Home___primopianoIl male non perdona, l’amore non finisce: il tempo che resta e il tempo che va

Il libro di Pasquale D’Alessio "Chopin mi sorride. Un racconto"


Il male non perdona, l’amore non finisce: il tempo che resta e il tempo che va


1 Aprile 2024 / Paolo Zaghini

Pasquale D’Alessio: “Chopin mi sorride. Un racconto” Nolica Edizioni

“Resta da scrivere l’ultima pagina. E’ sua! Io? In sincerità: non saprei dire. Lei saprà scrivere l’ultima pagina, le ultime parole”.
Quest’ultima opera di Pasquale D’Alessio (classe 1955) è un block notes di appunti con ricordi, sensazioni, fatti inerenti la morte della moglie Luigina (Luisa) Migani (1949-2008) a seguito di un tumore. A distanza di quindici anni lo scrittore/poeta ci porta dentro il doloroso mondo di un coniuge che vede la moglie amata pian piano andarsene. “E’ solo tempo. Lascia un dono: il ricordo”. E’ l’ultimo libro di una trilogia che l’Autore ha voluto dedicare alla cara moglie scomparsa.

“Per alcune settimane ho frequentato l’ospedale, arrivando nel primo pomeriggio, per uscirne a notte inoltrata e tutti i giorni, festivi compresi, nel corridoio del reparto di Chirurgia generale, trovavo un giovane, sempre lì: stesso posto, stessa sedia. Accavallava le gambe e scriveva, scriveva in un quaderno”. Fino a quando D’Alessio non l’ha più visto: “La porta della camera dove entrava, sempre socchiusa o chiusa, era spalancata. Spalancata la finestra, alla camera vuota”.

Il testo si muove tra narrazione e poesia. Scrive nella Prefazione Gianfranco Lauretano: “E’ una lettura dalla quale è impossibile uscire indenni, per struggenza, profondità e altezza di sentimento e pensiero. Il poeta continua a chiederci di stare con lui di fronte all’incontro degli incontri, al saluto di tutti i saluti della sua esistenza”.

E’ il tempo il tema dominante. Perché l’evolversi della malattia ti porta continuamente a chiederti: quanto tempo ancora? Per quanto io potrò ancora godere della tua presenza, della tua compagnia, del tuo amore?

Sempre Lauretano: “Si tratta di un libro notturno, ambientato nella notte assoluta e tesa degli ospedali (…). In tutto il libro è attuata la dinamica dentro/fuori l’ospedale. Potrebbe cambiare tutto, ancora una volta, oppure nulla, come ci suggerisce un’altra delle pagine capitali dell’opera, quella in cui l’amore è riportato con più nitidezza: ‘Ci siamo solo spostati, da casa a qui. Saranno poco più di cinquecento seicento metri, cinque minuti e si arriva. No, non è mica diversa questa notte dalle altre. Hai il tuo cuscino. Il cielo quasi tutto chiaro, la luna piena: è padrona, la sua luce si confonde con quella del corridoio. Non posso abbracciarti. Ancora siamo attratti. La passione’”.

Ma poco dopo: “Invece è proprio tutta un’altra storia questa stanza! Non ha libri. Non ha il nostro armadio (…). Non possiamo ascoltare Zucchero, né tanto meno ballare. Accarezzarci, i baci, luci spente alla luce dei lampioni, che arriva da fuori”.

E in ospedale oltre le infermiere che girano con i carrelli (“uno di questi contiene la terapia: pillole, flebo, punture da fare, lo sfigmomanometro e lo stetoscopio: pressione da misurare, controllare cuore e polmoni da ascoltare. L’infermiera sfoglia il quaderno ad anelli, fa segni, scrive, gesti, movimenti, cenni e accenni di sguardi, tutto ben collaudato”) ci sono le badanti (“una parte del sud e del nord del mondo è qui! Assisterà la notte”).
La fantasia che si unisce, invano, alla speranza: “La notte che i cavalli alati arrivarono dal mare la città faticosamente cercava di dormire, aveva da tempo smarrita la malinconia, perso il dono della nostalgia e nel cuore della città vi batteva un soldo falso. Quella notte i cavalli con le ali d’argento fecero salire in groppa tutti-tutti-tutti, Volavano i malati, volavano i medicamenti. Via le garze, le medicazioni, i cerotti, i drenaggi, le bende, le canule, le flebo si facevano coriandoli. Coriandoli colorati. Scintille di luci”.

E D’Alessio, al termine di uno dei paragrafi più belli, scrive: “Vorrei essere l’Angelo, questa notte. L’Angelo che ti porta l’Annuncio: possiamo andare via, uscire. Ci aspettano la strada, gli alberi, l’aria di fuori, ci aspettano le nostre abitudini, il nostro fare (…). Prenderti per mano, uscire, attraversare il corridoio. Salutare e via …”.

Magari accompagnati dalla musica di Chopin, quella musica suonata dalla banda del paese natale per la festa della Madonna del Venerdì Santo. Ancora ricordo e nostalgia. Pagine di un libro che si ricorderanno nel tempo per la loro intensità, la loro dolcezza, la loro tragicità.

Paolo Zaghini