31 marzo 1954 – A Montescudo si trova un tesoro
31 Marzo 2024 / ALMANACCO QUOTIDIANO
Scrive Pier Giorgio Pasini in “Il tesoro di Sigismondo e le medaglie di Matteo de’ Pasti” (Minerva Edizioni, 2011): “II 31 marzo 1954, durante l’esecuzione di lavori di restauro alla parete est delle mura castellane di Montescudo, vennero trovate ventidue medaglie di Sigismondo (lettera del Sindaco di Montescudo alla Soprintendenza alle Gallerie di Bologna dell’1-4-1954, prot. del Comune di Montescudo n. 548)”.
“Sembra – prosegue Pasini – che queste fossero contenute in un vaso di terracotta che però non ci è stato conservato. Dai Carabinieri di Montescudo furono recuperate venti medaglie, perché due furono trafugate subito dopo il ritrovamento. L’unica, breve e generica notizia di questo ritrovamento è nel quotidiano “Il Resto del Carlino” di Bologna, nella cronaca riminese del 3 aprile 1954″.
“Il deposito era formato da venti medaglie piccole col Tempio Malatestiano (Hill, 183), di cui diciotto recuperate; e da due grandi con il busto di Sigismondo con corazza al diritto e Castel Sismondo al rovescio (Hill, 185)”.
“Il ritrovamento è stato diviso in due parti uguali fra il Comune di Montescudo e la Soprintendenza alle Gallerie di Bologna che, dopo aver inventariato i suoi pezzi con i nn. da 6363 a 6372, li ha distribuiti alla Biblioteca Malatestiana di Cesena (due piccoli e uno grande), al Museo di Schifanoia a Ferrara (due piccoli), al Museo Civico di Bologna (tre piccoli)”.
“I due rimanenti dovrebbero essere finiti al Tempio Malatestiano, ma non ci sono”.
“Le dieci medaglie di proprietà del Comune di Montescudo sono state esposte nel 1970 alla Mostra riminese dedicata a Sigismondo (cat. n. 225)”.
Nello stesso, prezioso volume, Pasini ricostruisce tutte le vicende delle medaglie di Matteo de’Pasti: il “tesoro di Sigismondo”, appunto.
Come e più di quanto usava allora, Sigismondo Pandolfo Malatesta volle infatti lasciare un segno segreto delle sue opere – nelle rocche e nel Tempio – celando nelle fondazioni, nei muri, persino nelle sculture del Tempio Malatestiano (ben 22 solo “sul dorso degli elefanti che reggono i pilastri di sinistra della cappella di San Sigismondo”, ritrovate durante i restauri del 1948), un incredibile patrimonio di medaglie commemorative. A realizzarle era stato il veronese Matteo de’ Pasti, allievo del Pisanello , che fu anche direttore dei lavori al Tempio Malatestiano e autore di numerosi suoi dettagli architettonici.
Fra l’altro, proprio a queste medaglie dobbiamo la visione originaria di Castel Sismondo (perfino più dettagliata rispetto all’affresco di Piero della Francesca). Ma soprattutto di quello che avrebbe dovuto essere il Tempio a lavori ultimati, con la grande cupola a coronare il progetto dell’Alberti. Sigismondo fece coniare medaglie di diverse carature, raffigurazioni e anche qualità delle leghe, in bronzo, argento e anche oro, finché poté permetterselo.
Come hanno rilevato in più occasioni gli studiosi (lo stesso Pasini, Ferruccio Farina in “Il volto e la fama. Le medaglie di Pisanello e di Matteo de’ Pasti per Sigismondo Pandolfo Malatesta nei repertori iconografici tra XVI e XVII secolo”), le medaglie servivano a Sigismondo innanzi tutto come “biglietto da visita” di eccezionale prestigio, da inviare come dono diplomatico assieme alle ambascerie. Uno strumento di propaganda che era tutt’uno con la sua politica culturale. Solo molto tempo dopo si scoprirà che una quota rilevante della produzione di medaglie era destinata a rimanere nascosta.
Quasi tutte le medaglie malatestiane che possediamo oggi nel riminese provengono da ritrovamenti fortunosi come quello di Montescudo, avvenuti nel dopoguerra. Il medagliere più antico, infatti, fu trafugato durante la guerra; era stato trasferito insieme ai maggiori reperti del Museo civico, collocato allora nell’ex convento di San Francesco accanto al Tempio. In effetti le bombe centrarono il Museo riducendolo nello stato che si può vedere tutt’ora; ma la rapacità di qualcuno volle infierire la sua parte di danno. Da allora, nessun pezzo fu mai recuperato.
Come si legge nelle pagine di Pasini, appare incomprensibile la politica della Soprintendenza; non solo buona parte dei reperti dovette lasciare le località dove erano stati collocati da Sigismondo, ma neppure furono concentrati in un solo luogo in modo da poterli ammirare tutti insieme.
In questo caso, il luogo non poteva essere che Rimini. Invece, una volta giunte a Bologna le medaglie vennero redistribuite per le varie sedi museali della regione secondo criteri che sfuggono ai più. Ed è a dir poco incredibile che anche dopo queste distribuzioni si siano verificati altri “smarrimenti”.
Non solo. “Alle medaglie malatestiane – scrive ancora Pasini – e probabilmente non solo a quelle malatestiane, può capitare anche di peggio: addirittura di essere donate ufficialmente a privati dai Comuni che le possiedono, come è successo a Fano; e nessuno ha pensato di impedire una cosa talmente assurda ed assolutamente illegale“.