HomeAlmanacco quotidiano14 marzo 1813 – A Rimini c’è un complotto contro lo Stato napoleonico


14 marzo 1813 – A Rimini c’è un complotto contro lo Stato napoleonico


14 Marzo 2024 / ALMANACCO QUOTIDIANO

“E dopo il più rigoroso processo non altro il tribunale potè fare che condannar alla pena dell’esiglio per anni dieci Pietro Urbinati e Matteo Fabbri, come si ha dalla sentenza pronunciata a’ 14 marzo del 1813 dalla Corte di Giustizia civile e criminale del Rubicone residente a Forli”. Così Carlo Tonini nel suo “Compendio della Storia di Rimini” (1896). Chi erano Urbinati e Fabbri? Di cosa erano accusati? E perchè dieci anni di esilio pare al cronista riminese una pena lieve a confronto di quella rischiavano?

L’accusa è niente meno che cospirazione contro lo stato. Che di questi tempi normalmente comporta la fucilazione. E lo stato è il Regno d’Italia, noto comunemente come Regno Italico, fondato da Napoleone Bonaparte nel 1805, allorquando il generale francese cinse la corona ferrea nella cattedrale di Monza, facendo sparire la precedente Repubblica Italiana il cui Presidente era lui medesimo. Il Regno non arrivava a comprendere un quarto della penisola, ma non certo il meno rilevante: Lombardia, Veneto, Friuli, Trento e Bolzano, la Garfagnana, Ferrara, Reggio Emilia, Modena, Bologna, la Romagna e le Marche. Sarebbe sopravvissuto fino alla catastrofe del 1814, governato pro forma dal Vicerè Eugenio de Beauharnais, figlio di Giuseppina prima amatissima moglie di Napoleone. Ma ormai l’imperatore aveva sposato per ragioni di stato Maria Luisa d’Austria, mentre del figliastro nutriva pochissima stima, quindi provvedeva in prima persona agli affari del Regno.

Il Regno d’Italia nel 1812 (in violetto)

Nel 1812 il Regno Italico aveva raggiunto la sua massima estensione, parallelamente all’apice delle fortune imperiali. Ma sarebbe stato anche l’anno della disastrosa campagna di Russia, con quel che ne seguì. Insomma tutto già scricchiolava, mentre l’eterno nemico inglese era sempre padrone dei mari e fonte di ogni sovversione reazionaria. Spesso e volentieri appoggiata dal clero, dal momento che il papa cesenate Pio VII (Barnaba Chiaramonti) era tenuto prigioniero a Fontainebleau per estorcegli un umiliante concordato. A Rimini come altrove, l’occhiuta polizia napoleonica non prendeva alla leggera nessun sospetto o delazione.

Napoleone Re d’Italia nel ritratto di Andrea Appiani (1805 ca.)

Pertanto alla fine di quell’anno, come narra sempre il Tonini, “la notte dell’8 dicembre furono arrestate diverse persone cosi della città come del distretto. Quelle della città furono i sacerdoti don Nicola Urbinati cappellano del Suffragio e un ex cappuccino suo fratello, i due nobili giovani Marco Paci e Luigi Bertola, Marco di Cesare Fabbri, Pietro di Giacomo Urbinati, Nicola di Giuliano Martinini allora oste e Francesco Carlo Bresciani detto Rossi, già guardia di polizia: nel distretto il parroco di S. Gio Battista di Croce, don Piero Giulio Balducci, quello di Gemmano don Giuseppe Sellari, quello di S. Savino don Felice Nicolini e quello di Tavoleto don Domenico Galli, Matteo Fabbri da Coriano e Biagio Fucci colono della parrocchia di S. Andrea dell’Ausa”. Insomma, nella retata erano finiti soprattutto dei preti di campagna.

Papa Pio VII

“Tutti costoro, eccettuato il Nicolini, che per indisposizione di salute fu ritenuto nella sua parrocchiale, vennero immediatamente tradotti a Forlì. L’imputazione, che loro si dava, era, come fu toccato, di cospirazione contro lo stato: e specialmente l’accusa pesava su Pietro Urbinati e Matteo Fabbri, disegno de’ quali, secondo la sentenza, era d’impadronirsi armata mano della città di Rimini, di uccidere o dare in mano al nemico le autorità costituite, cambiarvi la forma di governo, occupare le casse pubbliche, imporre una contribuzione ai più ricchi cittadini, e finalmente invitare gli inglesi, attualmente in guerra col Regno Italico, e coadiuvarli ad occupare il porto di questa città”.

La bandiera del Regno d’Italia

“Pareva incredibile – commenta il clericale Tonini, che si appoggia alle cronache contemporanee del notaio Angelo Zanotti, altrettanto e ancor più conservatore – che quei sacerdoti, i quali godevano ottima fama, si fossero convenuti nella consumazione di un delitto cosi grande e pericoloso: e difatti alcuni giorni dopo, riconosciuti innocenti, furono essi posti in libertà col Paci e col Bertola. Furono trattenuti per un maggiore spazio di tempo i fratelli Urbinati, come quelli che erano in voce di maggiormente avversi al governo: ma essi pure dovettero venir rilasciati”.

Non si sa dove i due condannati dovettero scontare l’esilio, che certamente però non durò più di due anni. E già nel maggio di quell’anno Napoleone avrebbe conosciuto la prima bruciante sconfitta in una battaglia campale, quella di Lipsia. Presto le parti fra governativi e cospiratori si sarebbero invertite.

(nell’immagine in apertura, l’esercito italiano del viceré Eugenio nel 1812)