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Da molto tempo non mi capitava di sentire tanto parlare di un film fra le donne normali, in ufficio, al supermercato, nello spogliatoio della palestra, per strada


C’è ancora dopodomani


26 Novembre 2023 / Lia Celi

I dodici milioni di biglietti staccati in un mese, le lacrime in platea, gli immancabili applausi sui titoli di coda, l’aver messo d’accordo destra e sinistra: già basterebbero queste benemerenze a rendere straordinario il film di Paola Cortellesi, C’è ancora domani. Personalmente trovo clamoroso un altro primato: da molto tempo non mi capitava di sentire tanto parlare di un film fra le donne normali, in ufficio, al supermercato, nello spogliatoio della palestra, per strada.

Le amiche di tutte le età si mettono d’accordo per andarlo a vedere o a rivedere, in gruppo o con i figli, e poi lo commentano e ne discutono nelle loro chat. C’è chi ha portato al cinema la mamma o la nonna e poi si è fatta raccontare il suo personale film in bianco e nero fra le rovine e le speranze del dopoguerra. Chi la mamma o la nonna non ce l’ha più si commuove davanti al grande schermo, immaginandola giovane, trepidante, tenace e fiera come la Delia protagonista del film.

Insomma, C’è ancora domani è il film da vedere, possibilmente oggi, come corollario alla giornata contro la violenza sulle donne. Ne vale la pena anche perché è costruito con un’abilità che sfiora il miracolo: riuscire a parlare di politica e di rapporti uomo-donna senza polarizzare l’opinione pubblica in fan sfegatati e detrattori fegatosi sembrava un’impresa impossibile. Cortellesi c’è riuscita con l’arma della commedia, il genere che fin dall’antichità riesce a raccontare qualunque cosa, anche la più dura e insostenibile, e a farla rientrare nella dimensione dell’umano, senza per questo addomesticarla o banalizzarla.

In C’è ancora domani si affronta il tema della violenza domestica, fisica e psicologica. La si vede in tutta la sua intollerabile e stupida bestialità, senza quel sadismo grafico e ipocrita con cui spesso i registi maschi spettacolarizzano la brutalità su corpi femminili. Al contrario: le ripetute aggressioni del marito manesco contro Delia sono rappresentate come una specie di coreografia, sospesa in una dimensione irreale, che stilizzando la violenza domestica ne smaschera l’aspetto quasi rituale: lui picchia la moglie perché nella sua testa «un vero uomo fa così», è il suo sfogo per tutto quello che non va bene nella sua vita. E lei accetta il suo ruolo di vittima perché una casalinga italiana del 1946 crede che sopportazione e sottomissione siano il suo destino in quanto donna e moglie, gliel’hanno inculcato i suoi genitori, glielo ripete il suocero e glielo dice il prete tutte le domeniche.

Però c’è quella lettera sorprendente che Delia tiene gelosamente nascosta in un cassetto e che la spingerà, poco a poco, a fare piccoli passi, discreti e clandestini ma convinti, verso una nuova se stessa, che si rivelerà allo sconcertato marito in una domenica molto speciale per tutte le donne. E non dico altro perché potreste non essere fra i dodici milioni che hanno già visto il film e fare spoiler è l’ottavo peccato capitale.

Anche il titolo, C’è ancora domani, può diventare un mantra per le donne in questi tempi così complicati in cui sembra che su certi argomenti alcuni neuroni nella testa degli uomini siano rimasti fossilizzati sul 1946, se non sul ventennio precedente. Perché si può interpretare più modi: ci dice che il tempo non è ancora scaduto, abbiamo ancora un giorno di respiro, e noi donne siamo così abituate a risolvere emergenze in zona Cesarini. Ma al tempo stesso può significare che bisogna tener duro ancora ventiquattr’ore e il riposo è rimandato a dopodomani, perché per noi «la lotta non è mai finita», come cantava Loredana Bertè. Ma si può interpretare in senso più ampio e ottimistico: non arrendiamoci mai. Anche se tutto vorrebbe persuaderci del contrario, c’è ancora un futuro in cui realizzare i nostri progetti. E comincia domani.

Lia  Celi