Home___aperturaAutismo, Martina e Pippo lo scoprono da adulti: “Rimini punto di riferimento in Romagna”

La storia dell'ex assessora ravennate e del compagno entrambi autistici con una diagnosi confermata da adulti


Autismo, Martina e Pippo lo scoprono da adulti: “Rimini punto di riferimento in Romagna”


3 Aprile 2024 / Redazione

In Italia si stima che un bambino su 77 sia nello spettro autistico, un insieme di disturbi del neurosviluppo che comportano difficoltà nella comunicazione e nell’interazione sociale, con una rosa variegatissima di caratteristiche. E gli adulti? Non esistono dati. Chi scopre di essere autistico ‘da grande’ si trova solo, senza una rete ufficiale di supporto. Così, capita che sia il passaparola a fare luce su vite complicate da difficoltà, illuminate all’improvviso da una diagnosi che diventa il filo di Arianna per uscire dalle incomprensioni.

Ho sempre pensato di essere sbagliata, fin da piccola. Mi sono chiesta per anni: cosa c’è che non va, in me? Poi la scoperta: ho il disturbo dello spettro autistico di livello 2, sono Adhd e ho pure la sindrome da evitamento patologico delle richieste”. Martina Monti, 35 anni, è impiegata in un Patronato a Ravenna, città in cui è stata anche giovanissima assessora alla Sicurezza. Ha passato anni a cercare di capire cosa avesse (“Leggevo il Dsm-5 e poi chiedevo conferma alla psicologa delle patologie di cui pensavo di soffrire”), fino a quando un’amica non le ha dato i contatti giusti per una diagnosi accurata. Amica anche lei nello spettro, e anche lei diagnosticata da adulta solo in seguito alla diagnosi del figlio. Perché sui bambini c’è molta attenzione, fin dai primi mesi di vita i pediatri di base somministrano questionari ai genitori per scovare segnali predittivi di autismo, ma per gli adulti le chance sono poche. Il passaparola, in questo caso, è stato particolarmente proficuo, perché non solo Martina ha scoperto di essere autistica, ma ha spinto anche il marito, Pippo Marino, vicepreside del Liceo Artistico di Ravenna, a fare i test: autistico pure lui. Ma andiamo con ordine.

La loro storia, per la cronaca, è stata raccontata dall’Agenzia Dire

IL MALESSERE, POI LA DIAGNOSI 

“Frequento psicoterapeuti fin da bambina, avevano capito che io avevo difficoltà nella socializzazione– racconta Martina- La domanda che mi sono sempre fatta è: ‘Perché gli altri riescono a vivere una vita normale, mentre io mi sento sempre fuori luogo, o non integrata, o non adeguata?’. Finché un giorno una delle mie più care amiche, con diagnosi di autismo, e figlio autistico di livello alto, mi ha chiesto: ma perché non ti fai diagnosticare? Visto che io e lei eravamo anche molto simili, l’ho ascoltata. E leggendo le caratteristiche della sindrome di Asperger nelle donne ho ritrovato me stessa“. A quel punto Martina contatta direttamente il centro autismo di Roma, ‘CuoreMenteLab’. “Avere una diagnosi di autismo di questo tipo nel pubblico a Ravenna è molto complicato- spiega-. C’è un ottimo Centro Autismo per bambini, ma gli adulti non sono un tema trattato“. Gli adulti fanno coping, cioè mettono in funzione una serie di strategie interiori per gestire l’ansia, capirli è difficile. “I professionisti dell’Ausl si sono formati da un punto di vista accademico solo sui bambini. La conferma dell’autismo l’ho avuta a Rimini dal dottor Sabatelli, grande punto di riferimento Ausl per gli autistici della Romagna“.

Storia personale diversa per Pippo, professore, giornalista e musicista, ma stesso percorso per arrivare alla diagnosi. “Tutto quello che abbiamo scoperto su di noi lo abbiamo scoperto indagando da soli, molto spesso a pagamento”, puntualizza. Lui, 48 anni, è autistico di livello 1, con deficit di attenzione e quoziente intellettivo sopra la media. Siciliano, con difficoltà mascherate benissimo (a prezzo di una grande fatica): socievole in pubblico, devastato dall’ansia in privato. “Anche io ho vissuto sempre la condizione di sentirmi sbagliato, ma non sono andato da nessuno psicologo: in Sicilia la mentalità è un po’ più arretrata e una cosa del genere era uno stigma. Anche per questo me ne sono andato”. A Ravenna dal 2005, Pippo scopre di essere autistico spinto da Martina, che rivede in lui molte delle caratteristiche delle persone nello spettro.

Oggi entrambi sono seguiti da un gruppo Veneto, ‘Empathie’, a cui sono arrivati sempre tramite passaparola.

LA VITA DI COPPIA

Com’è la coppia formata da due persone neurodivergenti? “Siamo molto più simbiotici di tante altre coppie. Facciamo tutto insieme”, spiegano Pippo e Martina, insieme dal 2017 e sposati dal 2022. “Abbiamo bisogno di ancore affettive”, sottolinea Pippo. “Ma  ci diamo anche supporto pratico”, aggiunge Martina. Ci sono poi tratti tipici che li differenziano parecchio dalle coppie standard. Un esempio? “Stiamo interi giorni senza parlarci”. Silenzio totale ognuno con le sue cuffie ad ascoltare musica. L’aperitivo dopo il lavoro? “Per noi è l’inferno”. Sia Pippo che Martina lavorano, anche a contatto con il pubblico, hanno amicizie e una vita sociale, ma ha tutto un costo emotivo altissimo. E a casa ci si ricarica. Insieme, vicini, senza parole. “Risparmiare socialità ci fa ricaricare le pile”. 

UNA SALVEZZA CHIAMATA EXCEL

Pippo e Martina sono appassionati di viaggi, ma il loro modo di girare il mondo è abbastanza insolito. Un neurotipico lo definirebbe forse faticoso, ma per loro è esattamente il contrario.  “Prenotiamo e programmiamo tutto mesi prima”. E per tutto, si intende davvero ogni aspetto del viaggio: spostamenti, alloggi, musei, ristoranti, tutto scandito minuto per minuto da accuratissime tabelle excel che indicano date, orari, scelte e ovviamente prenotazioni. Nessuno spazio per gli imprevisti. “Per noi è un grande sollievo, quando abbiamo tutto sull’excel ce la godiamo”. Andare all’avventura? “Mi metterei su una panchina a piangere per una settimana”, scherza Martina.  Non solo vacanze. Avere una scansione definita della giornata è importante anche nella quotidianità.

COSA È DIFFICILE NELLA VITA DI UNA PERSONA AUTISTICA

Bisogno di routine. Ansia sociale. Avere sempre tutto programmato. Cercare di sembrare normali, cioè fare ‘masking’: sono alcuni degli elementi quotidiani che fanno parte della vita delle persone autistiche . “La gente come noi è sempre partita dall’idea di essere sbagliata. Prima della diagnosi tu sai di non essere come gli altri, ti senti solo in mezzo alle persone, e allora cerchi di fare di tutto per essere uguali agli altri, quindi metti in atto comportamenti che non sono tuoi. Cerchi di mimetizzarti”, spiega Pippo. “Tutte le persone fanno un po’ di masking, anche i neurotipici. Ecco, noi dobbiamo farlo anche per andare a fare la spesa. Dobbiamo controllare attivamente il nostro istinto”. “C’è difficoltà maggiore nell’accettare le dinamiche sociali, noi non le intuiamo”, aggiunge Martina. “Il fatto che io, quando esco con gli amici, debba interagire tutto il tempo e non possa mettermi per conto mio a leggere un libro, per me è strano– racconta Martina- per tutta la vita mi hanno detto che sono maleducata, ma io non capivo il perché, allora adesso so che devo imparare la regola e applicarla meccanicamente. Copio”. Ma questo processo è faticosissimo. Il relax arriva solo nel momento dello smascheramento, quando si può stare in casa, da soli.   I neurodivergenti hanno bisogno di schemi per funzionare bene. “Così sappiamo cosa fare e quando farlo. Di solito questi schemi sono molto stretti, dipende poi dal livello di neurodivergenza. Se la routine salta si va in crisi”. Nella vita di tutti i giorni, significa, per esempio, non rispondere né al telefono, né al citofono. “Le sorprese? Mi manderebbero all’ospedale”, sintetizza Pippo.

La vita delle persone nello spettro autistico è accompagnata dalla psicoterapia. “Non ne potremmo fare a meno”, spiegano. Gli psicoterapeuti sono ovviamente quelli specializzati nell’autismo per gli adulti. “Ti aiutano a capire come funzioni- spiega Pippo- Ti illustrano i meccanismi di funzionamento e ti fanno capire perché in certi posti non puoi andare, perché sei a disagio, perché ti vengono gli attacchi di panico. Cercano di capire come funzioni e ti danno strategie di coping”. L’obiettivo è riuscirsi a muovere in sicurezza in un mondo a misura di neurotipico. “Non possiamo cambiare il mondo, cerchiamo di starci il più comodi possibili”. 

Un esempio delle attività svolte da un terapeuta dell’autismo lo fa Martina: realizza una tabella con le unità di energia disponibili durante il giorno, per distribuirle in modo da non andare in burnout. Per alcune persone autistiche l’esaurimento delle energie è così forte, che si bloccano. Si spengono. “Quando mi capita- racconta Martina- io non riesco più a capire le persone che mi parlano, devo chiedere di ripetere in continuazione. Perdo tutta la mia capacità cognitiva”. Per evitare di arrivare a quel punto, va fatto un conto energetico: ogni attività ha un punteggio, l’indicatore a fine giornata deve essere positivo. Le attività più energivore? Dipende. Martina ha scoperto che per lei è molto impegnativo mangiare seduta a tavola e usare le posate. “In una giornata con vicissitudini complesse, la sera io mangio un panino sul divano per recuperare energia. Sennò sono costantemente in debito e vado in burnout”. “Io invece uso i colori– interviene Pippo: segno tutto sull’agenda, ma con colori diversi. Se ho un impegno ‘rosso’ nel calendario, in quel giorno non devo fare nient’altro. Quindi la sera non si esce, non scrivo per la rivista, non faccio altro. Se ho l’impegno blu, posso prendere un impegno verde. Poi basta. Io mi organizzo tutta la settimana in modo da non stare male”.

L’autismo “è una forma di disabilità”, specifica Martina, “io ho la 104. Se non l’avessi non potrei lavorare a tempo pieno”. Grazie alla 104, Martina può contare anche sull’appoggio di una brava psichiatra dell’Ausl di Ravenna,  ma le psicoterapie sono tutte a carico del paziente. “Devi stare bene finanziariamente, per essere autistico”, chiosa Pippo. Per avere la 104 o altra assistenza serve molta documentazione e Martina ha deciso di fare da apripista: sta mettendo a punto uno schema che possa essere utile  a chi, come è capitato a lei, possa avere bisogno di aiuto per relazionarsi con il Servizio sanitario. “Non è solo l’autistico che non parla ad essere in difficoltà. Anche noi lo siamo, e in più dobbiamo lavorare per mantenerci economicamente. Avere aiuto dal pubblico è fondamentale per non finire ricoverati. La 104 è fondamentale, ma non la danno quasi a nessuno di noi considerati ad alto funzionamento”.

LA GIORNATA MONDIALE NON SERVE A NIENTE: PARLIAMONE A SCUOLA

Il 2 aprile è la Giornata mondiale della consapevolezza sull’autismo. Utile? “Le grandi masse capiscono di cosa si parla, ma non è uno strumento efficace per essere considerate categoria di persone con disagio, anzi ti stigmatizzano come persona con handicap e basta. Presentano l’autistico di livello 3, principalmente: si fa consapevolezza con l’autismo grave dei bambini, quello che porta avanti lo stereotipo“. Cosa serve, allora? “Che si formino gli psichiatri e l’Ausl. Più ci saranno diagnosi, più ci sarà consapevolezza”. Ma il tempo ci mette tanto a passare: “Se gli psicoterapeuti facessero aggiornamento sull’autismo, potrebbero capire che alcuni loro pazienti sono nello spettro– ragiona Martina- aumenterebbero le diagnosi e anche l’accettazione”.

“Per me la cosa più ovvia- aggiunge Pippo- è che l’educazione alla salute andrebbe portata nelle scuole. Andrebbero spiegate le neurodivergenze, le malattie. ‘Salute psicofisica’ dovrebbe essere una materia, trattando dall’alimentazione alla sessualità, spiegando la prevenzione”. Tempo e salute, essere felici, stare sereni in mezzo alla gente: bisognerebbe puntare su questo. E far capire che chi è autistico non è condannato all’infelicità. “Per me è importante che un mio alunno che probabilmente è autistico  e non lo sa, sappia che un autistico può diventare vicepreside“. “Da me vengono al patronato genitori di bambini con adhd, o autismo di livello 1 e stanno male– racconta Martina-, sono angosciati. Io allora gli dico che hanno la mia stessa diagnosi e che sono fortunati ad averlo saputo da giovani così potranno essere seguiti adeguatamente. Loro si sentono sollevati“.