Gli odiatori dell’Adriatico si sciacquino la bocca prima di criticare
21 Luglio 2024 / Lia Celi
Mi è difficile non fare la ola alla notizia che il sindaco di Rimini intende scendere in campo contro gli haters del mare Adriatico, quelli che, da quando esistono i social, ogni estate che manda Dio si fanno un dovere di parlarne male. Me li immagino come i poveracci “vorrei-ma-non posso” di certe vecchie commedie all’italiana, che non potendo permettersi le ferie se ne stanno chiusi in cantina per far credere ai vicini di essere partiti: esprimendo sui social disprezzo per il mare del turismo popolare sperano di dare l’idea di essere abituali frequentatori di spiagge più esclusive e scenografiche, Salento come minimo.
Il cliché dell’alto Adriatico sporco e lutulento ormai si è così incistato nella testa dell’italiano medio che chi sceglie la Romagna si sente in dovere di precisare, in tono di scusa, che lo fa “nonostante il mare”: ci va per l’ospitalità, l’organizzazione, il cibo, la vicinanza, i servizi, i prezzi tutto sommato contenuti rispetto ad altre località, non certo per quell’acqua che si ostina a non sembrare quella di Grace Bay. Io stessa ho dovuto bacchettare un amico che aveva corredato i tweet e le immagini di un piacevole weekend a Rimini con l’inevitabile “il mare è quello che è, ma…”. Làvati la bocca prima di criticarlo, anzi, già che ci sei, fàtti i gargarismi con l’acqua di uno dei mari più puliti d’Italia, come testimonia l’ennesima Bandiera blu conseguita quest’anno dalle spiagge della nostra Riviera.
Ecco, più che l’aggressività anti-Adriatico dei leoni da tastiera, sfigati per definizione, mi infastidisce l’imbarazzo di quelli che vengono qui con una certa condiscendenza, come gourmet costretti dalle circostanze a mangiarsi una Rustichella all’Autogrill. Questo disagio, più che rivelare le vere o presunte magagne dell’Adriatico, smaschera i loro complessi. Hanno paura di non sembrare abbastanza ricchi da concedersi lussuosi resort su candide spiagge lambite da acque cristalline, o abbastanza avventurosi e snob da optare per scogli selvaggi e inospitali, visitati solo da una troupe del National Geographic nel 1975.
Temono di passare per gente semplice, che in vacanza vuole spaparanzarsi sul lettino, non ama camminare sui sassi e quando fa il bagno si sente più tranquilla se dopo tre metri non gli si spalanca un abisso sotto i piedi. Insomma, sono convinti che la scelta della villeggiatura i definisca come esseri umani e li posizioni sulla scala sociale, e ai loro occhi la Riviera romagnola non fa abbastanza status. Forse sospettano che tornare sulle stesse spiagge dove i loro genitori, operai o piccoli impiegati, li portavano da bambini sia come ammettere di non essere riusciti a fare il salto di classe, anche se per gli operai e i piccoli impiegati di oggi un mese di vacanza con la famiglia a Viserba è diventato un sogno proibito.
Posto che tutti i gusti sono gusti e ognuno ha il sacrosanto diritto di andare in vacanza dove gli pare e dove arrivano le sue finanze, lo snobismo dichiarato verso il nostro mare è solo una piccola spia della diffusa insoddisfazione rispetto a se stessi e alla propria condizione. Sentimento, ahimé, diventato cronico in un’Italia dove l’ascensore sociale è fermo da decenni, e pure le scale sono dissestate e senza corrimano. E l’unico sfogo è lanciare un post livoroso nel mare – quello sì torbido e inquinato – dei social.
Lia Celi