Guerra fra Pennabilli e i vampiri: come mai ancora non si fa un kolossal?
14 Luglio 2024 / Lia Celi
Quando la realtà ti serve su un piatto d’argento una trama succulenta, pronta per essere trasformata in un progetto per Netflix e piattaforme assortite, bisognerebbe gettarcisi a pesce. E la guerra fra Pennabilli e i vampiri, già rimbalzata sui quotidiani nazionali, è uno spunto che vale oro perché intreccia horror, politica, commedia sullo sfondo di un pittoresco borgo italiano, ingredienti che hanno fatto il successo di innumerevoli film e serie.
Agli sceneggiatori si richiederebbe uno sforzo minimo, perché i personaggi sono già belli e pronti: il leader della setta dei Real Vampires, il sindaco-sceriffo fascistoide che non vuole fare del suo comune una succursale della Transilvania, il pugnace regista deciso a realizzare un film vampiresco proprio nell’ameno paesino caro a Tonino Guerra, e, a rappresentare la voce della ragione e della scienza, il direttore del Museo del Calcolo e della Matematica, ovviamente ostile agli eredi contemporanei di Dracula.
Manca solo una presenza femminile, indispensabile in tutte le storie di vampiri: se la cronaca non la offre, dovranno pensarci gli autori, cambiando genere a qualcuno dei protagonisti o aggiungendo ex novo un’anemica eroina da salvare, un’affascinante vampira, un’inquietante badessa custode di inconfessabili segreti o la classica reporter d’assalto venuta a infiltrarsi tra i Real Vampires di Pennabilli per realizzare uno scoop tipo Fanpage, che poi si ritroverà un paio di canini affondati nel collo.
Sarebbe una fiction di genere, ma anche di denuncia, che si svolgerebbe su più piani – la realtà del paesino, la rappresentazione del film che sta realizzando il regista – e farebbe dei vampiri il simbolo di tutti i non-conformi rifiutati, quando non mostrificati, dall’ottuso conservatorismo terrorizzato da tutto ciò che non rientra nel suo angusto e ammuffito concetto di «normalità».
Insomma, è una trama perfetta, popolare e commerciabile, che oltretutto si scrive da sola. Se non fossimo in Italia – o se fossimo nell’Italia degli anni Sessanta-Settanta, l’epoca d’oro dell’horror nostrano – qualcuno l’avrebbe già stesa e depositata, e sarebbe già in corso il casting. Ma in questi tempi depressi il nostro cinema e la nostra tivù preferiscono le storie due-camere-e-cucina fatte di crisi di coppia e/o problemi con i figli, i teen-drama carcerari, i drammi ospedalieri e le biografie dei grandi italiani auspicate dal ministro della Cultura Sangiuliano.
Forse solo i gemelli D’Innocenzo, i trasgressivi e originali golden boys di Favolacce e della Terra dell’abbastanza, potrebbero essere interessati, se solo la loro ispirazione uscisse dall’hinterland laziale: Pennabilli è troppo esotica per loro. Può darsi che grazie alla lobby internazionale dei vampiri la vicenda esca dai confini nazionali e giunga alle orecchie di qualche cineasta straniero. Che magari trasporterà tutto il plot in Francia, in Inghilterra o nell’Europa dell’Est, dove ormai vengono girate le scene in esterni di tutti i film storici, horror e fantasy, privando così la nostra Pennabilli di una grande opportunità per diventare famosa agli occhi del mondo.
Non ci resta che sperare in Tonino Guerra. Quel grande sceneggiatore e uomo di cinema sicuramente risorgerebbe dalla tomba, anche sotto forma di zombie, pur di regalare a Pennabilli il kolossal che merita. E magari vincerebbe un Oscar.
Lia Celi