Che si stesse un po’ mascolinizzando l’avevamo già capito qualche giorno prima che Libero la proclamasse Uomo dell’anno. Non quando ha annunciato di voler essere chiamata “il presidente del Consiglio”, come se l’articolo femminile fosse una deminutio del prestigio della carica, ma quando ha annullato per ben due volte la conferenza stampa di fine anno per motivi di salute – influenza o sindrome otolitica? – che peraltro non le hanno impedito di viaggiare in aereo da Milano a Roma sotto Natale insieme alla figlia e all’ex compagno Giambruno.
Indisposizioni fortunatamente non drammatiche, dunque, di quelle che di solito noi donne teniamo a bada buttando giù una tachipirina e stringendo i denti, soprattutto nel periodo delle feste, quando per mogli e madri gli impegni, anziché diminuire, raddoppiano. Sono gli uomini quelli che dànno forfait per due linee di febbre e languono come moribondi reclamando brodini e assistenza. Ecco il privilegio virile di cui Giorgia Meloni si è opportunamente appropriata per calarsi ancora meglio nei panni dell’uomo di Stato, in particolare di quello che è stato il suo vero padrino politico, Silvio Berlusconi: ricorderete come, durante i suoi vari mandati da premier, ogni tanto sparisse per non meglio identificate «ragioni di salute», e nessuno sapeva dov’era.
Meloni del resto preferisce sicuramente starsene a casa a vedersela con gli otoliti, «sassolini» che scorrazzano nel nostro orecchio interno per comunicare al cervello la posizione della testa e permettergli di mantenerla in equilibrio, piuttosto che affrontare i professionisti della stampa che dovrebbero comunicare all’opinione pubblica la posizione di Meloni, magari in toni meno elogiativi del Tg1, del Giornale o della Verità. I rapporti fra il governo Meloni e il quarto potere non sono esattamente idilliaci, tant’è vero che l’Italia è l’unico paese che si oppone alla nuova legge europea sulla libertà di stampa perché esclude la possibilità di spiare i giornalisti «per ragioni di sicurezza nazionale»: parlarci no, controllarli occultamente sì.
Ma torniamo all’Uomo dell’anno secondo il quotidiano diretto da Mario Sechi, ancora convinto che chiamare una donna «uomo» sia il più chiaro riconoscimento di virtù teoricamente ignote al sesso femminile, coraggio, intelligenza, acume, spregiudicatezza, ambizione, e del resto non molto note nemmeno a parecchi uomini dell’entourage meloniano, detto anche «pajata maggica». Non sappiamo quanto la destinataria del titolo di Uomo dell’anno ne sia stata lusingata, ma c’è da credere che il più sollevato sia stato l’ex compagno, Andrea Giambruno.
Ci voleva Mario Sechi per indovinare e svelare il suo dramma segreto: lui, ingenuo manzo eterosessuale, dieci anni fa si era fidanzato con quella che sembrava una fragile biondina e poi si era ritrovato a convivere con un uomo! Immaginate il suo smarrimento esistenziale nel ritrovarsi incastrato in una relazione gay in cui, oltretutto, lui rappresentava il partner più debole. Alla luce della rivelazione di Libero, il suo comportamento tanto criticato appare nella sua vera luce: quel ciuffo sempre più eretto, quelle grattatine, le grossolane avances alle colleghe, erano solo la confusa e disperata strategia di un poveraccio in cerca di rassicurazioni sulla propria sessualità: «mi piacciono le donne-donne o quelle che sotto sotto sono uomini?».
Siccome nessuno dev’essere solo e triste la notte di san Silvestro, auguriamo a Giambruno di incontrare a un veglione una fanciulla in grado di fargli ritrovare la fiducia in se stesso, che gli metta in mano un calice e una tartina per tenergli entrambe le mani occupate. Gli stessi auguri – ma solo per quanto riguarda la buona compagnia – vanno a tutti i lettori di Chiamami città. Buon Capodanno e felice 2024!
Lia Celi