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Venerdì 19 aprile incontro dedicato a uno dei padri della Costituzione


Gramsci incontra Dossetti al Teatro del Seminario di Rimini


16 Aprile 2024 / Giuseppe Chicchi

Venerdì 19 aprile prossimo, alle 20,30, presso il Teatro del Seminario, l’Istituto Gramsci Rimini, con la collaborazione dell’Ufficio della Pastorale Sociale e ISSR Marvelli organizza un incontro dedicato a Giuseppe Dossetti che ho avuto l’onore di conoscere a Monteveglio nel 1989 in un incontro conviviale richiesto dall’allora Presidente della Regione, Luciano Guerzoni.

Una prima domanda si affaccia in chi legge: cosa c’entra il Gramsci con Dossetti? Un’associazione culturale che si richiama ad uno dei padri del PCI e della Sinistra italiana, si occupa di un politico che fu anche vice Segretario Nazionale della DC?
La risposta è che c’entra eccome!

Giuseppe Dossetti fu partigiano, membro del CLN di Reggio Emilia, docente con Giuseppe Lazzati alla Università Cattolica, membro influente della Commissione Ristretta dell’Assemblea Costituente che redasse il testo della nostra Carta.

Proviamo a immaginare la situazione. Un gruppo di persone forti che provengono dalla guerra, dall’esilio, dal carcere fascista, dalla lotta partigiana, ma che hanno idee diverse, fanno riferimento a diversi modelli internazionali. Alcuni cattolici ferventi, altri laici militanti. Ebbene, queste persone, riunite in una stanza di Montecitorio, assumono la responsabilità di dettare regole per comporre un’idea unificante per la Repubblica nascente.

Togliatti e De Gasperi la pensano diversamente su quasi tutto, ma si mettono faticosamente al lavoro per trovare un punto di equilibrio. Penso, certo sbagliando, che il particolare punto di vista di Giuseppe Dossetti sia stato molto utile, se non determinante, nella ricerca di questo punto di equilibrio e che valga la pena ragionarci sopra ancor oggi, per ragioni culturali ma anche politiche. Ci sono questioni su cui Dossetti portò un contributo che configurò, forse rese possibile, l’accordo con la Sinistra e i Laici del Partito d’Azione.

In primo luogo occorreva respingere l’idea che da qualche parte pur emergeva, che bastasse ripristinare lo Stato liberale pre-fascista, i suoi meccanismi di funzionamento, il suffragio universale solo maschile che Giolitti aveva voluto nel 1912, ecc. ecc. Era un’idea sbagliata perché il fascismo e soprattutto la guerra, avevano cambiato la società italiana. Occorreva qualcosa di più e di meglio che rimettesse in movimento il fluido della democrazia, rendesse attive masse popolari rese passive da uno Stato autoritario e da una guerra feroce. Partiti di massa, corpi intermedi, economia sociale, comunità attive, ecc. ecc.

In secondo luogo non bastava una Carta Costituzionale che fissasse principi, occorreva che i principi diventassero azione di Governo, che il Parlamento assumesse il compito storico di attuare i principi. Così l’art. 3 non si limita a dire che tutti i cittadini sono uguali, aggiunge che la Repubblica realizza gli strumenti perché ciò avvenga. E potrei citare il 41 che riconosce l’attività economica privata ma che non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale, aggiungendo che lo Stato dovrà dettare regole perché ciò avvenga.

Dossetti aveva a mente, così come buona parte della sinistra del tempo, l’esperienza Keynesiana di economie miste in cui lo Stato promuove investimenti e occupazione, chiamando le componenti private ad esprimere la loro vitalità. Cose tutte attualissime.

Qui, a mio parere, c’è un punto meno chiaro nel percorso dossettiano, qualcosa nel mondo cattolico e nella sua rappresentanza politica stava accadendo. Dossetti abbandona la politica, sceglie di diventare monaco, di lavorare all’interno della Chiesa e, al fianco del Cardinal Lercaro, sarà attivo nel Vaticano II. Non dimenticherà però la Costituzione se nel ’94 sarà fra i promotori dei Comitati per la difesa della Carta.

L’Italia post bellica intanto diventa la settima potenza mondiale ma ben presto entra in crisi per la rottura del patto fiscale fra cittadini e Stato. Lì si apre il campo che i populismi areranno alacremente. Ne consegue l’enorme debito pubblico che è come sabbia nel nostro motore e che oggi vede a rischio le conquiste sociali universalistiche.

Giuseppe Chicchi