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27 febbraio 1227 – Il podestà di Rimini vuole bruciare le eretiche ma rischia lui di essere ammazzato


27 Febbraio 2024 / ALMANACCO QUOTIDIANO

Luigi Tonini (1807 – 1874), bibliotecario della Gambalunga e archeologo, è stato senza dubbio il più valente storico di Rimini e con pieno merito gli sno intitolati i Musei comunali della città. Nel catalogare e valutare l’immensa mole delle fonti archivistiche, cui dobbiamo la ricostruzione della storia municipale, il suo essere anche un fervente cattolico gli fece però prendere non pochi granchi. E’ il caso della lotta medievale fra papi e imperatori, dove tutte le espressioni del Tonini sono caldamente a favore dei primi. E’ pur vero che in pieno Ottocento gli imperatori “tedeschi” non godevano di gran stima presso i dotti italiani, sebbene il Machiavelli da tre secoli avesse messo in chiaro che se un’Italia non esisteva unita allo stesso modo di Francia, Inghilterra, Spagna e Portogallo, lo si doveva al persistere di un stato dei Papi.

 

E così per l’anno 1226, dopo che Federico II di Svevia non era riuscito ad aver ragione della guelfa Faenza, Tonini si immagina che “abbassato così l’orgoglio di Federico Imperatore, è a credere che la parte degli ecclesiastici qui pure si rialzasse: a tra per questo, tra per il bisogno del pubblico esercizio del culto, i nostri cercassero di mettere la reggenza della città io mano a persona cattolica, per la quale avesse fine lunga scissura col Clero, e le fazioni quetassero. Questi fu un tal Inghiramo Macreta da Modena”. Ora, Inghiramo da Magreta dell’ultra-ghibellina Modena, ben difficilmente potè essere “persona cattolica” nel senso che voleva il Tonini, cioè guelfo. Tant’è che due anni prima era stato podestà dell’altrettanto ghibellinissima Siena. E ghibellina senza tentennamenti era allora Rimini. Ma qui, come nella capitale del guelfismo che era Milano, diffusissima era l’eresia dei Patarini.

Eretici al rogo a Verona

Più volte Tonini adombra che Federico II e i suoi sostenitori ghibellini siano stati tolleranti se non complici degli eretici. Forse perchè lo stesso imperatore fu scomunicato e poi dichiarato decaduto in quanto tale? Nulla di più falso. Lo stupor mundi mai fu tollerante verso alcun dissenso e meno che meno verso gli eretici. E fu lui per primo a destinarli alla pena del rogo. Gli statuti del 1224 la fissano una volta per tutte e Inghiramo, da buon imperiale, “fosse imprudenza di costui, o fosse riboccante malizia del partito depresso, fatto fu cbe si ruppe ad eccessi. Conciossiacbè, avendo egli voluto inserire nello Statuto municipale una nuova legge deir Imperatore contro gli eretici; e di più avendo fatto catturare certe donne, cbe erano in voce di erelicbe, e consegnatele alla podestà imperiale per essere abbruciate poco n’andò cbe dai sommossi congiunti di quelle sciagurate non gli fosse tolta la vita. Principali di costoro vengono ricordati un Boccadiferro, e un Arimino di Bonfiletto”. 

Ricapitoliamo: siccome il partito dell’Impero è in ribasso, un podestà “buon cattolico” cerca di imporre al Comune di Rimini una legge dell’Imperatore: la più feroce fin qui emanata contro gli eretici.

 

Il buon Tonini propina cotale incongruenza e conclude: “Di tutto questo ci resta notizia suflicienle quanto sicura in una lettera di Onorio III (…), la quale a’ 27 febbrajo del 1227 diretta fu al Podestà cbe qui fu succeduto, non che al Comune, perchè fosse data soddisfazione dell’attentato delitto, e risarcito fosse il leso dei danni, pei quali ebbe mosso querela nella curia pontificaie. Ignoto resta come poi ciò avesse fine, non trovandone altro ricordo, nè che alcuno de’ nostri ne abbia fatto parola. Non avrei difficoltà a credere che di questi anni fossero le ingiurie degli eretici contro il Santo Preposto Aldebrando, di cui tratteremo nei cenni della sua vita”.

Onorio III ascolta Francesco d’Assisi che gli propone la sua regola

Comunque molto interessante il quadro che ne esce. In quegli anni a Rimini, fedele quanto si vuole al Federico II di Svevia, gli eretici non si toccano, sebbene gli statuti imperiali prevedano per loro appunto la pena del rogo. Sono tanti e potenti, nonostante le prediche e i miracoli di Sant’Antonio che proprio in quegli anni si verificano. Ed è una situazione che dura da parecchio tempo. Nel 1184 papa Lucio IIl per combattere l’eresia emanò il decreto Ad abolendam (o “bolla di Ruscigli” dall’allora residenza estiva dei pontefici). Vi si stabilì il principio – sconosciuto al diritto romano – secondo il quale, anche in assenza di testimoni, si poteva essere accusati di eresia e dunque subire un processo; per iniziarlo bastava una delazione, mentre i vescovi avevano il dovere di ispezionare “una o due volte l’anno, le parrocchie nelle quali si sospetta che abitino eretici”. Inoltre veniva riservato il monopolio della predicazione all’autorità ecclesiastica, pena antatema e possibile scomunica.

Ubaldo Allucingoli, papa Lucio III dal 1181 al 1185

Se non che a Rimini secondo alcuni “il popolo impedì al podestà di prestare giuramento alle imposizioni della decretale”, secondo altri “fu il podestà a tralasciare di giurare, all’inizio del suo mandato, di osservare e far osservare gli statuti contro gli eretici”. Al di là che per quegli anni a Rimini non è documentato ancora alcun podestà (il primo attestato con certezza è Albrigitto nel 1199), è significativo che la città sia colpita da interdetto, ma che nessuna faccia una piega, se a distanza di dieci anni l’imperatore Enrico VI si vede costretto a ricordare ai Riminesi il seguente precetto: “de haereticis expellendis et non recipiendis”“Analogo atteggiamento di tolleranza verso gli eretici sembra essere documentato anche per le città a Modena, Prato, Firenze e Siena” (Samuel Sospetti, “Il rogo degli eretici nel medioevo”).

 

Enrico VI di Hohenstaufen, detto “il Severo” o “il Crudele”

Ma chi erano dunque questi Patarini e perchè tanto seguito ebbero? Molto semplificando, volevano una Chiesa di poveri ed uguali. Agli albori dell’anno Mille il loro fervore suscitò la stima di molti ecclesiastici riformatori e perfino di papi come Alessandro II, Gregorio VII, o Urbano II che di fatto avvallò la santificazione del capo militare della Pataria milanese Erlembaldo Cotta. Nel corso del secolo successivo però si passò alla freddezza, per poi giungere alla rottura totale. Quanto agli imperatori, i Patari restarono sempre dei ribelli all’ordine costituito e fra i più pericolosi, da trattarsi di conseguenza. Niccolò Tommaseo parlando dei Fraticelli, una delle ultime eresie nata nel medesimo solco, dice che “quella setta pareva scalzare furtivamente le fondamenta della società civile insieme e della religiosa,  giacchè i socialisti moderni non sono che una ripetizione più franca, e però men da temersi, de’ vecchi patarini”.

Albigesi, Arnaldisti, Comunelli, Valdesi, dall’XI secolo in poi scuotono la Chiesa e non pochi grandi riformatori ne comprendono le istanze. Per una nuova purezza evangelica si battono, con esiti opposti, i Catari e i Patari (dichiarati eretici), Giacchino da Fiore (beato), gli Umiliati (dei beati Giacomo Pasquali e Giovanni Oldrati), San Francesco d’Assisi e Sant’Antonio “da Padova”, i Domenicani, gli Eremitani di S. Agostino, i Carmerlitani, ma anche gli Apostolici di Gherardo Segalelli e Fra Dolcino (i “Fraticelli” bruciati sul rogo), i Servi di Maria dei Sette Santi Fondatori (tutti santi, appunto), e tanti altri gruppi minori. Fanno presa soprattutto sugli artigiani delle città e a Rimini il torrente (Apisa, Apesa, Apsa, Apsella, Apisella, Avexa pizola, Apisa interiore, fovea molendini comunis) che fornisce l’energia idrica alle loro macchine si chiamerà Fossa Patara.

Fra Dolcino bruciato sul rogo con la sua Margherita

Verso la fine del Duecento i Patarini potevano tuttavia dirsi estirpati da Rimini, senza roghi e senza violenze, a quanto risulta, ma soprattutto grazie alla predicazione e l’esempio di Francescani e Domenicani, dopo che nel 1274 avevano rischiato di scomparire anche loro quando il Concilio di Lione decretò la soppressione di tutti gli Ordini sorti dopo il Concilio Laternanense IV (1215). Certamente vi furono invece sequestri e perfino acquisti di beni se, scrive ancora il Tonini, “una tal Mirabella che par di Faenza, grande fautrice dei Patarini, la quale teneva case in molte città a comodo di quei settatori. Costei ne possedette anche in Rimini; scrivendo Fra Leonardo nella Cronaca de’ Malatesti, che il nostro Comune comperò omnes Mirabelle domos e donolle a Malatesta, il quale vi inalzò poi sopra il suo palazzo. Dal qual racconto, e da un processo fatto dopo il 1259 contro quella mala femmina, argomentò il Battaglini che il Comune comprasse l’area di quelle case già atterrate giusta le Costituzioni dell’Inquisizione, e lo donasse a Malatesta, il quale dovette erigervi sopra quel suo palazzo magnifico, che fu in vicinanza del Gattolo, e più tardi fu compreso entro la Rocca”.