Home___aperturaPivato al Sigismondo d’Oro: “Rimini non sta dentro la categoria Identità”

"Siamo una città che stimola il senso della scoperta, capace di far convivere tante diversità"


Pivato al Sigismondo d’Oro: “Rimini non sta dentro la categoria Identità”


19 Dicembre 2023 / Redazione

L’intervento  di Stefano Pivato in occasione della consegna del Sigismondo d’Oro.

“Sindaco, vicesindaca, membri della giunta, consiglieri, autorità religiose civili militari e pubblico presente buon pomeriggio. Innanzitutto un ringraziamento per un riconoscimento che mi fa sentire debitore nei confronti della mia città. Nelle motivazioni appena lette si fa cenno alla curiosità come tratto distintivo della ricerca. La curiosità, come premessa della conoscenza, fa parte dei ferri del mestiere dello storico e certamente è debitrice dell’educazione familiare, dell’insegnamento dei maestri agli inizi della carriera, delle letture nel corso degli anni. Ma la curiosità si coltiva anche grazie all’ambiente nel quale si vive e si cresce.

«Un paese ci vuole» ha scritto Cesare Pavese. Ci vuole certamente come luogo dell’anima, per evocare un luogo comune letterario. Ma ci vuole anche come realtà con la quale confrontarsi e dalla quale trarre interrogativi e ispirazioni. E la realtà nella quale ci troviamo ha fra i suoi tratti peculiari l’anticonformismo, la passione per l’insolito e l’indipendenza di giudizio: tutte caratteristiche che stimolano la curiosità.

Rimini è una città che stimola il senso della scoperta. E questo perché la nostra città non sta dentro una categoria e un sostantivo oggi di moda: identità. Identità è un termine (alquanto razzista) che porta ad escludere le diversità mentre il carattere originario di Rimini sta nelle sue differenze e nell’avere assorbito uno statuto antropologico che la fa considerare una realtà composta di identità plurali. Identità plurali che sono anche a dispetto di quanti la vogliono raffigurare dentro un altrove che sa spesso di cartolina di carnevale.

All’inizio del Novecento, quando si trattava si lanciare Rimini la nostra città diventa famosa come l’Ostenda d’Italia. Poi negli anni si sono susseguite le più improbabili associazioni e Rimini ha finito per essere assimilata volta a volta a Miami, a Berlino, a Las Vegas Bilbao o a Friburgo. E persino a Parigi.

Ma, ve lo garantisco, nessuno, giunto al casello autostradale chiede se sia arrivato nella Las Vegas della Romagna o, scendendo alla stazione ferroviaria domanda in giro se è arrivato nella Friburgo della Valmarecchia. Al di là di scontati e un po’ provincialistici slogan Rimini ha una fisionomia molto caratteristica che non necessita di paragoni artificiosi. A Rimini convive la città notturna e trasgressiva di Tondelli, assieme alla Comunità Papa Giovanni XXIII e a San Patrignano;  negli anni Settanta e Ottanta Rimini ha condiviso il suo immaginario con la città intrisa di quei valori decadenti denunciati da Fabrizio De André e Francesco Guccini assieme al movimento dei saccopelisti che non dimorava proprio dalle parti della borghesia spendacciona; assieme alla città consumistica esistono sacche di povertà e di emarginazione: di qui la fitta rete e la realtà del volontariato. Rimini è una città nella quale la cultura balneare convive con la cultura tout-court. Certo è anche una città non priva di sofferenza e contraddizioni. Ma tutto si tiene proprio grazie alla  convivenza delle identità plurali che formano la realtà riminese.

Uno che questa città la conosceva e la interpretava come pochi altri ha scritto che a Rimini «sappiamo mettere, come nessuno, sacro e profano, diavolo e acqua santa, stelline da avanspettacolo e premi Nobel, cialtroni e poeti, santi e avventurieri, destra e sinistra».

La capacità di far convivere tutte queste diversità è uno, se non il principale, tratto di Rimini. E chi vive e si confronta con queste caratteristiche non può che mutuarne una attitudine alla curiosità. Al tempo stesso è proprio l’esistenza di uno spettro così ampio di diversità che impone una capacità di ascolto non comune.

José Saramago interrogato sul significato della curiosità sosteneva che non bisogna limitarsi a «sollevare una pietra ma occorre guardare cosa c’è sotto». É un ammonimento che vale per chi ha fatto della storia mestiere ma è anche un monito per la politica e per quanti amministrano la cosa pubblica.

Lungi da me l’idea di fornire precetti pedagogici tuttavia ritengo che in un momento in cui in politica l’imperativo di generare consenso ha ucciso la fatica del sapere sostituito da una tecno-politica che ha eletto i like a divinità, occorre rivalutare la curiosità come chiave di accesso alla conoscenza. E la conoscenza  delle identità plurali della nostra città risponde a tre requisiti: ascolto, ascolto, ascolto.

Nelle motivazioni per il conferimento del Sigismondo si fa cenno alla progettazione di quella che allora fu definita la cittadella della cultura e che comprende, oltre alla Domus o al Fulgor, anche il magnifico luogo nel quale ci troviamo questo pomeriggio. In realtà non ci fu solo la progettazione ma anche il finanziamento di 35 milioni di euro.

Credo che grazie anche a questi monumenti così particolari Rimini possa legittimamente aspirare al ruolo di Capitale della Cultura. Vorrei però precisare che la realizzazione di tutto questo non sarebbe stata possibile senza un impegno corale di tutta la giunta e il consiglio. Per questo vorrei condividere il Sigismondo che oggi mi viene assegnato con il sindaco di allora Alberto Ravaioli e il vicesindaco, Maurizio Melucci.

Stefano Pivato