Ecco perchè in Pianura Padana fa freddo anche quando è caldo e la nebbia produce neve
1 Febbraio 2024 / Roberto Nanni
In giorni come questi dove la lunga stasi meteorologica la fa da padrone, è lecito chiedersi il motivo per cui si verifichino tutte quelle manifestazioni invernali che potrebbero far pensare a una piena attività meteorologica. Contrariamente a quanto potrebbe sembrare, una combinazione di totale quiete e notti limpide facilitano la dispersione di calore in atmosfera, creando i presupposti che si possano verificare, in Pianura Padana, quella particolarità di effetti riassunti sotto al nome di “inversione termica”. Può sembrare strano ma, sentir freddo in Pianura Padana, anche in presenza di un possente anticiclone che i mass media hanno contribuito a portare alla ribalta con l’appellativo di una divinità greca, è più che normale. Così questo vasto campo di alta pressione che sembra voler dominare più le scene mitologiche che quelle meteorologiche, è comunque in grado di portare gli infausti effetti del freddo invernale nei bassi strati pur essendo alimentato da aria prevalentemente mite in quota attraverso, per l’appunto, il processo di inversione.
Un po’ come avviene durante la stagione invernale sulle steppe russo-siberiane, nelle pianure degli States e, in misura minore nei Bassipiani europei, anche la ValPadana nel suo piccolo è in grado di prodursi il freddo in casa propria. E lo fa per mezzo della sua particolare conformazione geomorfologica che ne assimila i connotati ad un clima tipicamente simil-continentale, dunque caratterizzato da estati moderatamente calde e inverni piuttosto freddi con forti escursioni termiche. Durante le lunghe notti invernali, infatti, le aree di pianura si raffreddano più velocemente rispetto alle zone di montagna, cedendo calore tramite l’irraggiamento notturno, e facendo si che l’aria più pesante e densa resti intrappolata al disotto di quella più calda e leggera che la sovrasta. Questo processo di sedimentazione e accumulo viene agevolato da una serie di circostanze. In primo luogo originato dall’assoluta stabilità del tempo rappresentata dalla totale assenza di moti verticali e quindi dalla scarsa ventilazione. In secondo luogo, come già accennato, dovute alle caratteristiche uniche nel suo genere di una Valle chiusa che le è valsa il soprannome di “catino padano”. La Pianura Padana, difatti, è circondata per buona parte dalla catena alpina e la fascia appenninica che la contraddistinguono non tanto come peculiarità territoriale ma quanto più per l’aspetto significativo del suo clima che è quello che non conosce stagioni: il frequente accumulo di umidità. Fattori che assieme concorrono a limitare il rimescolamento dell’aria sopratutto al suolo, ostacolando la dispersione di nebbie e inquinanti.
Dove l’inversione termica è maggiormente favorita si riscontra più freddo (o forse sarebbe meglio dire meno caldo) che altrove. Nelle aree pianeggianti e di aperta campagna, così come nelle vallate alpine e appenniniche sostanzialmente nei primi 2-300 metri di altezza ove è più facile che la condensazione di umidità si trasformi in nebbia e possa persistere a lungo. Al contrario lungo i settori costieri, appena al di sopra delle valli e a partire dalle zone collinari le temperature, anziché calare con la quota, aumentano. Nonostante lo strapotere anticiclonico palesi temperature decisamente oltre la media del periodo, nei bassi strati assistiamo a temperature minime anche di qualche grado sotto lo zero contingenti a dense foschie e fitte nebbie che in parecchi casi precludono fortemente la visibilità. Ma anche intense gelate e la fantomatica “neve chimica”, incentivata dalla presenza di elevate emissioni di inquinamento.
La neve da nebbia, anch’essa impropriamente nota con la cattiva nomea di “neve chimica” (nell’immagine in aperura), è quanto di più tossico si possa ottenere da una forma di precipitazione occulta. A differenza della galaverna, (calavèrna o calabrosa) che si ottiene dal congelamento della nebbia o più specificatamente dall’umidità presente nell’aria che cristallizza deposti di ghiaccio sotto forma di aghi o scaglie sulle superfici, la neve da nebbia è una vera e propria precipitazione sotto forma nevosa che si manifesta all’interno dello strato nebbioso, e quindi interessa solamente la pianura. Poiché non si ottiene dal comune processo di ghiacciamento delle particelle igroscopiche delle nubi in quota, e quindi da una ipotetica perturbazione, bensì dalla nebbia presente al suolo. Come in alta atmosfera anche nei bassi strati quando arriva a cadere pioggia o neve significa che nello stato fisico si è superato il limite di saturazione, ovverosia rispettivamente il punto di rugiada (quando la temperatura si mantiene sopra lo zero) o punto di brina/congelamento (quando la temperatura come in questo caso rimane sotto lo zero) raggiunge la capacità massima del vapore acqueo presente nell’aria. La gocciolina, oppure il fiocco di neve una volta formati e raggiunti una certa dimensione, non riescono più a stare sospesi e quindi tutto il contenuto all’interno del corpo nuvoloso precipita a terra. Ovviamente se mancano i presupposti per avere dei nuclei di condensazione per far precipitare questo processo può essere facilitato dalla presenza di pulviscoli e particolato. Tutto quello che è presente nell’aria e che non può essere rimescolato per le condizioni quanto sopra riportate rimane in sospensione fermo lì, imprigionato in uno stato di quiete, spesso a volte non più di una decina di metri (dove è massima l’inversione termica). Lo strato d’aria all’interno del quale si concentra la maggior parte delle attività antropiche: fumi delle industrie, trasporti e impianti di riscaldamento che concorre non solo alla concentrazione degli inquinanti ma funge anche da vettore di condensazione per la formazione delle nubi (in questo caso della nebbia).
Per cui se l’atmosfera arriva a “vomitare” queste schifezze significa che in alcune località la concentrazione di questi composti è veramente alta. A partire dal PM10 che su alcune province tra Lombardia, Veneto ed Emilia oscilla su valori di quasi 150µg/m3, ovvero più di due volte superiori ai limiti consentiti. Non a caso gli episodi di neve da nebbia si riscontrano principalmente in quelle aree altamente industrializzate dove l’aria inquinata tende a ristagnare con più facilità. Si tratta comunque di fenomeni che con l’adozione delle nuove politiche ambientali sono divenuti sempre più scarsi e contraddistinti da episodi in genere deboli e piuttosto localizzati. I primi anni ’90, caratterizzati da lunghi periodi di alta pressione e aria molto inquinata, ci furono non pochi casi di neve da nebbia in Pianura Padana, con accumuli anche di 4-5cm. In conclusione va considerato il fatto che la neve da nebbia, ma anche la stessa pioviggine da nebbia sono da una parte un bene, poiché attraverso un processo definito – in inglese – “fog scavenging”, che in sostanza significa “dilavamento da nebbia”, precipitando ripuliscono temporaneamente l’aria dalle sostanze inquinanti. Parte delle polveri sottili in sospensione una volta aggregatesi al vapore acqueo vengono così trascinate al suolo attraverso la precipitazione che però, finendo a terra, contribuisce a trasferire il problema dell’inquinamento dall’atmosfera all’ambiente.
• Tecnico Meteorologo AMPRO Meteo Professionisti
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• Consulente ambientale