Home___primopianoMa quale fascismo al governo: basta guardare cosa succede ai treni

Anzi ci si mette pure palazzo Chigi a far saltare la circolazione ferroviaria pugliese le gite sui convogli storici offerte alle first lady del G7 di Borgo Egnazia


Ma quale fascismo al governo: basta guardare cosa succede ai treni


16 Giugno 2024 / Lia Celi

Non so se si tratta di una strategia di comunicazione con cui palazzo Chigi vuole dimostrare con i fatti di avere preso le distanze dal fascismo. Fatto sta che mai come in questo periodo in Italia i treni arrivano in ritardo. Dall’umile regionale al Frecciarossa, non si salva nessun convoglio, e non si tratta quasi mai di manciate di minuti, ma di botte dalla mezz’ora in su.

Altro che l’esplicito riferimento alle «squadracce fasciste» responsabili del delitto Matteotti: la più lampante testimonianza del ripudio da parte di Giorgia Meloni dell’eredità mussoliniana è la completa imprevedibilità degli orari di partenza e di arrivo dei treni. Non esistono più le coincidenze, ma solo le pure coincidenze, nel senso che se riesci a scendere dal treno precedente in tempo per salire su quello successivo è una mera casualità, uno scherzo benevolo del destino.

I motivi dei ritardi, così come ci vengono annunciati in italiano e in inglese dall’altoparlante, sono i più vari: solo la categoria «guasti» può declinarsi in almeno una dozzina di varianti, come pure «l’intervento dell’autorità giudiziaria», espressione che può sottintendere vari tipi di disgrazie. Gli annunci del primo tipo vengono accolti dai passeggeri per lo più con gemiti rassegnati o ululati di rabbia, accompagnati da contumelie contro Trenitalia o RFI. Quelli del secondo genere suscitano reazioni meno immediate: si pensa subito a un suicidio o a un tragico investimento, eventi luttuosi di fronte ai quali non è di buon gusto inveire o protestare, e le conversazioni con i vicini diventano podcast true-crime a base di morbose descrizioni di corpi maciullati e macchinisti sotto choc. C’è chi la butta in politica osservando che «oggi la gente è disperata», chi va sul letterario rievocando il finale di Anna Karenina. I pendolari, abituati a simili tristi evenienze, ci hanno fatto il callo e si limitano a sospirare rassegnati.

Una terza causa di ritardo, sempre più frequente (ieri pomeriggio è successo fra Rimini e Riccione) è la «presenza di persone non autorizzate vicino ai binari», e qui l’esecrazione da parte dei passeggeri è generale, che i non autorizzati siano manifestanti pro-Palestina, squilibrati o turisti smarriti, e se ci scappasse il morto difficilmente troverebbe simpatia e comprensione. Non dimentichiamo le cause varie ed eventuali, come un ministro dell’Agricoltura imparentato con la premier che obbliga il treno a una fermata supplementare, o le gite sui treni storici offerte alle first lady del G7 di Borgo Egnazia, che nei giorni scorsi hanno fatto saltare la circolazione ferroviaria pugliese, con ritardi a cascata su tutti i treni della linea Adriatica.

Sono stati questi ultimi a complicare la mia ultima trasferta su rotaia, insieme a un allarme bomba, rivelatosi per fortuna infondato, su un Frecciarossa alla stazione di Firenze (il fatto è balzato agli onori della cronaca perché su quel treno viaggiava Massimo D’Alema). Eppure, malgrado tutto, mentre mi consumavo gli occhi fissando i tabelloni della stazione dove i ritardi di trenta minuti diventavano di cinquanta e poi di ottanta, il mio morale restava alto: la mia agenda era sconvolta, ma lo spettro del fascismo, con la mitica puntualità ferroviaria connessa al duce, mi sembrava lontanissimo. Quando scadrà il mandato di Mattarella, i ritardi ferroviari saranno l’ultimo baluardo della democrazia.

Lia Celi