Giovane ucciso a Tavullia, il sindacato: “Portato al Cau, che non è un pronto soccorso”
12 Agosto 2024 / Redazione
Al Cau di Cattolica (cioè una struttura di assistenza e urgenza a bassa complessità) la notte del 7 agosto gli operatori presenti si sono trovati in un far west quando hanno dovuto soccorrere un ragazzo in arresto cardiaco portato li da amici, dopo essere stato ripetutamente accoltellato a morte.
Era Dritan Idrizi, accoltellato a Tavullia. Residente a Riccione, la vittima di quello che divenne poi un omicidio dopo la morte del giovane aggredito tre le persone, di origine albanese, come lui, poi fermate.
Idrizi, gravemente ferito fu portato al Cau di Cattolica. Dal sindacato Snami, il sindacato autonomo dei medici italiani, si apprende che oltre la tragedia avvenne in un contesto di caos e tensione.
Al Cau, lamenta il sindacato “tra i tentativi di rianimazione, fa segnalato il soccorso anche ai numerosi familiari che si sono sentiti male per la notizia e la gestione degli altri pazienti che incuranti richiedevano la visita nonostante vi fosse una evidente criticità generale, i due medici, i 2 infermieri e la Oss si sono ritrovati in condizioni di assoluta insicurezza e grave criticità gestionale dovendo attendere l’ automedica 118 che, dopo le chiusure, arrivava da Rimini.
Con la chiusura del pronto intervento e il passaggio a Cau i pazienti critici continuano comunque ad accedere negli ambienti del vecchio PS, convinti vi sia ancora una struttura della reale emergenza urgenza, non sapendo che questo presidio non lo è più. Inoltre usare i locali del precedente Punto di Primo Intervento è evidente crei confusione e il locale non è idoneo all’attività da Cau (che dovrebbe essere una attività ambulatoriale di medicina generale).
Questo genera una pericolosa distrazione di ambulanze per i trasporti da CAU a PS, mentre le automediche sono state drasticamente tagliate proprio nella zona sud della provincia dove già molti operatori non vogliono piu’ lavorare perché distanti dal soccorso medico allorquando ne avessero bisogno, come nel caso in questione. In questo contesto organizzativo di insicurezza, molti operatori comprensibilmente non vogliono più lavorare”.