La tristezza di spegnere le luci di Natale, la certezza che fra un anno si riaccenderanno
7 Gennaio 2024 / Lia Celi
Pare che il Blue Monday, il giorno più triste dell’anno per gli abitanti dell’emisfero settentrionale, coincida con il terzo lunedì di gennaio, che nel 2024 cadrà il 15. A renderlo “blue”, secondo gli esperti, saranno il tempo atmosferico, che in gennaio spesso dà il peggio di sé come precipitazioni e temperature; la constatazione che le rotondità in zona pancia-fianchi non erano gonfiore o ritenzione idrica passaggera, ma sono il fio degli eccessi alimentari natalizi e se ne andranno solo con fame, sudore e lacrime; i primi scontri fra i buoni propositi di Capodanno e la nostra umana debolezza; la scoperta che tre quarti della roba che ti hanno regalato – vestiario, dispositivi, libri, gadget – è inutile o scadente e comunque non ti rende felice.
A questi elementi mi sento di aggiungerne un altro: le permanenza delle decorazioni natalizie in giro per la città. Poche cose riescono a immalinconirci più degli addobbi dopo l’Epifania, e sarebbe meraviglioso se la cara vecchina con le scarpe tutte rotte si portasse via, insieme alle feste, tutto ciò che per un mese e mezzo ce le ha fatte attendere, sognare e celebrare. Come per un incantesimo maligno, nel giro di una notte lucine, festoni e alberi glitterati diventano agenti della depressione, ci dànno sui nervi e vorremmo vederli sparire tutti in blocco, per restituire case e strade alla consueta grigia nudità – che all’improvviso diventa agognata e desiderabile.
L’astio contro le decorazioni si trasferisce a chi dovrebbe smantellarle e se la prende comoda – i negozianti, il Comune, i vicini di casa, noi stessi, che ci ripromettiamo di rimettere via tutto già il sette gennaio, se non addirittura la sera del sei, e invece troviamo mille scuse per procrastinare. Ci limitiamo a tenere spente le lucine dell’albero e le stelline sulla cornice della finestra, con l’unico risultato di sentirci ancora più tristi e inadempienti. Oltretutto manca la manodopera per lo smontaggio: il familiare medio già è riluttante a darti una mano nelle più gratificanti operazioni di allestimento, quando poi si tratta di mettere via palline, festoni e presepio si dilegua, ha i compiti e le verifiche di fine quadrimestre, si dà malato o si ammala per davvero – gennaio è anche un mese di tregenda per influenze e malattie di raffreddamento. Così tutto rimane dov’è, a ricordarti la fugacità delle gioie e dei bei momenti.
E, ancora di più, il fatto che in quelle gioie e in quei bei momenti sotto sotto c’è una quota di finzione, teatro, artificio, lustrini, plastica e carta colorata. Natale, Capodanno ed Epifania sfumano, e ne restano le frivole spoglie materiali: ciò che dava loro senso non c’è più e tornerà solo fra un anno, quando loro, gli addobbi, saranno sempre gli stessi e noi… chissà. Se Amleto nell’«Essere o non essere» avesse tenuto in mano una decorazione natalizia anziché il classico teschio, non avrebbe aspettato la fine della tragedia per morire e l’avrebbe fatta finita subito, definitivamente convinto dell’insensatezza della vita umana.
Eppure bisogna trovare il tempo e la forza e procedere a questa specie di funerale dei simboli delle feste, che vanno deposti con delicatezza nelle loro scatole di cartone e accompagnati mestamente in cantina o in soffitta. Come tutti i riti funebri, anche questo permette di elaborare il lutto e, in ultima analisi, di ricominciare a vivere. Anche perché solo chi ha il dono della fede crede che un giorno i defunti risorgeranno dalle tombe, mentre tutti possiamo avere la certezza che fra undici mesi le decorazioni natalizie riemergeranno smaglianti e coloratissime dagli scatoloni e torneranno a brillare per noi. Nel frattempo prepariamoci a fronteggiare le angosce del Blue Monday a colpi di fiocchetti e castagnole, che già dalla prossima settimana cominceranno ad apparire nelle vetrine dei panifici e delle pasticcerie. Tanto abbiamo già capito che anche per quest’anno la dieta la cominceremo l’anno prossimo.
Lia Celi