Home___primopiano40 anni fa la medaglia d’oro di Icio Stecca a Los Angeles: “Il mio sogno da bambino”

"Parigi fallimento per l'Italia della boxe. Carini? Brutto evitare l'avversario, l'ungherese con Khelif ha fatto tre round"


40 anni fa la medaglia d’oro di Icio Stecca a Los Angeles: “Il mio sogno da bambino”


10 Agosto 2024 / Redazione

I guantoni ‘persi’ per scommessa (‘Falcinelli avrebbe voluto la medaglia…’), l’incontro ‘micidiale’ con Muhammad Ali. E la felicità di un ragazzo di appena 21 anni ma già con una grande esperienza alle spalle, ‘felice già per il solo fatto di essere a Los Angeles, scelto dal Coni, per le Olimpiadi’. Il misto di emozioni e ricordi di Maurizio Stecca è coinvolgente. Sono passati già 40 anni da quando quel giovanissimo pugile di Rimini, salito per la prima volta su un ring appena 6 anni prima di quella Olimpiade, conquistò una sorprendente quanto meritata medaglia d’oro.

Era il 12 agosto, erano le 12 locali e le 21 in un’Italia che si fermò per seguirlo. ‘Fu una delle ultime medaglie che il Coni aspettava’, ricorda Maurizio Stecca all’agenzia Dire. Anche se ognuno degli incontri che si trovò davanti nel torneo olimpico li affrontò con forza e decisione dominandoli, per quell’ultimo match la tensione era nell’aria. Anche se per lui l’incontro con il messicano Hector Lopez fu una sorta di liberazione, l’ultimo atto di un lungo percorso fatto di duro lavoro: ‘Mentre aspettavamo i cartellini dei giudici- ricorda ancora Stecca- il mio avversario si mise il cappello messicano per festeggiare. Ma Franco Falcinelli e Nazzareno Mela mi tranquillizzavano.

Falcinelli mi disse ‘Hai vinto, scommetti la medaglia?’. Col cazzo- sorride- al limite i guantoni! E infatti alla fine glieli diedi, con firma e dedica. Ma la medaglia ce l’ho io!’.

Una volta sceso dal ring, l’incontro che per un pugile poteva solo che significare tantissimo: ‘Falcinelli mi prese per mano- ricorda- E mi portò da Muhammad Ali, che già mostrava i primi sintomi del Parkinson. Io ero in lacrime, per me fu un incontro micidiale, lui aveva cambiato il movimento della boxe. Ricordo che provava ad alzarsi ma io gli feci segno che non doveva e che andava bene così’.

Il sorriso dell’ex pugile di Santarcangelo di Romagna, che a marzo ha compiuto 61 anni, lascia il posto a un tono più deciso quando ricorda i sacrifici di quegli anni, iniziati quando era veramente piccolo d’età: ‘Si vinceva perché avevi voglia di combattere. Un oro olimpico è stata una conquista, il mio sogno da bambino’. Con il pugilato ‘ho iniziato a 13 anni e mezzo e dopo pochi mesi, nel 1978, ero già campione d’Italia. Ma io veramente prima non avevo mai visto un guantone’. Ricorda infatti che poco tempo dopo aver iniziato a combattere ‘mi portarono subito ai campionati regionali. L’anno dopo, nel 1979, l’allenatore mi portò a fare i campionati italiani Elite, ‘Prima serie’, vinti anche quelli. Ero il più giovane, ero un predestinato’. Ma non solo: ‘Sono un settimino. Mi hanno battezzato due volte, ero iperattivo. La mia mia vita è stata una competizione. E dopo gli inizi ho capito, piano piano, che la situazione era diventata seria, che non era più un gioco’. È poi arrivata la maglia azzurra ‘e li ho imparato la disciplina, il rispetto’.

E qui, lo spunto per tornare sull’incontro di Parigi, e le conseguenti polemiche, tra Angela Carini e Imane Khelif: ‘Se Cio o Coni fanno giurare di avere rispetto per l’etica sportiva, è brutto evitare un avversario che si è allenato come te, che voleva vincere come te. Lo abbracci. Devi avere rispetto per quello che ti è vicino. Ma ragazzi, è pugilato, non si può parlare di una situazione arbitrale sbagliata. L’avversaria successiva, un’ungherese, è salita sul ring, l’ha affrontata, ha fatto tre round’. E poi fa una piccola rivelazione: ‘Allora anche io sarei dovuto essere considerato diverso. Avevo dai 29 ai 39 battiti al minuto, mi dicevano che ero meglio di Coppi e che ero fuori dalla scala dei battiti. 230 battiti sotto sforzo, recupero 140. Per questo nel minuto di riposo recuperavo di più rispetto agli avversari anche se questo mi portava ad allenarmi anche 40 minuti prima negli spogliatoi perché nell’incontro faticavo all’inizio’. Per l’Italia della boxe, Parigi 2024 ‘è stato un fallimento. Devi venire via e ragionare su quello che è successo. Calo fisico compreso’. Salva però due nomi: ‘Lenzi e Mesiano’.

Arrivare a Los Angeles per Stecca, come per altri atleti azzurri, fu il riconoscimento di quanto fatto fino a quel momento: ‘In quel periodo non c’erano le qualificazioni olimpiche- spiega- Il Coni sceglieva gli atleti che sarebbero dovuti partire. Diceva alle Federazioni quali fossero i migliori.

In mezzo c’era anche il mio nome perché negli anni precedenti avevo vinto già una Coppa del Mondo, 12 tornei internazionali.
Quando mi hanno detto che ero uno dei 350 atleti ero già felice così. Ero un ragazzino’. Al Villaggio Olimpico, a Casa Italia, ‘eravamo con i grandi campioni del calcio. Ricordo Ferri, Zenga, Vierchowod, Nela. E poi Carl Lewis. Insomma tutti i più grandi atleti erano lì’. Compresa la prima medaglia d’oro azzurra: ‘Quella di Luciano Giovannetti nel Tiro a volo. Presi quella medaglia e pensai ‘cavolo che bella’. E scoprii pure che aveva gareggiato anche a Mosca nel 1980′ dove pure aveva vinto l’oro.

Era il 2 agosto. ‘Poi toccò a me. E iniziai subito a spingere, per me ogni incontro era come una finale. Infatti mi dicevano ‘ma sei diventato pazzo?’. Ero partito tanto veloce perché volevo vincere ogni match e perché non sapevo quello dopo come poteva andare a finire. E per arrivare in finale nei avrei dovuti affrontare 5′.

Ma più dei rivali, più della fatica (‘avevo 2 o 3 giorni di recupero’) il più grande nemico ‘era la bilancia. Erano quelle elettroniche che ti rilasciavano uno scontrino come quando vai a fare la spesa’. Così ‘mi alzavo alle 4 e mezzo del mattino, mentre Francesco Damiani che era in camera con me russava ed era tranquillo perché tanto era un super massimo, e andavo a farmi la sauna a 90 gradi. E con me c’erano lottatori, judoka, tutti lì di nascosto. Volevo mantenermi il peso, che era tra i 53,8 e i 53,9 kg. E poi però nel Villaggio c’erano tentazioni come i ristoranti aperti 24 ore su 24 che facevano da mangiare per tutto il mondo e i distributori con le bibite’. Quell’oro, ammette con emozione, ‘è anche il segno che hai lasciato qualcosa nel cuore della gente. Ti ricordano dopo tanti anni e mi fa ancora più piacere anche per il fatto che non c’erano social o video con i telefonini a ricordare quell’impresa. Sono ricordi veri nel cuore della gente’.

Dal centro del ring, oggi Maurizio Stecca si ritrova all’angolo da allenatore: ‘Ed è molto difficile questo ruolo- Quando ero pugile, ero da solo. Decidevo con gli allenatori, ma poi ero da solo sul ring. Il pugilato è uno sport singolo. Nel primo anno e mezzo, due anni, tra essere atleta ed essere allenatore è nel fatto che quando sono diventato aspirante insegnante, avevo ancora la mentalità da pugile. Devi lavorare con 15 teste quando sei allenatore. Da atleta facevo la mia strada, ho sempre fatto quello. Da tecnico devi controllare tutto. Sono riuscito ad ascoltare gli altri anche se avevo vinto tutto. Ho portato avanti il rispetto di tutti e l’umiltà che ci vuole. Mai detto a nessuno se fate quello che faccio io ok, sennò siete fuori. Magari ce ne fossero di quelli che fanno ciò che ho fatto io!’. Una volta ‘noi non avevamo i telefonini, oggi metti una sconfitta sui social. Poi c’è chi ti scrive ‘tranquillo, sei un campione’. Arrivo io che sono il tecnico e gli dico ‘hai perso, hai fatto schifo’ e le mie parole diventano immondizia. Le parole sui social sostituiscono quelle del tecnico’. Maurizio Stecca porta con orgoglio la sua esperienza e il suo oro di Los Angeles per le scuole: ‘E per me è un onore. Porto anche la cintura mondiale. La vittoria della maglia è stata un sogno che si è avverato, la cintura mondiale è stato un lavoro’.

Per celebrare la vittoria di 40 anni fa, proprio il 12 agosto è stato invitato dal Comune di Rimini a prendere parte, insieme al fratello Loris, altro grandissimo nome del pugilato italiano, che proprio 40 anni vinse il titolo Mondiale nei Supergallo diventando il più giovane italiano a vincere il titolo, ad una cerimonia in loro onore. ‘Ammetto che non mi sono lasciato bene con il Comune- spiega- Peccato non ci abbiano pensato negli anni precedenti e non lo dico per fare polemica. Sono contento di questa iniziativa. Premieranno anche mio fratello. Porterò la medaglia e andremo a vedere le nostre gigantografie che sono state messe nel palazzetto di Rimini”. Una medaglia d’oro ‘diventata sempre più pesante. Mi sono accorto dopo due o tre mesi di aver vinto… E’ stato massacrante, ma anche il sogno di un bambino che si realizzava’.

(Agenzia DIRE)