la penisola stava per essere condensata in un solo regno, quello longobardo, ma a un passo dal traguardo si ritrova con uno Stato della Chiesa al suo centro che ne avrebbe impedito l’unità per i successivi mille e passa anni. Così come quella della Romagna, di quello Stato cospicua e fondante parte.

(in apertura: la donazione di Queirzy)