Home___aperturaIl medico riminese a Gaza: “Qui la speranza è stata uccisa insieme agli innocenti”

"Nell'ospedale di Medici Senza Frontiere di Deir el Balah lavoriamo per terra e manca tutto, arrivano brandelli di corpi di intere famiglie nei sacchi"


Il medico riminese a Gaza: “Qui la speranza è stata uccisa insieme agli innocenti”


30 Marzo 2024 / Redazione

Roberto Scaini, 50 anni, è un medico riminese. Lavora a Misano e abita a San Clemente, ma dal 2011 parte in missione con Medici Senza Frontiere di cui è statao anche vicepresidente per l’Italia. Negli anni è stato più volte in Yemen, ma anche in Siria, Etiopia, Iraq, Sud Sudan, in Liberia e in Sierra Leone per l’emergenza ebola. Ora si trova a Gaza, da dove ha inviato questa testimonianza, pubblicata sul sito di MSF Italia e ripresa da alcuni quotidiani, oltre che da Marco Damilano nella sua trasmissione Il cavallo e la torre su Rai3.

«È difficile descrivere com’è la situazione nella Striscia di Gaza oggi. Gaza appare come un’arena dove dentro si sta giocando il gioco al massacro, dove si sta perdendo qualsiasi concetto di umanità. Le persone cercano di scappare da questa folle guerra ma si sa che non c’è nessun luogo dove si può scappare. Nessuno può uscire dalla Striscia di Gaza».

«Io mi trovo attualmente nella parte centrale, a Deir el Balah, dove Medici Senza Frontiere supporta l’ospedale di Al-Aqsa e dove la situazione è al collasso. All’interno dell’ospedale ci sono centinaia di pazienti in ogni angolo: per terra, sulle scale, nei corridoi. È addirittura difficile capire chi ancora è vivo e chi è morto. Insieme ai feriti, nell’ospedale vivono centinaia di persone che qui hanno cercato un rifugio. Un rifugio che non c’è, perché sappiamo benissimo che qualsiasi struttura è un bersaglio. Anche gli ospedali sono stati attaccati, alcuni letteralmente rasi al suolo.
Nella stanza adibita a camera mortuaria arrivano brandelli di corpi di intere famiglie tenute nei sacchi. Qui non ci sono solo i brandelli di corpi, ma ci sono gli ultimi brandelli della speranza, gli ultimi brandelli della dignità e dell’umanità».

«La città di Deir el Balah è letteralmente invasa da persone che cercano quel rifugio che non c’è. Non c’è nessun rifugio, non c’è nessun luogo sicuro. Vivono accampati come possono, alcuni nemmeno in tende ma in strutture di plastica provvisorie che sono in ogni angolo. Non c’è spazio da nessuna parte. Le persone sono scappate dal nord, si sono rifugiate nella parte centrale e a sud dove la minaccia di un attacco adesso è imminente. Nel momento in cui vi parlo si sentono i droni volare sopra di noi ed è normale continuare a sentire i colpi di mortaio, i carri armati sparare, i jet passare e bombardare. Sono suoni che non si possono descrivere. Le esplosioni sono talmente vicine che alle volte sentiamo il fischio dei missili e ci chiediamo dove si abbatteranno, con il loro frastuono assordante».

«Sono costretto spesso ad abbassare gli occhi nel guardare le persone, nel guardare la disperazione sui loro volti. Sembra che qui anche la speranza sia stata uccisa insieme agli innocenti, gli stessi bambini vagano per la città cercando qualcosa. È una situazione umanamente devastante.
Negli ospedali manca tutto. Mancano le garze, mancano i farmaci, mancano gli anestetici. I pazienti vengono trattati a terra, il pronto soccorso è diventato un posto assolutamente indescrivibile dove i corpi sono ovunque. I miei colleghi lavorano senza tregua, sono esausti, camminano come degli zombie cercando di fare quello che possono. Sembra un dispaccio da una guerra del Medioevo ma invece è il dispaccio da una guerra che si sta atrocemente compiendo nel 2024».