Marcella Marri
“Arnà. Storia della famiglia riccionese Cesarini detta “Carabein””
La Piazza
Un regalo. Questo libro è nato come un regalo di una signora avanti negli anta ad Arnaldo Cesarini, l’Arnà del titolo del libro. Marcella Marri, fiorentina, nata in una famiglia di origini nobili, residente a Bologna da molti decenni, da oltre cinquant’anni viene in vacanza a Riccione e prende in affitto, da sempre, lo stesso appartamento di proprietà della famiglia Cesarini sul porto.
Come spesso accade dalla nostre parti questo rapporto diventa un legame d’amicizia e fra amici ci si racconta le storie famigliari, le vicende personali. Marcella ha interrogato famigliari ed amici di Arnaldo, senza dirglielo, per scrivere questo testo delicato, quasi romanzato, delle vicende famigliari dei Cesarini, dove il protagonista è Silvio (1904-1961), il padre di Arnaldo.
Di Silvio aveva scritto recentemente anche Daniele Montebelli nel volume “Dai quaderni del tempo. Ritratti in bianco e nero” (La Piazza, 2021). Dalla testimonianza resagli da Arnaldo: “Mio nonno (soprannominato ‘Carabein’) andò a lavorare come barbiere a Santarcangelo; lì nel 1904 nacque mio padre Silvio. Poi la famiglia venne a Riccione e mio nonno aprì una barberia in Viale Dante vicino al porto. Mio padre all’età di diciassette anni, nel 1921, si trasferì in Argentina”. Tornato in Italia, dopo dieci anni, a Genova venne arrestato per non aver adempiuto al servizio militare. Fu dunque arruolato come bersagliere e mandato a Napoli. Durante una licenza fu fermato per aver distribuito in treno volantini antifascisti. Tornato a Riccione iniziò a lavorare nella barberia del padre.
Caduto il fascismo Silvio fu uno degli organizzatori della CGIL riccionese, in particolare si occupò degli edili e dei lavoratori agricoli e dei mezzadri. E fu un attivo militante di base del PCI riccionese.
Marcella inizia il racconto con la storia d’amore negli ultimi decenni dell’Ottocento di Gaspare Cesarini e Veronica Saponi: “Erano belli, erano sani e robusti, erano giovani e pieni di speranza. Vivevano in famiglia a San Salvatore frazione di Rimini, dove poche erano le case e pochi gli abitanti, ma fieri di avere una Pieve Romanica dell’ottavo secolo eretta sulla sponda del torrente Marano, punto d’incontro dei dolci tramonti di Gaspare e Veronica”. Dopo il matrimonio si trasferirono a Santarcangelo dove Gaspare aprì una barberia. Qui nacquero i tre figli: Arnaldo, Maria e Silvio. Alla fine della prima Guerra Mondiale il figlio Arnaldo morì di tetano. La famiglia non riuscì più a vivere nel luogo dove era morto il figlio. Caricarono le loro poche cose su un carro e si trasferirono a Riccione dove Gaspare riprese il suo lavoro di barbiere.
Intanto il figlio Silvio “frequentava con profitto le scuole professionali” a Rimini. “Rimini per Silvio rappresentava la libertà, lo studio, gli amici, un orizzonte nuovo e un focolaio di idee. Una Rimini ricca di storia gloriosa, una Rimini dove era radicata un’antica tradizione anarchica che confluì a pieno in Silvio, legato da una storia familiare dove la libertà e la giustizia erano elemento fondante. Il 26 giugno del 1920 Silvio prende parte allo sciopero generale proclamato dagli anarchici riminesi, caratterizzato da una serie di lotte con l’occupazione di fabbriche e terreni”.
Nel 1921 la decisione di Silvio di andare in Argentina. “Molte cose accaddero in quei dieci anni di permanenza in Sud America”. Silvio visse intensamente all’interno della comunità italiana. “Era il 1929 quando meditava di tornare in patria. Non era facile, tuttavia, distaccarsi in maniera definitiva da quella comunità italiana con cui aveva condiviso amori, sogni, speranze. Era diventato il barbiere prezioso della comunità, un punto di riferimento e di confronto per ogni problema difficile. Ma nel 1931, nell’orizzonte del declino economico argentino legato al crollo di Wall Street, vide scomparire quel benessere raggiunto faticosamente in un’Argentina in cui la miseria stava dilagando, e la criminalità schiacciava ogni diritto”. I famigliari del resto da tempo ne sollecitavano il rientro. Sbarcato a Genova fu arrestato e spedito a fare il militare. Arrestato per diffusione di volantini antifascisti sul treno che lo portava in licenza a Riccione, scontò alcuni mesi in carcere. Poi finalmente riuscì a tornare a Riccione dove affiancò il padre nella barberia.
In gita a Loreto incontrò quella che poi divenne sua moglie, Anita Ragaini. Nel marzo 1944 nacque Arnaldo, “nome dato in onore del fratello morto di Silvio”.
Arnaldo fu più volte vicino alla morte in quel primo anno di vita. La Marri racconta della fuga da Riccione dei Cesarini nell’estate 1944 per sfuggire ai bombardamenti. Si rifugiarono nelle gallerie del trenino a San Marino. E qui vissero il bombardamento del 26 giugno 1944, quando aerei inglesi bombardarono la Repubblica violando la neutralità di San Marino. A fine settembre 1944 i Cesarini poterono rientrare a Riccione.
“Riccione nel 1945 appariva come la dimora di un tempo sospeso, tra macerie e nuove culture, quel tempo che è un immenso laboratorio di idee e di ricostruzione”. “Silvio nascondeva in sé una timidezza che gli impediva di essere ambizioso e di esporsi pubblicamente in politica, nonostante fosse notoriamente preparato e apprezzato nel partito politico del PCI”.
A luglio 1946 nasceva Bruno, il fratello di Arnaldo, seguita poi nel 1950 dalla nascita di Stefania.
Gli anni ’50 “per Silvio furono quelli dell’entrata prepotente della politica nella sua vita (…). Silvio si curava al minimo del suo lavoro di barbiere, e in negozio si parlava solo di politica”. “Silvio era un sindacalista molto attivo e si impegnava gratuitamente a svolgere grandi battaglie per gli operai dell’edilizia, soprattutto riguardo la lotta per il rispetto del contratto da 8 ore. Gli operai ne lavoravano in realtà 12-13, senza che le ore in più gli venissero pagate”.
“Finiti quei dieci anni di duri sforzi, Silvio si ammalò continuando a lottare fino alla sua fine nel 1962. Il suo funerale si tenne il primo maggio” con la presenza di tantissime persone.
La moglie trasformò la barberia in un negozio di giocattoli, “per avere una fonte di guadagno per mantenere la famiglia”.
Nel 1964 Arnaldo si iscrisse al PCI. Nel 1976 diventa il segretario comunale del PCI di Riccione. Nel 1980 per quasi quattro mesi fu in Unione Sovietica alla scuola di partito. Dal 1985 al 1990 è segretario del PCI della Valconca, per poi essere rieletto segretario nel 1990 nuovamente del PCI riccionese e guidarlo nel passaggio a PDS.
Lungo tutto il libro compare una valigia di cartone, che accompagna i protagonisti nei loro trasferimenti. “Una valigia di cartone, nascosta chissà dove. Arnà la cercava, ed era bello immaginare di trovarla, anche se nessuno l’aveva vista più”.
Paolo Zaghini