Home___primopianoLa Cassazione ce l’ha insegnato, il saluto romano chissà se è reato

E prima o dopo l'8 settembre per l'Esercito di Isabella Rauti che differenza fa?


La Cassazione ce l’ha insegnato, il saluto romano chissà se è reato


22 Gennaio 2024 / Nando Piccari

«La condotta tenuta nel corso di una pubblica manifestazione consistente nella risposta alla “chiamata del presente” e nel cosiddetto ‘saluto romano’, rituali entrambi evocativi della gestualità propria del disciolto partito fascista, integra il reato previsto dall’articolo 5 della legge Scelba (n.645/1952), ove, avuto riguardo a tutte le circostanze del caso, sia idonea a integrare il concreto pericolo di riorganizzazione del disciolto partito fascista».

Naturalmente c’è impaziente curiosità di conoscere la motivazione dello stravagante giro di parole con il quale la Cassazione ha sentenziato che il saluto romano, volendo proprio essere pignoli, può anche considerarsi reato. Ma non quando si configuri come un consentito omaggio a qualche fascistone defunto, ma solo se accompagnato alla certezza che la congrega di coglioni che ne sono autori si sia data appuntamento con la comprovata intenzione di riesumare seduta stante il partito fascista, eliminato insieme al suo capo dalla Resistenza.

Con la mia presunzione antifascista, io ero invece caduto nel tranello di ritenere che bastasse molto meno per poter contestare (anzi, per dover contestare) a quel branco di idioti la trasgressione di una legge tuttora vigente, che porta il nome di Mario Scelba (non propriamente filocomunista), il cui articolo 5 sancisce che «chiunque con parole, gesti o in qualunque altro modo compie pubblicamente manifestazioni usuali al disciolto partito fascista è punito con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a lire cinquantamila».

La conseguenza giudiziaria dell’annacquamento della “Legge Scelba” sarà dunque uno scambio di battute, in sede di istruttoria, del tipo di quello qui sotto riportato.

Inquirente: “Mentre faceva il saluto romano, lei riteneva che quella stronzata fosse «idonea a integrare il concreto pericolo di riorganizzazione del disciolto partito fascista?”
Primo indagato: “Ma vuole scherzare? Intendevo solo commemorare la mia cara nonna, al cui ricordo resto tanto affezionato. Perché lei votava sì per Almirante, ma da bambino mi comprava sempre il gelato”.
Secondo indagato: “Ci mancherebbe altro! Mi era venuto un dolorosissimo crampo al braccio, così per sgranchirlo l’ho sollevato in alto. È forse un reato?”

Non è dunque un caso se quella sentenza ha avuto l’effetto di far saltare di gioia Sua Repellenza Luca Marsella, portavoce di Casa Pound, e di provocare uno dei suoi soliti sorrisi ghignosi al noto collezionista di cimeli mussoliniani Ignazio La Russa.

Ma chissà quanti altri post-neofascisti avranno brindato alla suddetta sentenza. Come quelli che per non rovinare le uova nel paniere alla Meloni, quando tenta di recitare da moderata, fanno il saluto romano di nascosto, preferibilmente soltanto mentre sono in bagno. E si accontentano di qualche “soddisfazione nostalgica”, come quella appena procurata dalla Sottosegretaria (pardon, dal Sottosegretario, lei come la Meloni ci tiene) Isabella Rauti, devota figlia del gran fascista Pino, col suo “CalandEsercito 2024” dedicato alle Forze Armate.

Ha voglia il Ministro della Difesa Crosetto a far finta di non capire che “PER L’ITALIA SEMPRE…prima e dopo l’8 settembre 1943” costituisce un affronto alla Repubblica Italiana, nata dalla Resistenza e dalla Guerra di Liberazione.

Lo è tanto più in ragione di quanto oggi lui stesso ci informa con mal riposta foga polemica e che solo i pochi Italiani venuti in possesso del calendario potranno constatare di persona. Vale a dire che nessuno dei militari insigniti di onorificenza citati nel calendario, dopo l’8 settembre ha seguito il Duce nella criminale avventura di Salò, ma tutti loro si sono battuti contro i nazifascisti.

Non ci vuole molto a capire quanto il contenuto del calendario faccia perciò a pugni con quel sottotitolo volutamente truffaldino, studiato apposta per non irritare troppo i non pochi elettori ex missini di Fratelli d’Italia, i quali non potendo sperare, come vorrebbero, nell’attualizzazione di un degli storici calendari col faccione di Benito, almeno si consolano sapendo che, in fondo in fondo, la Rauti rende un po’ omaggio anche a certa gentaglia fascista del “prima dell’8 settembre”: Balbo, Graziani, Scorza, Farinacci, Turati, Chiesa, Cavallero, più tanti altri.

Quando è arrivato quello di Isabella Rauti, a Rimini eravamo già alle prese con un altro calendario, messo in giro da una rinomata impresa di pulizie e creato dalla tanto osannata “intelligenza artificiale”, che nel caso specifico, in quanto a stupidità, ha mostrato di non avere niente da invidiare a quella umana.

Nonostante quell’azienda dia lavoro sia a donne che a uomini, tolto qualche muscoloso figaccione, nel calendario compaiono quasi solo immagini femminili, che non c’entrano nulla con l’esserne dipendenti, o comunque donne “in carne ed ossa”.

Ci viene invece proposta la visione di “artificiali scemotte” vestite solo quanto basta, dotate di vistose ali e ritratte mentre sono impegnate nella funzione che evidentemente i mandanti di quella cretinata maschilista ritengono la naturale missione della donna nella società: essere casalinga, “angelo del focolare” e non guasta se anche un po’ “bonona”.

«Una concezione della donna che ci riporta indietro di mezzo secolo», ha giustamente affermato la Vicesindaca di Rimini, Chiara Bellini.


Non la pensa così il titolare dell’azienda, il quale sfida il senso del ridicolo assicurando che «…non è una svalutazione, ma un’esaltazione della donna», in quanto «la donna ‘angelo’ voleva essere un’esaltazione del lavoro di pulizie che le nostre dipendenti svolgono quotidianamente».

E non è affar suo se poi alla sera ciascuna di loro, arrivata finalmente a casa, sveste i panni da lavoro, indossa una delle sue eleganti vestaglie da boutique, si mette su un paio di ali e inizia sorridente a dare anche una ripulitina domestica. Perché che figura ci farebbe se il marito, tornando dalla sua giornata di lavoro, trovasse l’appartamento ancora un po’ in disordine?

Nando Piccari